Che fare in questa "Siberia" della politica? 
      Floriana Lipparini 
        
        Charlotte Salomon  
        
      Frase dopo frase, battuta dopo battuta la faccia  “rassicurante” del cosiddetto governo dei tecnici ha clamorosamente iniziato a  sgretolarsi. Si sa, anche le più devote e i più devoti custodi del verbo  iper-neoliberista in fin dei conti sono esseri umani e qualche volta  l’autocontrollo cede. Emerge la cruda verità. Il posto fisso? Monotono. Il  posto sicuro? Un’illusione. I giovani precari o disoccupati? Bamboccioni che  vogliono stare vicino a mamma e papà.  
        Si è trattato di lapsus? Forse è quello che vorrebbero  indurci a credere, convinti che la stoccata sia meglio darla per gradi, ma  facendone però intravedere l’ineluttabile necessità per meglio abituarci. E  forse qualcuno ha persino pensato che le mazzate assestate da mani e volti di  donna sarebbero passate quasi in sordina, sarebbero parse meno cruente… Il  femminile usato come guanto di velluto per mistificare almeno in parte il pugno  di ferro. Vecchia storia. 
         
        Io ho tutt’altri pensieri. Quello che mi sembra di percepire  dietro azioni e parole è un messaggio che vorrebbe essere subliminale ma può  arrivare benissimo a orecchie un minimo attente. “Voi gente comune, voi 80 per  cento della popolazione, voi massa che state ai piani bassi, fuori da conventicole  e caste, siete ormai superflui. A mandare avanti le cose bastiamo noi, 20 per  cento di clerici superpreparati, superesperti e superdotati”. E in quel 20 per  cento si entra anzitutto per nascita, come accadeva una volta in seno alle  famiglie feudali.  
        Cosa pensare, altrimenti, riguardo la carriera della figlia  di un’importante esponente del governo? Lei sì non si è voluta allontanare da  mamma e papà: guarda caso ha potuto accedere a ragguardevoli posizioni  accademiche nello stesso ateneo dove hanno insegnato entrambi i suoi illustri  genitori, oltre a ottenere un ulteriore lavoro in una società di cui la mamma è  stata importantissima manager. 
         
        A chi si chieda se questa scissione fra “sommersi e  salvati”  non sia una delle solite  esagerazioni, rispondo che queste cose non me le sto inventando io. Già da anni  se ne parla. O per lo meno se n’è parlato nell’intervento “Le mani sulla  scuola”, pubblicato sul numero 2, dicembre 2004, del Giornale di storia contemporanea. Scrive Roberto Renzetti a p. 200,  spiegando in nota che le citazioni sono tratte dal volume La trappola della globalizzazione, di Hans Peter Martin e Harald  Schumann, Bolzano, 1997:  «Al Fairmont  Hotel di San Francisco, nel settembre 1995, si riunirono 500 persone, l’élite  del mondo, il braintrust globale (Bush senior, Margaret Thatcher, George  Schultz, Ted Turner - Cnn e Time Warner, Jeremy Rifkin, quello de La fine del  lavoro piuttosto che de l’Economia all’idrogeno, David Packard -  Hewlett-Packard, John Gage, Zbigniew Brzezinski), sotto l’egida della  Fondazione Gorbaciov, per decidere delle prospettive del mondo nel nuovo  millennio che porta a una nuova civiltà. Tutti furono d’accordo nel prefigurare  un modello di società in cui solo il 20% dei cittadini del mondo sarebbe stata  necessaria per mandarlo avanti. Il rimanente 80% sarebbe stato da considerarsi  massa eccedente [surplus people:  questa l’espressione utilizzata]. Si passava quindi dalle pur nere prospettive  degli anni Ottanta, la società in cui 1/3 dei cittadini del mondo avrebbe avuto  accesso al benessere, ad una società 1/5 con molta massa eccedente. Si  prospettavano riforme selvagge…”. 
         
        Fantascienza? Mah. Robotizzazione e tecnologie sempre più  sofisticate purtroppo sono servite non per consentire a chiunque di vivere una  vita più sopportabile e degna, eliminando la fatica bestiale del duro lavoro  operaio, e l’alienazione prodotta da gran parte del lavoro subordinato, ma al  contrario hanno reso obsoleti milioni di posti di lavoro, e superflui i  lavoratori che li occupavano. Una diversa concezione del mondo e della civiltà  avrebbe potuto governare questo processo di cambiamento in modo equo,  redistribuendo compiti, redditi e responsabilità nell’insieme della  collettività. Al contrario, la realtà economica e politica del secondo  millennio è implosa su se stessa estremizzando al massimo la linea  dell’ingiustizia sociale.  
        Certo, i superflui esistono, ma non contano. Del superfluo  infatti si può anche fare a meno. Chi non è necessario per sviluppare le  produzioni e i giochi da cui trarre profitto, chi è sostituibile da macchine o  da altri esseri umani più disperati, non ha forza contrattuale e nessun potere  decisionale.  
        Suvvia, dice però la signora ministro, non abbandoneremo i  licenziati: come a dire, faremo un atto di generosità noi che ce lo possiamo  permettere dall’alto delle nostre vite sicure all’interno del 20 per cento.  Significa forse che moltiplicheranno le mense per i poveri? In due parole ecco  calare il gelo su secoli di lotte per i diritti e la democrazia.  
         
        Ai servi della gleba di un tempo, alle persone di servizio  nelle case fino a metà Novecento si concedeva il minimo per sopravvivere e a  volte nemmeno quello: eppure non erano affatto superflue. Ora la supponenza e  la freddezza con cui in pratica si condannano milioni di persone alla totale  miseria, cioè all’inesistenza – nessuna certezza di lavoro né di reddito questo  significa, come sta accadendo in Grecia – sembra l’edizione aggiornata di  quella barbarie da cui credevamo di esserci almeno un poco allontanate e  allontanati.  
         
        Avevamo pensato  - i  nostri nonni, i nostri genitori e anche noi - che con gli strumenti della  democrazia, della cittadinanza e della politica avremmo sconfitto per sempre la  prepotenza dei pochi. E invece è stato proprio lo strapotere dei pochi a  rendere vana la stessa politica, ridotta a servire i signori della finanza come  un’obbediente ancella.  
         
        Che fare in questa Siberia non tanto climatica ma umana che  ci sta sommergendo? Quello che faccio io è continuare a ripercorrere la  ricchissima strada che ha compiuto il pensiero delle donne negli ultimi  decenni, continuare a rileggere e a ripensare, perché so che lì c’è il seme del  vero cambiamento possibile. Avevamo ragione ogni volta che abbiamo detto e  scritto: non possiamo “aggiustare” questo sistema, ma solo cambiarne alla  radice i presupposti – abbiamo altre priorità - questa politica non ci  rappresenta – rifiutiamo questo modello di sviluppo – il capitalismo  neoliberista è il vertice del patriarcato – non sono le guerre la soluzione dei  conflitti…  
         
        Abbiamo le analisi, le riflessioni, le proposte. Abbiamo le  fonti, i nomi di riferimento. Filosofe, economiste, scienziate, scrittrici. In  ogni paese del mondo esiste ormai una tradizione di femminismo illuminato e  pensante. Potremmo essere una forza tranquilla, pacifica ma inesorabile, che  lavora per una radicale trasformazione secondo obiettivi chiari e  condivisi.  Basta non cadere di nuovo  nella trappola dell’inclusione conciliatrice e dell’omologazione all’esistente,  che attira tante femministe come il canto delle sirene. E questo pericolo,  purtroppo, nell’aria io lo sento. 
        
      8-02-2012 
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