Il diniego della morte
di Maddalena Gasparini

 

modi di morire


Il mio primo morto da medico mi colse di sorpresa. Era un uomo vecchio, consumato dalla malattia. Presa dal panico –era una delle mie prime guardia- cercai di rianimarlo. Mi fermò il figlio, non avevo ancora imparato ad allontanare i parenti al mio arrivo.
Ancora oggi chi studia medicina non è preparato all’evidenza che di malattia si può morire: “sentendosi addossare la responsabilità di ogni decesso, i medici sono indotti dal senso di colpa e dalla preoccupazione, a lottare per prolungare la vita, spesso a scapito della sua qualità”. Così Iona Heath introduce il suo prezioso libretto: Modi di morire.
Medico di base in un quartiere povero di Londra, Iona Heath ringrazia quei pazienti che in 30 anni di attività le hanno insegnato che “si può vivere e morire in modi diversi” e ci consegna, insieme al racconto di esperienze significative, frammenti di letture, di prosa, teatro, saggistica e poesia, che aiutano a restituire la morte alla vita.

Se nell’insegnamento della medicina fossero (state) incluse quelle che oggi chiamiamo humanities, forse avrei fatto meno fatica a recuperare quel ruolo di “persone che hanno famigliarità con la morte” che ancora fino a pochi decenni fa era attribuito ai medici.
Dimentichi che “malgrado le dispendiose pretese della medicina, la morte resta l’inevitabile conclusione della vita” il contributo moderno della medicina al processo del morire è troppo spesso un suo prolungamento, come anche i casi giunti alla cronaca documentano.
Il “diniego della morte impone un pesante tributo di esperienza ai vivi quanto ai morenti” tanto che se gli antichi temevano la morte improvvisa, molti oggi ci sperano.
Un tempo si credeva che l’avvicinarsi del medico accelerasse la morte, oggi si teme che la medicina e la sua tecnologia prolunghi il morire e la sofferenza che l’accompagna. Eppure una malattia terminale, una prognosi non troppo azzardata, ci offre l’opportunità di “lasciare in ordine le proprie cose, contribuire a pianificare il proprio funerale, condividere e rivivere i ricordi, dire addio, perdonare ed essere perdonati e dire le cose che andrebbero dette”. Il medico allora deve muoversi leggero intorno al morente, dar misura alla sedazione del dolore (ma in Italia lo si fa ancora troppo poco) così da non impedire che la mente possa “riassumere la vita in una cornice coerente”.

In Gran Bretagna, dove la tradizione delle cure palliative ha ormai lunga vita, diverse ricerche hanno documentato che si può parlare di “buona morte” con chi vi si sta avvicinando e coi suoi cari e che sono piuttosto i medici a temerne; che la maggior parte delle persone attribuisce a un buon controllo dei sintomi un ruolo fondamentale nel contribuire a una morte dignitosa: curare una sofferenza nella maggior parte dei casi eliminabile è una delle finalità della medicina al termine della vita.
Il timore, che Iona Heath mutua da Illich e da Gadamer che “attraverso l’uso di analgesici e sedativi noi soffochiamo qualsiasi possibilità di libertà nella morte” è una verità che va mitigata dalla consapevolezza che il morente è spesso una persona ancora in grado di contribuire alle scelte che lo riguardano: può darsi che “il dolore sia quasi benvenuto perché siete liberi di provarlo o no a vostra discrezione” ma può essere che prevalga il desiderio di «dormire», di una sedazione che anticipa la morte della coscienza liberando da una sofferenza insopportabile e dai sintomi che la medicina palliativa definisce refrattari.
“Lasciando intendere che sia possibile morire senza soffrire, la medicina fa una falsa promessa” … “L’ambizione che l’assistenza medica riesca a permettere ai pazienti di morire senza sintomi è un’utopia irrealizzabile e pericolosamente disonesta” scrive Iona Heath. Vero.
In una realtà che vede più della metà delle morti assistite dalla medicina, l’equilibrio fra l’eccesso di trattamenti e il ritiro va cercato caso per caso, respingendo l’accusa di abbandono spesso rivolta a chi rinuncia a quei mezzi di sostegno vitale (il respiratore, la nutrizione artificiale) che agli occhi di alcuni appaiono più sacri della vita.
Solo un’assistenza centrata sulla comprensione dei bisogni e sulla valorizzazione dell’autonomia può far emergere e accogliere una volontà che affonda le sue radici assai più nella vita vissuta che nella malattia che la sta portando a conclusione o nelle cure prescritte.


(fra virgolette citazioni dal testo di Iona Heath)

Iona Heath
Modi di morire
A cura di Maria Nadotti
Postfazione di John Berger
Bollati Boringhieri, 2008, €10,00, 116 Pagine

25-04-2008

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