Carla Lomi, Alle origini della fata
La donna e la sua psiche allo specchio

Premessa dell'autrice

Il libro propone un viaggio di disvelamento, di riscoperta della figura della fata, così come si è andata delineando alle sue origini nella tradizione e letteratura medievale, nel corso del XII e XIII secolo per poi giungere fino a noi indissolubilmente connessa al mondo del meraviglioso all’universo fiabesco.
Quando nominiamo la fata, la prima immagine che riaffiora emerge luminosa dai bagliori che accompagnano le fiabe, inoltrandoci nell’immaginario con solo apparente ingenuità; infatti le fiabe, con le loro archetipiche figure, specchi di Psiche, con la capacità di donare la vi­sione di un sogno realizzato che travalica i confini del sogno personale, attivano il nostro sguardo sull'intimità dell'uomo, sulla sua memoria e memoria notturna e ci riconnettono alle visioni altre del mondo e del pensiero, a quanto è rifiutato, rimosso, marginale rispetto alla cultura di referenza, ma sempre ampiamente operante.
Tra le figure memorabili che le fiabe ci hanno tramandato, racconti capaci di serbare dell'esperienza globale di una società le intuizioni che l’hanno orientata e sostenuta, la saggezza accumulata, la fata è la figura che più, forse, ci familiarizza con un'immagine potente, piena del fem­minile, che è stata a lungo rimossa ma che è vicina e promettente per la sensibilità delnostro tempo che ha visto aprirsi, per la donna, inedite possibilità, più ampi spazi di libertà, di autodeterminazione, ma che ancora chiede il rinnovamento profondo delle coscienze, degli orizzonti culturali per guardare a una nuova umanità. Ora delle origini delle fate – l’indagine non esamina l'evoluzione legata al mutare dei tempi che questa figura folclorica e letteraria conosce, ma resta limitata alla sua immagine aurorale già di per sé ricca e densa – si dirà soltanto che esse, essendo già presenti nel folclore medievale, entrano a far parte  dei domini letterari con una duplice identità di madrine e amanti - già qui si presenta il primo elemento di novità rispetto alla visione tramandata dalle fiabe destinate a un pubblico infantile – ruoli centrali del vissuto della donna che intimamente mutano il suo corpo, la sua storia, legandola agli spazi, agli umori, ai poteri della relazione.
Accostarsi alla fata è allora un mezzo per conoscere meglio la donna e il principio femminile nel suo splendore poiché la loro visione ci immette entro dimensioni aperte, significative anche per il nostro oriz­zonte culturale, liberandoci da limiti rimasti oscuri e da stereotipi tuttora presenti.

La fata è in primo luogo figura affascinante, potente e luminosa, capa­ce di incantamenti e di trasformazioni di oggetti, di animali, di se stessa, quale signora della natura e dunque della metamorfosi. In lei rivivono le immagini delle grandi dee in grado di controllare le potenze del bene quanto del male, della vita e della morte. È la compagna del destino degli umani che ricerca, affascina, richiama alla pienezza dell'essere, alla rivelazione, ma, come i primi racconti medievali e la stessa tradizione fiabica ce la restituiscono, è anche figura ambigua, polimorfica, dall'identità non univoca; si colloca nel mondo del meraviglioso ora come donna, ora come dea. Spesso si manifesta infatti come un essere di un altro mondo, da cui giunge soltanto a intervalli, quasi eclissandosi, per poi ritornare lontana, là nell'altro tempo; se nella sacerdotessa di antichi culti e riti, tuttora vivi nella cultura medievale, si disvela ancora come dea, in tante storie è la donna con l'aspetto e i poteri della maga e della strega, come più tardi sarà presentata secondo l'ottica clericale.

Magia e stregoneria sono dunque ambiti di appartenenza e di azione delle fate che vennero a definirsi come donne depositarie di una cultura antica, millenaria che nel tempo mantenne salde radici rinnovandosi con pratiche, credenze, miti ascritti a potenze del soprannaturale non cristiano.

La fata - se era già presente prima delle sue fugaci apparizioni nel bosco, suo regno, prodigo di esseri e doni, eternamente vivo e sempre diverso; nell'acqua, che raccoglie e diffonde la sua voce; nei fiumi, dove mutevole compare col suo manto che abbaglia, quando libera corre col sole, o brilla, segnata da tralci più cupi fra le ombre, o si posa la notte, intessuta di perle velate, nella luce lunare - si è svelata solo nella ricer­ca dell'amato, nella relazione, assumendo un ruolo dinamico e di primo piano, come numerosi racconti medievali ci narrano.
La fata conduce per mano entro nuovi sentieri, apporta le visioni, i doni, i poteri di un mondo soprannaturale, intriso di magia, ma lascia aperto il percorso sempre arduo dell'individuazione alle prove, ai poteri e alla sensibilità dell'altro/altra rigenerati dall'incontro; questa unione si colloca in una costellazione di innumerevoli astri che sembrano additare, perenni, avvenuti incontri tra umano e divino, che hanno assunto volti e nomi per farsi memoria di dialoghi amorosi che sconfinano gli orizzonti, creano ponti, donano scarpe e ali, fanno zampillare sorgenti ora e allora.
Nell'incontro con la fata i doni dischiusi non portano a prefigurare altre terre, altri cieli, piuttosto additano una pienezza di vita qui nel pre­sente, sempre faticosamente conquistata ora seguendo vie, che sono simbolo di condizioni ben indagate e appaiono caratterizzate da un ab­bassamento del controllo dell’Io, nel tempo in cui si impone la necessità dell'altro, attraverso il dolore, le ferite, la temporanea impotenza, o quando la coscienza, in virtù del suo sviluppo, già concede di seguire i sentieri del rapimento, del desiderio simbolicamente destato da una creatura viva e affascinante, che appare e poi fugge seguendo le sue vie. Nell'immagine e nelle vicende delle fate medievali che si uniscono agli umani abbiamo letto la metafora del passaggio numinoso dell'anima, la componente femminile dell'inconscio, da sempre avvertito nella co­scienza come illuminazione, rivelazione, ispirazione salutare, generante la trasformazione.
Le fate ci parlano dell'archetipo dell'anima, quale immagine altra delle grandi dee - innanzitutto di Iside, come è ampiamente mostrato nel ca­pitolo dedicato a Morgana - apportano le visioni meravigliose di un tempo lontano, per riaffermare la centralità del principio femminile, vo­ce dell'eros, che si dispiega nell'unione e nella relazione. Queste immortali creature ci conducono verso la sorgente della vita, quel mitico mondo da cui provengono e che pienamente esprime la ricchezza e l'unità della natura; pertanto quanto possono indicare, come figure lette­rarie, non riguarda solo l'eroe di un tempo, colui che è chiamato a grandi imprese, ma ineliminabile componente femminile con cui ciascu­no, indipendentemente dal suo sesso, è chiamato a confrontarsi, e al contempo ci riconnettono con quelle culture che hanno divinizzato la natura e ci portano a riconoscere che l'accordo con gli altri e con la natura sono i due poli congiunti di una stessa realtà. In questa sua identi­tà, in cui ravvisiamo forti valenze archetipiche e mitopoietiche, risiede l'attualità della fata e le ragioni di una sua riproposizione critica.
La fata ci sembra possa accogliere e riflettere nella sua onda, per la sua natura, quel diffuso bisogno di rinnovamento che in tanti modi si espri­me nel nostro tempo rispetto ai valori che hanno contrassegnato lo sviluppo dell'Occidente, per mettere di nuovo l'accento sul rapporto con
la natura, sull'integrazione del corpo e dell'immaginario, su forme di indagine ritenute proprie del pensiero femminile nella comprensione dell'esistenza umana. Forse proprio per questo la fata, che ha conservato fino a noi l'immagine della dea, liberando, nell'immaginario, le don­ne dai limiti impliciti di stereotipi dati, è stata ghettizzata, banalizzata, rimossa, relegata entro i confini della fantasia infantile.
Due sono le fate che campeggiano nell'universo medievale, diverse per carattere, tendenze e destini, tanto che le loro storie divengono emble­matiche e a esse si possono ricondurre tutte le altre. Si chiamano, come è noto, Melusina e Morgana.
L’incontro con Melusina costituirà una tappa fondamentale del nostro viaggio. In lei, progenitrice di una delle più importanti famiglie, i cui rampolli regneranno sui principali troni dell'Europa di allora, la costruttrice di nuove città, rappresentata con una corona turrita, l'affet­tività femminile, da sempre contrassegnata dalla pienezza nata dalla capacità di amare che uova sviluppo e compimento nella funzione ma­terna, segue canali nuovi di espressione che si misurano con la sfera prometeica del soggetto maschile, alimentata dalla perenne dinamica del desiderio, nel segno dell'autoaffermazione, premessa della ricerca del potere.

Visioni suggestive e molteplici indicazioni ci giungono anche dalla storia di Morgana. Se la sua immagine letteraria è testimonianza e traccia della permanenza di antichi culti e riti, rintracciabili negli stessi processi alle streghe, la sua grandezza mitica ci consentirà di scorgere ancora il volto e i poteri della dea Iside, nella sua sacerdotessa.
Nell'incontro di Morgana con re Artù, come nell'unione di Melusina con il suo amato, assisteremo a un'autentica creazione che si affida a una visione allargata, aperta del reale, che tanto ricorda quella capacità di volo da sempre appannaggio di fate e streghe, che conduce a seguire le vie del cuore e assieme del desiderio che si rinnova e fa balenare inedite possibilità.
Questa seconda nascita propone un nuovo, più esteso incontro fra due matrici certo diverse, non omologabili: il principio femminile e quel­lo maschile, del primo esaltando forme e poteri, da porre come emblema di un compito e di una sfida anche per il nostro tempo. È innegabile, infatti, che l'umanità si trovi oggi di fronte a un bivio: affidare la sua sicurezza alla logica di sempre - consegnata all'esclusivo esercizio

del discorso razionale-logica del dominio, della selezione mediante la lotta per la supremazia materiale, appare sempre più precario e porta con sé costi da sostenere altissimi per l'umanità e per l'ambiente. Accanto a questa via, entro le maglie lacerate, segnate da contrasti, chiusure, del presente, scorre ancora come linfa vivificante e nuova la domanda e l'effettiva capacità - sostenuta da più movimenti, nel nostro percorso esplicitamente richiamati - di proporre altri paradigmi che postulano una

trasformazione radicale, sia dei rapporti sociali sia dei rapporti con la natura. Nella fata che si unisce all'amato sono suggestivamente espressi nel simbolo e nel mito questi orizzonti, sopra richiamati, di un incontro fecondo tra femminile e maschile non ancora avvenuto, che aspira a essere gestazione e individuazione di un'epoca nuova, per affermare altri valori, altri modelli da ancorare a un'immanentistica visione sacra della vita e a una percezione olistica della natura di cui la fata medievale appare luminosa immagine archetipica.

Carla Lomi
Alle origini della fata, La donna e la sua psiche allo specchio
Edizioni Meridiana, Firenze, 2004
168 pagine, 14 Euro


25- 01-08

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