Il cavallo di troia del Vaticano
di Lea Melandri

Rachel Ruysch
Riguardo all’omelia
pronunciata nella basilica di San Pietro dal predicatore papale Raniero
Cantalamessa nella ricorrenza del Venerdì santo, e coralmente salutata
dalla stampa come “elogio della Donna”, apertura “femminista” della
Chiesa, è proprio il caso di dire “timeo Danaos et dona ferentes”,
soprattutto se i doni, imbellettati di attributi apparentemente
lusinghieri, portano, neanche tanto nascosti, i segni del millenario
destino che la Chiesa, e prima ancora la comunità storica degli uomini,
hanno inflitto al sesso femminile.
L’ “era della donna” fatta di “cuore e compassione” non è certo la
scoperta e il risarcimento tardivo di un dominio patriarcale che oggi
riemerge più violento che mai, preoccupato che la donna non voglia più
rimanere “se stessa”, cioè quella che esso ha voluto che fosse.
Collocato in quell’ ‘altrove’, che è la casa, la famiglia, la
continuazione della specie, incluso nella sfera pubblica proprio
attraverso un’arbitraria esclusione, il ruolo femminile è stato da sempre
parte essenziale della “città degli uomini”, suo complemento materiale e
psicologico indispensabile, prolungamento di una infantile dipendenza
materno-filiale rimasta a lungo rimossa dietro l’apparente libertà del
protagonismo storico maschile.
“Umiliate” le donne
lo sono effettivamente da sempre, e non solo per la violenza, lo
sfruttamento, l’emarginazione, le pratiche tribali consumate sui loro
corpi, elencate dal biblista Ravasi, ma proprio per il “dono di sé” che è
stato loro imposto in quanto confinate nella funzione di ‘madri di”,
‘mogli di’, quel sacrificio di vita e di libertà che oggi le gerarchie
vaticane vorrebbero rinverdire, senza pudore e senza rispetto per la
laicità dello Stato, a coronamento di una delle riprese più aggressive di
controllo sulle libertà che le donne sono andate faticosamente
conquistando, come riappropriazione del proprio corpo, della propria
sessualità, del legittimo desiderio di una manifestazione piena di vita.
Parlo dell’aborto, della procreazione assistita, delle unioni civili,
della messa in discussione della ‘naturalità’ del ruolo materno.
La doppia, ambivalente immagine celebrata dalla spettacolare Via Crucis di
venerdì sera -da un lato, le giovani donne che hanno portato la Croce,
dall’altro, nell’omelia in San Pietro, le “madri coraggio”, salvatrici
della società afflitta dai peggiori mali, la Maddalena “peccatrice
redenta” e innalzata, in virtù del suo pentimento, a ‘testimone’ del
Cristo risorto-, non poteva rappresentare in modo più esplicito l’ipocrita
‘verità’ sulla “differenza femminile” costruita dall’uomo, e purtroppo
ricalcata, sotto alcuni aspetti, da una parte del femminismo.
Non è un caso che
sia uno dei più accaniti detrattori delle donne, ma anche teorico di un
sessismo incomparabilmente più lucido e consapevole dell’edulcorata
misoginia vaticana, a svelare l’inganno che ha tenuto insieme fino ad oggi
amore e odio per quel femminile che l’uomo non ha mai smesso di
considerare terra propria, possesso inalienabile, ‘risorsa’ senza limiti
per il suo benessere, causa e rimedio per le sue ‘colpe’.
“Nella donna l’uomo non ama che se stesso… la donna è la colpa dell’uomo,
è l’oggettivazione della sessualità maschile, la sessualità incarnata…
Egli deve prendere con sé la donna, anche quando voglia redimere se
stesso, egli deve tentare di condurla a rinunciare alle sue intenzioni
immorali verso di lui. Ciò significa che la donna come tale deve
scomparire, altrimenti non vi è possibilità di fondare il regno di Dio in
terra” (Otto
Weininger).
Purtroppo, l’attribuzione a un “ordine naturale” del potere insidioso e
salvifico delle donne, legato alla loro capacità procreativa, non è solo
il pesante retaggio dei fondamentalismi religiosi, ma una convinzione
radicata nel senso comune di entrambi i sessi, incorporata nelle
istituzioni della vita pubblica, nei suoi saperi e nei suoi linguaggi.
E’ l’atto di nascita, sovrano e guerresco, della pòlis, che, nonostante i
grandi cambiamenti della storia, ancora accompagna la politica in tutte le
sue forme.
Per questo è così flebile, esitante, facile al compromesso la voce di
quanti, in nome della laicità, gridano allarmati contro l’ingerenza della
Chiesa, ma poi riportano a una ‘morale’, di stampo cattolico, vicende
essenziali dell’umano, definite nel corso della storia da rapporti di
potere di un sesso sull’altro, appartenenti alla stessa genealogia
patriarcale e ancora largamente dominanti in tutti gli ambiti della vita
privata e pubblica.
Pubblicato su
Liberazione dell'8 aprile 2007 |