Esclusione o rinuncia?
di Liliana Moro
Sono grata a Sara e a Donatella per aver aperto questo dibattito
che riguarda un tema a mio parere centrale. Infatti la presenza delle
donne nel mondo della scienza presenta molti spunti di riflessione,
perché i meccanismi che emergono dall'osservazione delle biografie
delle scienziate sono emblematici di quanto accade ed è accaduto
in diversi ambiti. La questione non riguarda, quindi, solo chi è
interessata o coinvolta nella ricerca scientifica ma anche chi si occupa
di storia (come me) o di politica o di linguaggio.
Donatella Massara ha scritto: Se si confondono i limiti fra
discriminazione, minore capacità eventuale e non volontà
di partecipare a progetti non condivisibili, a mio parere si
esce dal giudizio di merito.
Ritengo che un primo problema sia proprio la difficoltà ad usare
categorie consolidate come quella di esclusione o emarginazione perché
nella vita di molte ricercatrici, soprattutto del Novecento, i confini
tra discriminazione e autoesclusione sono labili: in molti casi è
difficile dire chi ha rinunciato e chi ha ricevuto un netto rifiuto.
Emblematica la vicenda di Mileva Maric, la studentessa di fisica che
incontrò Einstein all'università di Zurigo, lo sposò,
partecipò alle sue prime e fondamentali ricerche e in seguito
decise di rimanere accanto al loro ultimo figlio che aveva gravi problemi
di salute, mentre il grande scienziato proseguiva la sua carriera e
il contributo di Mileva è praticamente sconosciuto.
Un altro problema è che le donne non dichiarano apertamente il
loro rifiuto di un modello di sapere o di pratica, non aprono un confronto,
lasciano libero il campo silenziosamente. Oppure accettano acriticamente
di partecipare a progetti che non hanno formulato, perché le
occasioni di entrare in ricerche prestigiose non sono poi tante per
loro. Le ricercatrici che hanno partecipato al progetto Manhattan per
la costruzione della bomba atomica lo consideravano certo un privilegio,
solo la grande fisica Lise Meitner ha potuto permettersi di rifiutare.
Puntualmente nei periodi bellici troviamo un maggior numero di donne
in posizioni di rilievo, che evidentemente sono in grado di sostenere,
nonostante le difficoltà ambientali prodotte dalla guerra; a
emergenza finita, però, i colleghi tornati dal fronte vengono
preferiti per la carriera. Questo è accaduto sia per la prima
che per la seconda guerra mondiale.
Dov'è il confine tra libertà e autoemarginazione? Ora
che non ci sono più preclusioni alle iscrizioni universitarie,
perché ancora poche ragazze si iscrivono ad alcune facoltà
scientifiche come ingegneria, fisica? Possiamo accettare l'idea che
ci siano campi di sapere più congeniali a un sesso che a un altro?
io non me ne persuado.
Le donne condividono a livelli inaspettati l'immagine che la cultura
"maschile" ha costruito di loro; un esempio, che non è
così banale come sembra, riguarda l'aspetto fisico, in qualche
modo l'immagine di sé. Per l'immaginario maschile la scienziata
può essere intelligente solo a patto di essere poco femminile,
poco carina e le foto di molte donne di scienza, soprattutto del passato,
lo confermano puntualmente. Proprio al rischio di perdere la propria
femminilità molte ragazze attribuiscono la non volontà
di intraprendere studi di tipo scientifico.
Infine, se non vogliamo parlare di discriminazione, e sono d'accordo
che non è solo questo ma ci sono anche scelte di autonomia, come
mai i settori a prevalenza maschile sono quelli più prestigiosi
e più ricchi, come la finanza ad esempio? e perché le
donne che si affermano in quei campi sono di solito perfettamente assimilate
al modello maschile?
Il problema non riguarda solo la scienza e credo ci sia molto da discutere
ancora.
home