Ci ha provato pure la pioggia

di Lea Melandri e Angela Azzaro

 
Roma, 24 novembre 2007

Ci ha provato pure la pioggia a mettersi di mezzo, ma neanche il temporale iniziale è riuscito a bloccare le centocinquantamila donne che ieri sono scese in piazza a Roma per un corteo straordinario, radicale contro la violenza degli uomini, senza distinzione di passaporto, sulle donne.

Un successo inaspettato anche per le organizzatrici di una manifestazione autonoma da partiti e sindacati che è stata autorganizzata dai tanti collettivi, associazioni, centri antiviolenza che per un mese hanno lavorato per portare tutte queste realtà in piazza. Inaspettato successo anche per la radicalità del messaggio politico che ha puntato non sulle cosiddette vittime, ma sulla messa in discussione degli uomini e della famiglia, e che ha respinto al mittente le politiche sicuritarie e repressive del governo. No alla famiglia, no al pacchetto sicurezza sono stati gli slogan più ripetuti, urlati dalle protagoniste del corteo.
Slogan e richieste di cui nessuno si poteva appropriare, tanto meno quelle ministre che hanno firmato il pacchetto sicurezza e che continuano a difendere la famiglia. La reazione di molte donne al loro presenzialismo mediatico non poteva essere differente: di protesta contro le strumentalizzazioni, anche quelle di La7 che stava dando la parola al governo. Almeno per un giorno, uno, la politica istituzionale doveva fare un passo indietro e stare a sentire una voce collettiva.

La parola delle donne, la loro autonomia, la loro forza, era quello che ieri c'era in piazza ed è quello che fa paura, spaventa, terrorizza. L'incapacità di stare a sentire il protagonismo delle tante femministe racconta di una paura maschile a mettere in discussione il proprio potere.
Forse anche per questa ragione, oltre alle dovute contestazioni alle ministre strappa applausi, il Tg1, cioè il telegiornale più seguito, è riuscito a mettere il servizio sul corteo, che pure era ben fatto, solo al dodicesimo posto. Quasi alla fine, sperando che un po' di italiani e di italiane avessero già spento il televisore.

Ciò che dà fastidio - crea scandalo - è che le donne giunte da tutta Italia non hanno chiesto protezione o tutele. Hanno parlato di rivoluzione nel rapporto tra i sessi, nella società, nella cultura, nella politica. E' stato un messaggio a tutto tondo, partito dalla critica alla violenza degli uomini che uccide le donne più di qualsiasi altra causa, per andare a toccare tutti i nodi della società e della politica.

Anche per questo la manifestazione di ieri non era, come tante ultimamente, silente. Era sì arrabbiata, ma appunto gioiosa, composta da generazioni diverse, da tante tantissime giovani, da giovanissime, con nel volto dipinto il simbolo femminista. Molti slogan, molti cori, molti visi sorridenti. Una lotta e un conflitto fatti col sorriso. Una manifestazione, hanno detto molte, come non se ne vedevano da trent'anni.

Adesso è il momento di assaporare il successo e di pensare ad un futuro, la cui molla non sono le leggi promesse all'ultimo momento o le leggi già scritte, come quella proposta dalla ministra Barbara Pollastrini criticata perché mette al centro non le donne, la loro libertà, ma la famiglia, ancora la sacra famiglia. Se proprio ci tiene la ministra, inizi un confronto vero con chi ha organizzato la manifestazione di ieri, non continui per la sua strada, azzeri invece il suo ddl e senta anche le nostre ragioni.

Tanti giornalisti hanno chiesto: e adesso che cosa volete? Forse si aspettavano una ricetta facile facile. Abbiamo detto che vogliamo la luna, vogliamo tutto e non vogliamo che in nostro nome si giustificano né politiche di guerra, né politiche repressive.

Non è un caso che il corteo è iniziato, prima dell'avvio vero e proprio, con una danza della ragazze rom. Un modo per ribadire la contrarietà delle manifestanti alla politica delle espulsioni e alla decisione del governo e di Veltroni di strumentalizzare l'uccisione di Giovanna Reggiani per mettere sotto accusa un intero popolo.

L'obiettivo è un altro. Sono i mariti, i fidanzati, gli ex, è la famiglia come luogo in cui la violenza non solo avviene, ma in cui si origina, cresce, si alimenta. La giornata di ieri ci dice anche quanto questo messaggio sia passato, sia entrato in molte teste e in molti cuori. Non era una consapevolezza di poche. Era un senso comune che si respirava in tutto il corteo, negli slogan, nei discorsi.
E vuol dire no alla violenza degli uomini, ma anche sì all'autodeterminazione delle donne, sì alla loro libertà, sì alla legge 194 e no alla legge sulla fecondazione assistita, che questo governo non ha nemmeno messo nel programma scritto prima delle elezioni e che ora difende a spada tratta.
E' una legge fondamentalista, più fondamentalista di tanti paesi che critichiamo solo per giustificare le guerre, come anche la cronaca di ieri racconta.

Adesso è importante che tutta questa energia continui. Che non si disperda e che continui il lavoro collettivo, nel rispetto di tutte le storie e di tutte pratiche politiche. Ma è anche importante che la politica istituzionale, spenti i riflettori, non faccia di nuovo finta di nulla. Sarebbe davvero intollerabile.
Oggi è la giornata mondiale contro la violenza degli uomini sulle donne. Che cosa vuol dire? Vuol dire che gli uomini devono smettere di fare finta di nulla, quelli di destra e quelli di sinistra. Sono loro adesso che devono prendere parola pubblica, fare autocoscienza, dire qualcosa.
Un silenzio maschile prolungato non solo non è più ammissibile, ma ormai patetico. E non significa fare i mea culpa, battersi il petto, ma farsi da parte, cedere il proprio potere, metterlo in discussione. Quanti saranno in grado di farlo?
 

questo articolo è uscito su Liberazione del 25  novembre 2007

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