di Lea Melandri e Angela Azzaro
Ci ha provato pure la pioggia a mettersi di mezzo, ma neanche il temporale iniziale è riuscito a bloccare le centocinquantamila donne che ieri sono scese in piazza a Roma per un corteo straordinario, radicale contro la violenza degli uomini, senza distinzione di passaporto, sulle donne.
Un successo inaspettato anche per le organizzatrici di una manifestazione
autonoma da partiti e sindacati che è stata autorganizzata dai tanti
collettivi, associazioni, centri antiviolenza che per un mese hanno
lavorato per portare tutte queste realtà in piazza. Inaspettato successo
anche per la radicalità del messaggio politico che ha puntato non sulle
cosiddette vittime, ma sulla messa in discussione degli uomini e della
famiglia, e che ha respinto al mittente le politiche sicuritarie e
repressive del governo. No alla famiglia, no al pacchetto
sicurezza sono stati gli slogan più ripetuti, urlati dalle
protagoniste del corteo.
La parola delle donne, la loro autonomia, la loro forza, era quello che
ieri c'era in piazza ed è quello che fa paura, spaventa, terrorizza.
L'incapacità di stare a sentire il protagonismo delle tante femministe
racconta di una paura maschile a mettere in discussione il proprio potere.
Ciò che dà fastidio - crea scandalo - è che le donne giunte da tutta Italia non hanno chiesto protezione o tutele. Hanno parlato di rivoluzione nel rapporto tra i sessi, nella società, nella cultura, nella politica. E' stato un messaggio a tutto tondo, partito dalla critica alla violenza degli uomini che uccide le donne più di qualsiasi altra causa, per andare a toccare tutti i nodi della società e della politica. Anche per questo la manifestazione di ieri non era, come tante ultimamente, silente. Era sì arrabbiata, ma appunto gioiosa, composta da generazioni diverse, da tante tantissime giovani, da giovanissime, con nel volto dipinto il simbolo femminista. Molti slogan, molti cori, molti visi sorridenti. Una lotta e un conflitto fatti col sorriso. Una manifestazione, hanno detto molte, come non se ne vedevano da trent'anni. Adesso è il momento di assaporare il successo e di pensare ad un futuro, la cui molla non sono le leggi promesse all'ultimo momento o le leggi già scritte, come quella proposta dalla ministra Barbara Pollastrini criticata perché mette al centro non le donne, la loro libertà, ma la famiglia, ancora la sacra famiglia. Se proprio ci tiene la ministra, inizi un confronto vero con chi ha organizzato la manifestazione di ieri, non continui per la sua strada, azzeri invece il suo ddl e senta anche le nostre ragioni. Tanti giornalisti hanno chiesto: e adesso che cosa volete? Forse si aspettavano una ricetta facile facile. Abbiamo detto che vogliamo la luna, vogliamo tutto e non vogliamo che in nostro nome si giustificano né politiche di guerra, né politiche repressive. Non è un caso che il corteo è iniziato, prima dell'avvio vero e proprio, con una danza della ragazze rom. Un modo per ribadire la contrarietà delle manifestanti alla politica delle espulsioni e alla decisione del governo e di Veltroni di strumentalizzare l'uccisione di Giovanna Reggiani per mettere sotto accusa un intero popolo.
L'obiettivo è un altro. Sono i mariti, i fidanzati, gli ex, è la famiglia
come luogo in cui la violenza non solo avviene, ma in cui si origina,
cresce, si alimenta. La giornata di ieri ci dice anche quanto questo
messaggio sia passato, sia entrato in molte teste e in molti cuori. Non
era una consapevolezza di poche. Era un senso comune che si respirava in
tutto il corteo, negli slogan, nei discorsi.
Adesso è importante che tutta questa energia continui. Che non si disperda
e che continui il lavoro collettivo, nel rispetto di tutte le storie e di
tutte pratiche politiche. Ma è anche importante che la politica
istituzionale, spenti i riflettori, non faccia di nuovo finta di nulla.
Sarebbe davvero intollerabile. questo articolo è uscito su Liberazione del 25 novembre 2007 |