Botte e risposte sulle fecondazioni
di
Vittoria Longoni

Debora Hirsch
Riprendere la discussione su tutti i temi posti dalla fecondazione
assistita, e riprenderla in modo franco, chiaro e diretto, mi sembra la
risposta migliore da dare alla sconfitta subita nel referendum sulla
procreazione assistita. Per ora hanno vinto l’incertezza, le perplessità,
la disinformazione, l’astensionismo; si è fatto un dibattito molto
interessante ma forse un po’ troppo astratto, difficile da comprendere per
chi non avesse dimestichezza con termini scientifici e filosofici e non
avesse esperienze dirette da cui ricavare un orientamento personale nella
ridda delle teorie. Purtroppo ha anche vinto, per ora, la vera e propria
campagna oscurantista condotta dai vertici della Chiesa: lo slogan “sulla
vita non si vota”, mentre sulla “vita” votano, eccome!!, i parlamentari di
obbedienza vaticana, è stato un invito a non informarsi, a non discutere,
a non partecipare, delegando tutta la faccenda agli “esperti” e alle
autorità indiscutibili di una Chiesa che tratta in proprio i suoi
interessi ideologici e politici. Per ora, questa è anche una sconfitta
dell’autodeterminazione, che però può tramutarsi nel suo contrario se da
questa vicenda le donne traggono elementi per approfondire autonomamente
il problema; chi non sentiva di potersi pronunciare, chi non trovava una
risposta convincente, in fondo ha fatto bene a non sentirsi obbligata al
voto; ma ora si può continuare a lavorare su questi temi. Vorrei proporre
alcune riflessioni in ordine sparso, rispondendo a domande che mi sono
state poste dopo un intervento pubblico sulle mie vicende nel campo della
maternità.
“E’ sbagliato ostinarsi nel volere un figlio ad ogni costo!” – mi sono
sentita dire. Ma un figlio comporta sempre dei costi e dei rischi; ogni
donna deve poter decidere da sé quali e quanti costi è disposta ad
affrontare, sulla base dei propri desideri e condizioni.
“Bisognerebbe parlare di fecondazione artificiale, piuttosto che
assistita”. Chi parla così non sa quanto l’espressione “fecondazione
artificiale” suoni offensiva e impropria alle donne che desiderano essere
aiutate ad esprimere la propria fertilità e a vivere una gravidanza.
“C’è il rischio di consegnare le donne come cavie alla sperimentazione
medica”. Il rischio, ovviamente, c’è; c’è sempre, per qualunque essere
umano nei confronti della medicina. Ma c’è anche la possibilità che una
donna consapevole di sé utilizzi le risorse mediche e scientifiche per
aumentare la propria libertà di scelta, per avere più possibilità.
“Si va nella direzione della maternità artificiale, della macchina-utero
in cui si sviluppa l’embrione”. Personalmente, penso che ne siamo ancora
molto, molto lontani; perché so per esperienza che la scienza ignora
ancora moltissimo sulle modalità con le quali un embrione si collega al
corpo materno, sui rapporti che si stabiliscono tra i due organismi e
anche, oltre un certo limite dello sviluppo, tra i due sistemi
neurologici. Inoltre, ammesso che si riesca ad impiantare un embrione in
un utero artificiale, bisognerebbe vedere che tipo di bambino ne esce, con
quale stato di salute, con quali difese immunitarie ecc. Credo che, prima
che si arrivi a questa eventualità, potrebbero verificarsi cambiamenti
tali, nella società o nell’ambiente, da rimettere la discussione in
termini totalmente nuovi. E come sarebbe poi ,sul piano affettivo e
mentale, un bambino nato da un utero artificiale? Il feto a un certo
stadio del suo sviluppo sente rumori e ritmi musicali, risente delle
emozioni della madre, ne percepisce il battito cardiaco. Bisognerebbe
disporre non semplicemente di un utero artificiale, ma di un organismo
umano materno, mente compresa… La faccenda sconfina nella fantascienza.
Comunque, ammesso e non concesso che sia possibile far crescere un feto
umano in un utero artificiale, se ci trovassimo in un contesto di libertà
femminile e di autodeterminazione riconosciuta ciò potrebbe tradursi in
una nuova possibilità di scelta: gravidanza naturale o extra-corporea?
Purché, naturalmente, ci sia una donna o una coppia disposta ad assumere
per intero la responsabilità parentale sul bambino e non si creino dei
“figli di nessuno”.
“La PMA svalorizza i
corpi delle donne e li mette tendenzialmente fuori gioco”. Per me è
avvenuto il contrario, sia sul piano fisico che su quello affettivo e
mentale. Avevo bisogno di qualcuno- e in particolare di una donna- che
riconoscesse, sostenesse e aiutasse il mio desiderio di maternità. Le
diverse pratiche di fecondazione assistita mi hanno fatto conoscere meglio
il mio corpo e le sue possibilità – che emozione, vedere nell’ecografia i
follicoli ovarici che si sviluppano! Non è, in fondo, qualcosa di molto
simile all’autovisita e al self-help con lo speculum, con l’unica
differenza di utilizzare uno strumento più complesso, l’ecografo anziché
lo speculum e lo specchio, una ginecologa anziché una semplice amica?
Inoltre, attraverso le pratiche di PMA qualcosa si è messo in moto in me,
sia a livello fisico – forse la GIFT ha comportato un lavaggio delle tube
che ha consentito una successiva gravidanza spontanea, forse l’uso
massiccio di ormoni ha smosso qualcosa - sia a livello mentale e
affettivo: mi sono sentita più forte come donna.
“Perché provi un sentimento di riconoscenza verso i medici che ti hanno
sottoposta a pratiche di PMA senza riuscire a farti avere un figlio?”
Anzitutto, la scelta è stata interamente mia e sono stata informata anche
sui rischi e sulle limitate possibilità di successo (negli anni 80,
attestate intorno al 10%; oggi forse siamo al 20%). Ma soprattutto, mi
sono sentita accolta e incoraggiata nel mio desiderio di maternità, mentre
intorno a me non sentivo, da parte di altri, molta collaborazione
autentica. Il medico-capo ha forse avuto più importanza nel valorizzare il
desiderio di paternità di mio marito; io mi sono trovata in grande
sintonia con la ginecologa che ha lavorato per anni, facendo sia ecografie
che interventi e costruendo, con me e con parecchie altre donne, anche la
sua carriera professionale. Lei faceva un “tifo” genuino per le mie
ovulazioni e i miei concepimenti, anche se si verificavano in cicli
spontanei; simpatizzava con me e costruiva la sua professione. Io,
nonostante il forte stress, ero contenta di ovulare, anche di
super-ovulare, di concepire; e mi sentivo solidale anche con la
professionalità della mia ginecologa. A cose fatte, lei mi ha monitorato
per anni, perché sarebbe stata molto dispiaciuta, sul piano sia personale
che professionale, di eventuali danni collaterali provocati da circa 15
cicli con stimolazione ormonale, oltretutto senza ottenere un figlio;
abbiamo fatto amicizia e anche lei ha avuto una bambina quando non era più
giovanissima, diciamo sulla quarantina. Inoltre, penso che questa lunga e
sofferta vicenda sia stata come una gravidanza durata circa sette anni,
alla fine della quale è stata possibile una maternità adottiva
soddisfacente. Anche sull’adozione e sulle sue procedure avrei molto da
dire.
“Perché ricorrere alla PMA quando ci sono al mondo tanti bambini
abbandonati?” Perché le due cose non vanno affatto messe in
contraddizione. Ci sono donne che prima fanno un’adozione, poi riescono ad
avere un secondo figlio naturale che prima non arrivava; e ci sono donne
che riescono ad adottare con serenità solo se si sentono in pace con la
propria fertilità, perché ne hanno fatto esperienza adeguata, comunque
siano andate le cose; credo di essere una di queste ultime. Naturalmente
ci sono anche donne che riescono a fare le due cose insieme, o decidono di
fare solo una delle due, o nessuna delle due; libertà di scelta per tutte,
senza moralismi. La nostra società ha bisogno di un approccio più
accogliente verso tutte le forme di maternità; non a caso siamo uno dei
paesi con più basso tasso di natalità, nonostante le sbandierate “campagne
per la vita”!
“Che cos’è per te un
embrione?” Una premessa, o meglio una promessa, di esistenza umana
individuale che però molto difficilmente si realizza, perché la strada è
molto lunga e irta di ostacoli. L’embrione è una condizione necessaria ma
non sufficiente, è indispensabile un corpo materno in grado di accoglierlo
e di nutrirlo. Ci sono moltissimi embrioni che si perdono per la strada.
Io ho avuto inseriti nelle tube 5 miei ovuli , con corredo di spermatozoi;
quando sono arrivate le mestruazioni e ho capito che nessuno di loro aveva
“attecchito” ho pianto a lungo guardando un grande albero e vedendo i nidi
di uccellini, numerosi e fragili come loro. Da allora, mi viene spontaneo
pensare alla mia vita e al genere umano, o alla vita in generale, come a
un grande albero (naturalmente, il simbolo è antichissimo e lo so bene, ma
l’immagine mi viene proprio spontanea). Ho visto poi, sempre attraverso
l’ecografia, il frutto del mio primo concepimento: una “camera
gestazionale” ormai vuota, una culla biologica vuota. Ho visto anche il
mio secondo “concepito”: si vedeva l’abbozzo della placenta e all’interno
un mucchietto di cellule, ma purtroppo non c’era il “battito” dell’abbozzo
di cuore, non batteva. Non c’era il cuore, non c’era neppure un abbozzo di
mente. Nessuno mi ha saputo spiegare il perché, mi hanno solo detto che
succede, succede spesso. Non si trattava certo di persone umane, anche se
io desideravo intensamente un figlio vivo, capace di sentire e di pensare.
“Nella PMA e nella scienza c’è un assurdo e improprio desiderio di
onnipotenza”. Che la scienza non sia né onnisciente né onnipotente mi pare
un dato di fatto; però starei attenta a non fare di ogni erba un fascio e
a rigettare qualunque “fantasia di onnipotenza”. Ho trovato questa
fantasia trionfante in alcuni racconti di aborti voluti: la donna si
sentiva fortissima perché aveva la sensazione di poter restare incinta e
avere un figlio quando e come voleva lei. Ho trovato echi di fantasie di
onnipotenza in tante donne in stato di gravidanza avanzata, che si sentono
fortissime anche perché vivono condizioni ormonali e immunologiche
potenziate. Le fantasie di onnipotenza fanno parte di noi, e concorrono
alla sicurezza; basta esserne consapevoli per evitare le disastrose cadute
a cui possono dare adito quando sono fantasie non riconosciute , o non
elaborate, e allora si incontra un insuccesso a cui non si è preparate,
oppure, a nascita avvenuta, una donna cade in depressione post-partum
perché all’euforia e all’onnipotenza succedono, in concomitanza col brusco
calo ormonale, sensazioni di inadeguatezza, di sconfitta e di pessimismo
che in alcuni casi possono anche originare tragici suicidi, o infanticidi,
o suicidi-infanticidi (dovremmo occuparcene, che ve ne pare?)
“La fecondazione
eterologa in coppie omosessuali non consente al bambino di fare i conti
con la differenza, in particolare con la differenza sessuale”. Ho sentito
la risposta di alcune donne omosessuali: il seme maschile è comunque in
gioco e può essere donato, da un amico, da un conoscente o da un donatore.
Vorrei aggiungere che mi pare che in una maternità siano sempre in gioco
più di una donna; una è la madre, l’altra è la donna che assiste, che può
essere la madre della madre, una sorella, un’amica, una parente, un gruppo
di donne; è ben difficile essere madri senza avere, o sentire, questa
cooperazione, magari anche solo a livello immaginario. In una coppia
omosessuale, le due donne sono “già lì”, anche se probabilmente entrambe
hanno bisogno di vedere riconosciuta la propria femminilità e capacità
materna e non so se sono sempre in grado di confermarsela l’una con
l’altra; occorrono allora altre donne che collaborino, a livello reale o
immaginario. La figura paterna è indispensabile a livello psicologico, ma
può benissimo non coincidere con un padre biologico presente in carne ed
ossa, come ci dimostrano tanti bambini figli di donne sole o vedove.
Quanto alla differenza, ricordiamo che in una coppia omosessuale ci sono
due donne diverse tra di loro.
“ Le interruzioni
volontarie di gravidanza e le fecondazioni assistite sono drammi o
tragedie?” Ai tempi della lotta per l’aborto (libero, gratuito e
“assistito”, guarda caso) si è detto giustamente che l’aborto è un dramma
e che renderlo libero, gratuito e assistito ha lo scopo di non farlo
diventare una tragedia (le morti per aborti clandestini). Le fecondazioni
assistite sono drammi; mi pare che nessuna donna sia morta per peritoniti
dovute alle super-ovulazioni, perché c’è assistenza medica; i controlli
successivi possono attenuare o prevenire gli effetti collaterali delle
stimolazioni ormonali. Le vere tragedie dell’infertilità femminile si
confondono tra i suicidi e le depressioni delle donne. La storia della mia
fecondazione assistita, che ho sentito il bisogno di raccontare giovedì
sera alla Casa della Cultura, oggi mi sembra un dramma a lieto fine, un
po’ come nelle commedie di Menandro: la soluzione arriva improvvisa nel
lieto-fine perché c’era già, ma per poterla riconoscere e realizzare
bisognava attraversare tutte le “peripezie “ del dramma.
Molte altre domande mi
sono venute da parte di donne che volevano conoscere maggiori particolari
sia sulla PMA che sull’adozione. Non varrebbe la pena di aprire la Libera
Università delle Donne anche a queste domande? Ciao a tutte. A presto
15 giugno 2005
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