Schiere e schieramenti

Liliana Moro


Il conflitto tra i sessi si pone in termini irriducibili alla logica maschile che identifica il conflitto con la guerra, o almeno vede nella modalità bellica il modello paradigmatico del conflitto. Questa irriducibilità è necessaria, intrinseca al conflitto uomo/donna perché non ci sono schieramenti, non c'è una linea di frontiera e non c'è nemmeno una patria di appartenenza.

Come diceva, credo, Susy Blady  “le donne vanno a letto con il loro nemico”.

Non solo ci vanno a letto ma combattono per il loro nemico.
Le donne, dal primo fatto storico chiamato 'rivoluzione' quella francese, hanno sempre 'militato' – appunto, la logica bellica! - nei movimenti per il cambiamento, mettendoci corpi, sentimenti, passione e intelligenza. Hanno anche segnato delle svolte storiche importantissime: le parigine che sono andate a Versailles e hanno portato i reali a Parigi; le donne di Pietroburgo che hanno fatto le manifestazioni per il pane e la pace nel 1917, quelle che anche Irène Nemirovsky ricorda d'aver visto bambina all'avvio della rivoluzione, colpita dal silenzio e dalla determinazione di quella folla femminile (Nascita di una rivoluzione, Castelvecchi, 2012).

Ma le donne si sono dedicate anima e corpo anche per lo schieramento opposto, per la restaurazione, con fedeltà e ardore degni di miglior causa. Penso al libro di Marina Addis Saba, La scelta (Editori Riuniti, 2005) che racconta i percorsi per cui nel '43 alcune donne italiane fecero le partigiane e altre “le ragazze di Salò”, felici di partecipare a una dimensione politica che era stata loro anche ufficialmente negata dal regime mussoliniano. Saba ha fatto delle interviste alle ormai anziane signore fasciste e scrive che “nessuna delle interpellate ha sottoposto a revisione critica la sua esperienza”, sono cioè rimaste fedeli, appassionatamente e ciecamente schierandosi dietro una bandiera maschile che perfino le disprezzava.
Mi sembra emblematico di molte altre situazioni simili, attuali. Penso alle signore col foularino e la bandiera azzurra di Silvio o quelle urlanti con le bandiere verdi fregiate dall'immagine fallica della Lega.

“Reazionarie o rivoltose, raramente sono democratiche” scriveva Rossana Rossanda recentemente citata da Lea Melandri Uomo/donna, archetipo di tutte le disparità

Il femminismo pur essendo una rivoluzione non può pensarsi come i movimenti rivoluzionari, perché non può seguire la logica bellica.
Tra l'altro non c'è un anno zero della rivoluzione femminista, non c'è un prima e un poi, una presa del Palazzo d'inverno o della Bastiglia, perché è una rivoluzione continua e ubiqua. Il conflitto dura tutta la vita di ciascuna e attraversa le vite di tutte le donne.

D'altra parte non può essere una “rivoluzione dei cuori”, un cambiamento solo individuale, solo interiore. Una questione che mi ha interrogato a lungo. Confesso di vedere con molta diffidenza le impostazioni intimistiche, di solito circolanti in ambiti religiosi, che confinano nel privato il mutamento, lasciando a un futuro indefinito il cambiamento politico e istituzionale, tradotto in strutture e in leggi. Eppure sono convinta che il cambiamento di mentalità è condizione imprescindibile, è il primo passo del cammino.
Come tenere insieme le due cose, la dimensione interiore e quella istituzionale ?

Sembra che ora anche la politica maschile abbia capito l'importanza dei sentimenti e delle passioni, ma sta usando questa consapevolezza in modo strumentale: suscitando paure e sollecitando affidamenti infantili alla figura del capo. Dopo di che parlano sempre di “pancia” per indicare l'emotività, un po' come quando davano delle isteriche alle donne che cercavano di esprimere, di rendere in qualche modo manifesta la loro sofferenza.
Ma tutto ciò è un'altra cosa rispetto al “vedere i nessi” come giustamente invoca sempre Lea Melandri, anzi è proprio uno stravolgimento di questa istanza.

Quale territorio in cui non essere straniere?
Non possiamo avere una patria, che letteralmente è una terra del padre.
Quale patria se siamo perfino straniere a noi stesse?
Julia Kristeva, bulgara trapiantata a Parigi, una quindi che di estraneità se ne intende, ha scritto:

“Vivere l'odio” lo straniero si rappresenta spesso così la sua esistenza, ma il doppio senso dell'espressione gli sfugge... Come una moglie che si piega, compiacente e complice, alla ripulsa che il marito le significa non appena abbozza la minima parola, il minimo gesto o discorso.... l'odio lo rende reale, autentico in qualche modo... o, semplicemente, esistente.  (Stranieri a se stessi, Feltrinelli, 1990)

Il paragone che introduce è ben significativo di quanto noi donne siamo nella condizione di straniere, silenti, nel mondo costruito dagli uomini e di quanto ci sia più facile riconoscerci 'sorelle' in quanto oggetto d'odio, o di sopraffazione, mentre è più complicato solidarizzare, essere unite, nella costruzione di nuovi linguaggi, culture o pratiche politiche.

E ancora mi chiedo: quale schieramento? Nella rivoluzione femminista non c'è schieramento. Non ci può essere un noi donne e loro uomini perché “il sogno dell'uomo è dentro di noi”. Perché l'appartenenza è costruita sì in base al sesso, dato biologico, ma anche attorno al genere femminile, che è una incarnazione del desiderio maschile.
Lidia Cirillo nella presentazione dell'ultimo numero dei Quaderni viola sul femminismo francese

Sono ri-nate non per caso tra gli anni Sessanta e Settanta in Francia le due correnti che da sempre oppongono un femminismo all’altro: da una parte la rivendicazione di alterità e di differenza con tutti i rischi di replicare stereotipi e ricostruire recinti; dall’altra la decostruzione della femminilità con i rischi annessi di perdere per strada la possibilità di costruire un “noi” (n.5, aprile 2013 Non si nasce donna)

Anche all'interno degli stessi gruppi femministi i rapporti sono difficili ed è facile, invece, ricostruire dinamiche di tipo maschile.
E poi tu chi sei?Cosa vuoi? Fai in fretta a parlare e tornatene da dove sei venuta…“Chi sei? Da dove vieni?” E' una dichiarazione di estraneità quella che tentava di spingere Daniela fuori da un movimento che rischia di diventare un circolo di amiche. La chiusura a riccio, la fusionalità familistica è un rischio sempre presente tra le donne che non hanno imparato la democrazia, come diceva Rossanda.
Mi sono sempre dispiaciuta della difficoltà di democrazia nei gruppi di donne, ma ora, vista la triste deriva del sistema democratico, mi domando se non ci sia un problema proprio nell'impostazione e non sia necessario che le donne indichino un sistema di rapporti politici che sia insieme caldo di attenzione reciproca, di riconoscimento e d'altro lato consapevole e rispettoso delle differenze e delle alterità.

E infine mi chiedo:
Che tipo di rabbia occorre per una rivoluzione simile?

 

16-04-2013

 

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