Lettera a Liberazione
di Lea Melandri

Inutile dire che condivido il comunicato del Cdr di Liberazione (sabato 6 settembre 2008), il quotidiano a cui collaboro, sia pure saltuariamente, dal novembre 2004, quando Piero Sansonetti, Angela Azzaro e Carla Cotti, mi chiesero se volevo commentare i dati allarmanti, nazionali e internazionali, sulla violenza maschile contro le donne. I miei rapporti con il Prc erano stati fino allora molto marginali: oltre al voto, incontri sporadici con alcune femministe del Forumdonne ai Tavoli della bioetica.

Il giornale, l’apertura culturale e politica che gli ha dato la direzione di Sansonetti rispetto alle tematiche dei movimenti  - sessismo, omofobia, diritti civili, ambientalismo, pacifismo, laicità, ecc.- mi ha appassionato a tal punto da farmi desiderare un rapporto, sia pure conflittuale, di maggiore ‘internità’ col partito, la sua storia, i suoi tentativi di cambiamento. Ho motivo di pensare che sia per questa stessa ragione che il giornale si è reso visibile anche in ambiti esterni, dell’informazione, della cultura e della variegata realtà politica dei movimenti.

Non mi nascondo, perché è cosa nota, che proprio questo allargamento ha indotto molti militanti di Rifondazione a non comprarlo, quando non ad osteggiarne apertamente la conduzione, le scelte ‘indisciplinate’ e ‘trasgressive’ del suo inserto domenicale, Queer, il rischio di contaminazioni poco ortodosse con teorie e pratiche che metterebbero in discussione i limiti dell’analisi marxista, gli orrori del socialismo reale e l’idea stessa di comunismo, così come è arrivata fino a noi.

Una critica su cui la sinistra ha sempre glissato, ora irrigidendosi in una conservazione difensiva della sua tradizione, ora ripiegando su un moderatismo di facciata. Dopo la Conferenza di Carrara, che lasciava sperare l’avvio di una fase autocritica di ripensamento  -uscita dal verticismo, dalle inerzie burocratiche, dall’autoreferenzialità dei molti organismi dirigenti, da una forma-partito visibilmente in crisi-, l’inversione di rotta, dagli Stati generali (dicembre 2008) al Congresso di Chianciano (luglio 2008), avvenuta all’insegna della frammentazione e delle scontro frontale, non poteva che produrre, in me come in molti altri collaboratori e collaboratrici, delusione, distacco, estraneità, ritiro di investimento intellettuale, rabbia o indifferenza.

Non è un caso che molte firme sono via via sparite dal giornale, che il dibattito, ma verrebbe da dire la guerra interna tra le correnti del partito, ha messo fuori campo ogni altra realtà o soggetto politico che si muove nel contesto storico attuale. Vien voglia di eclissarsi in silenzio, rassegnati all’impotenza, alla  fatalità della crisi della politica, oppure convinti che altre siano oggi le strade per quel cambiamento di società che la sinistra dice di volere ma che di fatto sembra oggi sfuggirle di mano, e prima ancora, di vista.

Per la ricchezza di temi, iniziative, condivisioni, alleanze, approfondimenti, che ho visto passare attraverso Liberazione in questi quattro anni, mi auguro invece che siano molti ad alzare la voce, per chiedere le garanzie finanziarie necessarie alla continuità ma anche l’autonomia politica indispensabile per fare incontrare le culture diverse di cui è composta oggi la sinistra.

 

da Liberazione del 9 settembre 2008

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