Immacolate concezioni. L’Europa prima della nascita di Dio
Negli ultimi dieci anni ho lavorato
intensamente intorno a una domanda che mi si era fatta pressante: che
effetti ha prodotto la simbologia pesantemente ed esclusivamente maschile
e patriarcale delle religioni monoteiste – nel cui universo simbolico
siamo nate - sulla vita spirituale delle donne?
Quale perdita, quale ferita profonda è stata
per le donne vedersi sbarrata la ricerca di un’immagine di sé divina, di
una via spirituale percorsa al femminile?
Nel mio cercare ovunque le tracce di un
immaginario del divino diverso, ho riscoperto che addirittura, un tempo,
dio era una donna….Da qui è partita la necessità di rimappare i confini
della Storia. E oggi il mio compito è un po’ questo, darvi un’idea della
cornice storica, farvi intravedere la linea zigzagante della
trasformazione nell’immaginario “religioso” della specie umana dal
femminile al maschile. ….
Toccherò, per come si può fare nel breve
tempo di un intervento, tre punti: la storia, la nascita di dio,
il significato di alcuni simboli ancor oggi molto comuni.
- Il primo dato che balza evidente è che la
Storia di tutti i continenti, e anche la storia dell’Europa Antica (Gimbutas)
è assai più vecchia di quello che ci hanno insegnato (e continuano a
farlo) a scuola. Grazie alle continue scoperte avvenute durante tutto il
‘900 e a nuove discipline, tra cui la genetica delle popolazioni, e a più
precisi sistemi di datazione, ora è necessario tirare indietro la
memoria almeno fino a 30/20.000 anni fa, cioè a prima dell’ultima
glaciazione, e in questo radicale spostamento di prospettiva i nostri
consueti 4000 anni di Storia Certa e Attestata sembrano rimpicciolire e
di fatto si rivelano per quello che sono: la breve storia del patriarcato.
La pre-istoria - parola
sufficientemente ambigua da scoraggiare ogni ulteriore indagine e da
condannare questo lungo, indefinito, inquietante periodo alla irrilevanza
– ora comincia ad avere una precisa articolazione. E’ una parola che
ricorda molto da vicino il termine barbari che usavano Greci e
Romani per indicare tutte le popolazioni altre da sé e le parole hic
sunt leones che un tempo sulle mappe geografiche definivano i
continenti sconosciuti, ma tali ovviamente solo dalla prospettiva
eurocentrica!
E da questa “preistoria” ci arrivano
immagini di culture ginocentriche, altamente civili, pacifiche e legate
alle stagioni e ai cicli della luna. In cui, oltre all’invenzione della
ceramica e della tessitura, era in uso anche una forma originale di
alfabeto, i cui esiti finali si possono trovare nei misteriosi lineare A e
B di Creta.
- Strettamente intrecciato col piano della
storia non detta è il processo che porta alla nascita di dio: la figura
di un dio, di Dio con la D maiuscola nella sua definitiva evoluzione in
Unico Padre Creatore Trascendente dell’universo, nasce solo ad un certo
punto di questa Storia Antica. Basterebbe un percorso iconografico a
mostrarlo.
Nasce, come è naturale che sia, da un corpo
di donna, che per millenni è stato rappresentato da solo. Poi le si annida
in grembo, le sta seduto sulle ginocchia, poi diventa figlio/paredro/amante,
dio della vegetazione, da lei trae la sua dignità e il suo potere, finché
non si fa abbastanza scaltro/coraggioso/impudente e irriconoscente da
prenderle il posto: in molti miti ormai di epoca storica la tira
letteralmente giù dal trono (è il caso del mito numerico di Ereshkigal e
di un mito egizio, per esempio).
Ma scalzando, uccidendo, rimovendo la “dea”
si liquida, cancella, rimuove una intera lunga fase della storia della
specie umana, una elaborata e raffinata visione del mondo, incentrata
sulla sacralità e la connessione, e si afferma un’altra, che nel breve
periodo è sembrata assai più efficace, quella del dominio del maschio
sulla madre, sulla terra, sulla donna, su ogni altro-da-sé: e nasce la
religione, come tentativo istituzionalizzato, cioè affidato a una casta,
non più pratica diffusa e quotidiana, di ri-collegare ciò che viene
continuamente separato e rinnegato. Nasce la cultura del dominio e dello
sfruttamento sulla terra. Nei corpi delle donne viene ucciso il sacro e
la loro anima.
- Alla fine farò accenno a qualche storia di
Immacolate Concezioni, termine che va inteso in un’accezione ben diversa
da quella cristiana. Le prime cosmogonie infatti sono molto più astratte,
metafisiche, essenziali delle storie a cui ci siamo abituate dopo lo
strappo tra cosmo e umano: le cosmogonie olimpiche, per esempio, stanno a
questi primi racconti di creazione come un quadro del rinascimento vicino
a una scultura “primitiva” africana.
E per mostrarvi il capovolgimento subito da
quasi tutti i più antichi simboli sacri, vi porterò qualche esempio,
quello del triangolo e della trinità, soprattutto, ma anche quello del
binomio madre/figlio, così tipico dell’area mediterranea.
E come fin da 30.000 anni fa, tre donne –
naturalmente disconosciute dall’establishment patriarcale –
sostengono le mie parole: Jane Ellen Harrison, Marija Gimbutas e Momolina
Marconi.
Ho pensato di leggervi subito una preghiera,
quella alla Regina del Sole di Arinna, che risale a circa 6000 anni
fa e che penso suonerà anche a voi stranamente familiare. Viene
dall’Anatolia.
Regina del sole di
Arinna
tu sei la più
altamente onorata.
Sia santificato il
tuo nome,
perché sei più grande
di ogni altro dio.
Tu sei colei che
regna su tutto,
e reggi ogni cosa
in cielo e in terra,
componendo le
dispute,
dispensando la tua
misericordia,
provando compassione
per tutti
quelli che invocano
il tuo nome.
Tu sei sorgente di
ogni calore,
madre dei popoli di
tutte le terre.
Celebriamo il tuo
culto con la massima riverenza,
perché la tua
giustizia è sempre presente,
anche quando permetti
che altre divinità siano venerate,
nei loro giorni
santi, con i loro sacrifici,
poiché esse
proteggono i cancelli del cielo
stando
rispettosamente ai tuoi fianchi
mentre trascorri per
ogni giornata
in tutto il tuo
splendore e la tua onnipotente gloria.
Notate, per inciso, che
la dea è il Sole, che ovunque in origine era percepito come femminile,
come erano considerati originariamente femminili il cielo e l’acqua: il
passaggio da femminile a maschile del sole è uno di quei momenti che
segnalano un cambio di paradigma, quando la dea si fa di terra, e il sole
viene partorito dalla dea-terra e nella terra ritorna ogni sera. La dea si
è fatta mamma. Il sole è diventato Ra, Signore del Cielo e della Terra.
Ma di primo acchito,
penso che di questa preghiera colpisca l’invocazione che ha delle evidenti
analogie con «e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai
nostri debitori». Si chiede alla dea di svolgere un ruolo regolatore, e ci
si aspetta che risponda con compassione, amore, benevolenza. Anche il più
tardo Padre nostro non mette in scena il dio terribile della
Bibbia, ma conserva questa immagine di benevolenza che ne fa una delle
preghiere più umane del cattolicesimo, che immagina dio come un buon
padre, che è esistito nella nostra cultura più come ideale che nella
realtà. Forse proprio perché che non di un padre si trattava all’origine,
ma di una madre.
Ma veniamo alla Storia.
Si possono individuare almeno tre fasi distinte.
1. L’Europa è stata abitata almeno a partire
da 400.000 anni fa: per esempio, nella Spagna centrale ad Atapuerca,
vicino alle montagne di Burgos, sono stati ritrovati resti fossili di ossa
in una caverna usata come tomba. Non era ancora né Neanderthal né il
Sapiens Sapiens, ma una varietà europea di homo erectus, chiamato
homo heidelbergensis.
Nella Repubblica Ceca, a Dolnj Vestonica,
sono stati trovati resti di tessuto, databili intorno al 27.000 a.c. Ed è
proprio dal 30.000 in poi che inizia il primo periodo ben documentato di
una cultura che ha ritratto la dea in innumerevoli modi e per tutta
Europa: da Lespugue e Laussel nel nortd-ovest della
Francia, a Willendorf in Austria, in Italia nelle cosiddette
Veneri di Savignano e del lago Trasimeno e, andando verso
est, nelle innumerevoli statuette trovate da Brno fino in Russia e
in Siberia, tutte appartenenti allo stesso periodo. Nella grotta di
Laussel possiamo addirittura indicare il primo “tempio”, scavato nella
roccia, con la triplice rappresentazione delle “dee” con il corno lunare e
il primo esempio di numerazione (13 tacche, calendario lunare o
mestruale).
2. Il secondo periodo, successivo alla
glaciazione, va da circa 10.000 anni fa fino ai primi arrivi documentati
di genti proto-indo-europee, a cominciare dal 4000 a.c. E’ il periodo
riportato alla luce da Marija Gimbutas nei suoi scavi nelle zone danubiana,
balcanica e in Puglia..
Riferendosi alle sue scoperte Harald
Haarmann, professore di Linguistica a Helsinki, ha potuto formulare la
teoria secondo cui nell’Europa Antica, a partire dal 5300 a.c., cioé 2000
anni prima che in Mesopotamia, esisteva una scrittura lineare chiaramente
collegata a funzioni sacre. Questa scrittura si era diffusa fino al mare
Egeo, dove rimase in uso fino al periodo minoico-cretese. In questa vasta
area centro-meridionale d’Europa, anche le zone distanti geograficamente
mantenevano contatti frequenti non determinati da un qualche potere
centrale. Si trattava cioè di un modello di civiltà molto diverso da
quello della civiltà sumera (ritenuta fino a oggi la culla della
scrittura), che era fortemente centralizzata e sovradeterminata dalle
crescenti funzioni amministrative delle nascenti città-stato. Nell’Europa
Antica non si sviluppò nessuna organizzazione di tipo statale
centralizzato, dove la scrittura nacque dal bisogno di inventariare,
numerare, catalogare beni, merci , ecc. Qui le iscrizioni avevano una
funzione sacra, molto spesso legata al mondo dei morti e compaiono molto
spesso anche su figurine femminili, oggetti di culto e offerte votive.
3. La terza
fase interessa un’area geografica più periferica e ha una differente
iconografia: è la cosiddetta Cultura Megalitica, che si estendeva dal Mar
Nero alle isole del Mediterraneo e poi risaliva lungo le coste
atlantiche della Spagna e della Francia fino alle Isole Britanniche, in un
periodo presumibilmente (recenti scoperte farebbero arretrare la datazione
di qualche millennio) compreso tra il 4.000 e il 2.000 a.c. La sua estrema
manifestazione fu la civiltà cretese e terminò con l’arrivo dei popoli
indoeuropei più famosi, i Greci e i Latini.
La maggior parte delle dee di questa area
vennero assunte nel pantheon olimpico e le possiamo ancora trovare nei
poemi omerici e nelle cosmogonie e leggende del mondo celtico e della
mitologia nordica.
Dalla
ricerca di Momolina Marconi vediamo che l’area coperta è in realtà più
vasta, esce dall’Europa:
“Grazie allo
studio delle sopravvivenze religiose di alcune divinità femminili nella
religione romana, possiamo vedere come la grande civiltà mediterranea
passasse attraverso il Mar Nero, attraversasse le valli del Tigri e
dell’Eufrate fino ad arrivare alla valle dell’Indo (qui si riferisce alla
pubblicazione delle scoperte di Gordon Childe 1935 e Ernest Mackay 1936):
i ritrovamenti di Mohenjo Daro e di Harappa rivelano impensati rapporti
tra il mondo religioso anatolico-egeo e quello dell’India pre-aria e
farebbero pensare ai Dravida come a popoli di provenienza occidentale che,
sovrapponendosi ad una primitiva popolazione negroide, sarebbero stati il
veicolo della civiltà mediterranea sino alle foci del Gange ed all’isola
di Ceylon”(in Riflessi Mediterranei nella più antica religione laziale,
1939)
M. Marconi
chiama questo popolo, che aveva dato vita a una ricca e civilissima
koinè, “i Pelasgi, un popolo dolicomorfo (cioè con una
circonferenza cranica e struttura ossea leggermente minori rispetto ai
successivi brachicefali indoeuropei), mediterraneo e preindoeuropeo, che
attesta la sua presenza fin dal paleolitico superiore a ovest e a est
dell’area egeo-anatolica….. In Italia possiamo trovare tracce di queste
prime popolazioni a nord nei Liguri (i terramaricoli che abitavano
l’Italia settentrionale da tempo immemorabile) e a sud (inclusa la
Sardegna) nei Siculi, probabilmente oriundi dall’Africa e diffusi sino
all’Asia minore e assai più oltre.
Solo nella parte finale dell’età del bronzo
e la fase più arcaica dell’età del ferro si riconosce l’arrivo in Italia
di nuove genti…Sono i Protovillanoviani… premuti da gravi rivolgimenti
etnici avvenuti nella Balcania….non navigatori, non conquistatori bensì
agricoltori in cerca di terre (inceneritori e non inumatori dei loro morti
come i Pelasgi) che soltanto alla fine di un lungo processo si riconobbero
col nome di Latini.”
Va ricordato
che nemmeno i Villanoviani sono ancora indoeuropei ma mediterranei
indoeuropeizzati nella loro sede balcanico-danubiana e che parlano lingue
indoeruropee come effetto della colonizzazione, lingue che che avranno in
Italia una lentissima infiltrazione sul blocco linguistico
osco-umbro-volsco originario.
Le varie
ondate di popoli indoeuropei (prevalentemente Greci e Latini nel
mediterraneo, Celti a nord delle Alpi), tutti provenienti da est come più
tardi anche i gruppi germanici e slavi e tutte le altre più recenti
invasioni barbariche, ebbero enormi conseguenze sui modi di vita e sulle
forme di culto delle popolazioni indigene.
Arrivavano a
cavallo, con abitudini nomadiche e non agricole, con la tecnologia del
ferro, una organizzazione gerarchica al loro interno e un sistema di
valori completamente diverso, basato sulla guerra e la conquista, le virtù
del guerriero.
E dove non
riuscirono le armi, gli incendi e gli stupri alla fine trionfò lo
shock culturale. La “dea” fu costretta a “sposare” il dio guerriero,
la Madre di tutti i cicli vitali della natura rimase al massimo come
memoria nell’antenata mitica di un clan, il Figlio prese il posto della
Madre.
Dopo alcuni
millenni (il processo non durò poco tempo) di continue migrazioni e di
resistenza da parte della millenaria cultura dell’Europa Antica, il
sistema guerriero vinse e il patriarcato si impose.
Ma
l’antico ordine non fu cancellato, semplicemente sparì dalla superficie.
Sopravvisse e sopravvive
sotto le
fondamenta dei nuovi templi e poi delle nuove chiese, nei significati
nascosti dietro i “nuovi” simboli, nelle leggende e nelle feste popolari
soprattutto nelle aree periferiche dell’Europa, nelle mitologie e nei
cuori della gente comune, negli abitanti dei villaggi, chiamati Pagani.
Dopo gli
eserciti e l’Impero di Roma, il Cristianesimo sembrò portare un nuovo
periodo di spiritualità e di pace, ma fu una breve illusione e
l’imposizione di un Solo Dio Padre Onnipotente accese alla fine i Fuochi
delle Streghe per oltre tre secoli ininterrottamente. E poi, né i principi
dell’Età dei Lumi portati dalla rivoluzione francese né il marxismo posero
fine alla distruzione di una spiritualità femminile e pacifica, che
tuttavia attraverso la figura delle Madonne, sia bianche che soprattutto
nere, delle fate e persino delle Frau Holla e della Befana non si è mai
spenta del tutto negli interstizi della nostra civiltà patriarcale,
cristiana, materialistica e scientifica.
Perché si
possono tagliare e bruciare i tronchi degli alberi, ma non è altrettanto
facile eliminare le radici, che qui o là, prima o dopo, ricacciano un
nuovo germoglio (devo questa immagine a Mary Daly in Quintessence,
Realizing an Archaic Past).
Vorrei
adesso darvi un’idea delle visioni cosmogoniche ginocentriche che sono
incredibilmente sopravvissute a tutte queste vicissitudini. A
differenza degli altri continenti, dove le antiche cosmogonie sono state
rinarrate fino quasi a oggi, in Europa l’avvento di una religione
monoteista, di un Dio molto geloso, di una cristianizzazione forzata unita
ad una sistematica demonizzazione di tutte le forme di credenza
precedenti, le memorie dell’antica sapienza sono state più capillarmente
cancellate, spesso capovolte o perlomeno filtrate attraverso la visione e
i pregiudizi di quegli scrivani cristiani cui toccò alla fine di
registrarle in scrittura.
Come ha ben
mostrato M. Gimbutas, in origine la dea non ha un nome.
Era la
manifestazione delle forze vitali che davano forma al mondo, era il
simbolo delle leggi che regolano l’universo, era il Serpente, la Danza
della Spirale nata dal Caos, che oggi chiamiamo DNA con il linguaggio
della narrazione scientifica. Tutto l’universo danzava con lo stesso
ritmo, seguiva la stessa armonia. Lei era la Dispensatrice di vita,
collegata innanzitutto con l’Acqua e tutti i suoi simboli (zigzag,
serpentine, reti, ecc.), rappresentata come corpo gravido pieno della
promessa di vita e abbondanza, associata con l’Orsa e la Vacca e spesso
accompagnata da animali selvatici che le stanno accanto.
Dopo la
diffusione dell’agricoltura, fu collegata con la Terra e i suoi cicli
di nascita, raccolto e morte, ora più spesso accompagnata dall’Ariete, il
cui vello veniva tosato, attorcinato e filato per la tessitura. Ora viene
rappresentata piuttosto come fertile Scrofa, ma anche come Dea Uccello,
associata all’acqua primordiale.
Nelle Età
del Bronzo e del Ferro, è vista soprattutto come Colei che dà la Morte
e la Rigenerazione: ora viene rappresentata come Avvoltoio, Corvo e
Civetta, accompagnata dal Cinghiale, le cui corna hanno il potere di
uccidere l’Amato dalla Dea (come viene raccontato nei miti di Iside e
Osiride, di Cibele e Attis, di Afrodite e Adone, in cui il Figlio/Amante
viene ucciso nel pieno dei suoi anni). Ma era sempre ancora Energia e
Sviluppo, spirale e serpente. Albero della Vita, chevron, triangolo,
occhio…..
La
concezione della morte che regna durante tutte queste fasi è comunque
quella secondo cui il morire è carico di significato, in quanto è momento
di passaggio necessario di un processo in eterno divenire, e non il punto
senza ritorno della vita. Tornare alla Terra è come tornare nel Corpo
Vivente della Madre, perché la terra non è ancora “polvere” inanimata come
nella maledizione biblica di Dio ad Adamo: “Polvere eri e polvere sarai”.
Una
delle più antiche storie di creazione sopravissute in Europa, e che mostra
molti di quei tratti messi in risalto da Gimbutas, è la storia di
Ilmatar. Ilmatar significa sia Madre
Cielo che Madre Acqua, e cielo e acqua si mescolano nella sua figura, che
è molto simile alla madre creatrice degli Inuit, che noi chiamiamo
Eschimesi.
Ilmatar scese sulle acque ondose
dell’oceano sballottata tra i marosi, la schiuma e i venti dell’est.
Spinta dalle onde, ondeggiò prima verso est, poi verso ovest, poi a sud e
poi a nord. Infreddolita e spaventata cominciò a pentirsi di aver lasciato
le gentili brezze della sua terra e quando ormai era al culmine della
tristezza, si posò su di lei un’alzavola, che cercava un punto fermo su
cui riposare e fare il proprio nido.
Allora la gentile Ilmatar alzò il suo
ginocchio traendolo fuori dall’acqua e in questo modo dette forma alla
prima collina, dove l’alzavola subito costruì il suo nido. La collina
diventò verde e fiorita. L’alzavola depose sei uova d’oro e una di ferro.
Ma Ilmatar dovette muovere il ginocchio, e nel farlo le uova caddero e si
frantumarono. Ed ecco che dal guscio interno delle uova si formò la terra,
da quello esterno la volta celeste, dal giallo il Sole, dal bianco la luna
e dalle macchioline dell’albume le Stelle.
Ora Ilmatar galleggiava serena
sull’oceano, fino a quando, un giorno sollevò la testa e iniziò una nuova
fase della creazione. Con il dito formò i fiordi per procurare gli
approdi, con le dita dei piedi sul fondo dell’oceano dette forma a caverne
e anfratti in cui i pesci potessero deporre le uova; poi si allungò
formando così le baie e le spiagge. Pose dei pilastri per sorreggere il
cielo e con le rocce delle montagne infine creò tutte le altre creature
esistenti sulla terra. Finito questo lavoro tornò nell’acqua e ancora oggi
vive da qualche parte nel mare.
Achlis, Gaia
e
Nikta nel
mondo greco,
Nut in
quello mediterraneo-egizio e
Audbumbla
in quello scandinavo sono i nomi che ci restano nei pochi
ricordi articolati di cosmogonie femminili.
Achlis
esiste prima del caos primordiale, è pallida e sottile, ha lunghe unghie e
occhi lacrimosi.
Gaia è il
caos che prende forma in un corpo di donna-madre: esiste prima del Tempo,
perché Crono è uno
dei suoi
figli. E’ per desiderio d’amore che Gaia crea Urano, il cielo, separandolo
dalla terra e con lui si accoppia. E poi anche Ponto, il mare.
Nikta,
avvoltoio scuro come la notte e la pelle dei primi abitanti del
Mediterraneo, dà alla luce il giorno
ma anche
Eros, che esce dall’Uovo da lei partorito nel vento; corrisponde a Nut in
Egitto (la volta del cielo stellato, la via lattea, che ama così
intensamente il suo piccolo fratello Geb -la terra- da giacere su di lui
in costante accoppiamento) e a Nakta nell’India pre-ariana, che
partorisce un’altra dea, Ushas, l’aurora. Achlis, Gaia e Nikta
rappresentano una delle più antiche triadi (vergine, madre, morte che
rigenera).
Il tempio
più famoso a lei dedicato giace sotto il tempio di Delfi dedicato ad
Apollo in epoca storica, dopo che lui lo ebbe conquistato col fuoco e lo
stupro. Lei è la Profetessa Primeva, associata al Sacro Serpente chiamato
Delfina o Pitone. A lei vengono accesi fuochi sul monte Olimpo, per lei si
entra nelle viscere delle caverne oracolari per scrutare il futuro.
Audbumbla
nasce invece dal caos come se lo immaginavano alle latitudini più
fredde: quando a nord esisteva solo il ghiaccio e a sud solo un fuoco
costante, in mezzo, dal caos tra caldo e freddo, tra espansione e
contrazione prese forma Audbumbla, la mucca ricca di latte (e Ymir, un
malvagio ometto che, geloso come Urano con Gaia, le strappa i figli dal
seno…..)
Del lavoro
di J.E. Harrison prendo solo un aspetto funzionale al discorso che sto
facendo, la sua dimostrazione di un passaggio fondamentale nella nostra
storia comune, quello rappresentato da Zeus che, con il suo fulmine,
pietrifica la parte del daimon di cui l’umano partecipa e trasforma
tutte le potenti energie delle passioni e degli impulsi in statuette
personificate. Il suo atto finale, dopo aver ingoiato sua “moglie” Themis
- personificazione della sapienza femminile precedente – sarà quello di
dare finalmente alla luce la Donna Nuova, Athena, nata dalla testa di un
uomo. Non più “dea” per genealogia materna. E intanto, sull’altra sponda
del Mediterraneo, i misteri di Iside e Osiride, mescolandosi col Dio
Padre dei Semiti, stanno preparando l’ingresso sulla scena di Maria e di
suo figlio, Gesù.
Mentre
questi fatti succedono più a oriente, nella nostra penisola è
riscontrabile un passaggio un po’ diverso, che vi dirò con le parole di
Momolina Marconi
“Il culto
della natura nella penisola italica, che testimoniava una visione
immanente del divino, prese forma in innumerevoli divinità femminili come
Marica, Feronia, Angizia, Kirke, Pasifae, Mestra, Agamede, Bona Dea,
Hygieia, Diana, Flora e altre. Ciascuna di esse rappresentava un’immagine
locale e individualizzata della Grande Dea mediterranea, così come si era
sviluppata in questa area geo-storica: la potnia phytòn (Signora
delle Piante) e la potnia pharmakòn (Signora delle
Medicine)…….Signora delle erbe dei fiori delle piante, signora delle belve
e degli armenti, signora degli agricoltori e dei marinai, signora delle
fanciulle mature per le nozze e delle spose feconde: a questo suo
vastissimo mondo essa guarda benigna e soccorrevole, pronta a favorirne e
a proteggerne il prodigioso moltiplicarsi…Questa onnipotente divinità è
specialmente adorata come elargitrice di salute, di benessere….Helios,
illuminando la terra e riscaldandola, operava accanto alla dea, vera
Potnia del mondo universo, di cui egli era paredro ( colui che le
siede accanto, poi Picus padre di Fauno e avo del re Latino ……)
“Il suo culto era all’aria aperta, sulla
cima verde di una altura, nelle radure luminose di un bosco, presso le
rive opache di un lago, nell’ansa tranquilla di un fiume dove l’acqua
scorre più silenziosa”.
Questi
passaggi sono tratti da Kirke, 1942, mentre nel saggio Da Circe
a Morgana del 1941, aveva rilevato come tutti questi elementi, che
appartengono ad uno strato profondo della memoria, si possono ritrovare
molto più tardi, a nord delle Alpi, conservati nella mitologia celtica,
dalla Francia alle Isole Britanniche.
“Insieme a
questa immagine della dea, sopravvissero anche l’antico dio della
vegetazione, suo paredro e suo frutto (che ora indossa le vesti verdi di
Robin Goodfellow, Puck, Robin Hood - n.d.a.), il Dio Cornuto
attribuito alle streghe (cui Margaret Murray ha dedicato il libro Il
dio delle streghe - n.d.a.) e le loro celebrazioni sono
continuate fino in Età Moderna tra i Pagani (ossia le genti dei villaggi),
fino alla sua trasformazione finale nel Diavolo delle Streghe dell’Età dei
Roghi.
Circe, il
nome con cui questa rappresentazione della dea è sopravissuta nella
letteratura greca, è perciò molto di più che una delle seduttrici
incontrate da Ulisse: rappresenta l’archetipo della potnia phytòn,
l’esempio più pregante delle pharmakides, la dea nella sua piena
manifestazione come Signora delle Fiere, guaritrice e sciamana, la maga
più famosa del mondo mediterraneo antico assieme alle due sue sorelle
Medea, la maga più famosa d’Anatolia, e l’italica
Angizia, dea del culto dei
serpenti dell’Appennino abruzzese.
E veniamo
infine molto brevemente ai simboli: il triangolo, la triade
o trinità, la madre con figlio.
Dopo la
trasformazione delle società preistoriche in società patrilineari e
l’avvento di una religione monoteistica, questo insieme di simboli è
sopravvissuto in forma o con attribuzioni capovolte. Il triangolo sacro,
in origine con la punta rivolta verso il basso, era la forma stilizzata
del triangolo pubico, inciso nelle grotte, sulle statuette, sulle pietre,
simbolo dei genitali femminili da cui sgorga la vita.
La trinità,
anche quella di Dio, che ci insegnano essere uno e trino, deriva dalle
antichissime rappresentazioni della dea, che si manifesta come giovane
fanciulla, madre matura e vecchia saggia, che rendono il trascorrere della
ruota del tempo e la ciclicità della vita.
Quando poi
la dea mette al mondo il Dio della Vegetazione, il Figlio prezioso dovrà
essere sacrificato perché - nato sul piano definito e singolo della
materia, differentemente dall’energia femminile del cosmo che si mostra
attraverso il corpo della dea - fa parte del ciclo delle generazioni delle
piante e degli animali.
Concludo con le
parole di Riane Eisler, che suonano pressapoco così:
“Un aspetto poco sottolineato e tuttavia
assai critico della lotta che si sta svolgendo circa la ricostruzione
delle origini dell’umanità sta nel fatto che non si tratta affatto di una
disputa di puro interesse accademico. Leggere la storia alla luce della
mia teoria della Trasformazione Culturale significa riconoscere che la
tensione originata dai due modelli, quello della dominazione e quello
della collaborazione, specialmente in tempi di grande disequilibrio
sociale e tecnologico, quale quello presente, può provocare un radicale
spostamento di direzione, come è già avvenuto in passato. Riconoscerlo è
della massima importanza perché riguarda la capacità di immaginare il
nostro futuro”.
E come dice
Mary Daly , è Qui e Ora che si realizza il nostro Futuro Arcaico.

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