La pratica politica femminista, la costruzione di un pensiero collettivo sulle libertà e le responsabilità individuali, mi permette ora di estendere lo sguardo oltre la vicenda riproduttiva, che per prima mi ha interpellato, giovanissima, proprio sui temi della sessualità e della contraccezione e di cogliere il filo che tiene insieme la ribellione di allora alla resistenza di oggi. Mentre le biotecnologie applicate alla medicina cambiano modi e tempi della vita dal concepimento alla morte, nessuno può dimenticare che sono state le donne a rivendicare per prime e pubblicamente la libertà di decidere del proprio corpo, senza dover pagare il prezzo imposto dall’autorità maschile nelle sue versioni pubbliche - clero, stato, medicina - e private - mariti, padri, amanti: amori infelici, aborti clandestini, contraccettivi insicuri, emarginazione. L’autonomia critica nelle scelte legate alla sfera corporea è oggi una necessità che ci impegna fino alla soglia della morte e oltre - penso alla donazione degli organi o alle direttive anticipate - ma che trova ostacoli e censure non solo nell’invadenza delle gerarchie ecclesiastiche ma anche nella debolezza di una politica che riconduce continuamente l’aspetto pubblico di faccende private - la sessualità, le convivenze, la malattia, la riproduzione - sul terreno della legge o, peggio, della morale. Sono temi che suscitano inquietudini ed emozioni non facili da maneggiare, come l’andamento del referendum abrogativo sulla procreazione assistita ci ha insegnato, e che affrontati in solitudine approdano alle polarità care ai media: la difesa della vita, anche contro la persona o l’entusiasmo per le biotecnologie, indifferente ai rischi; la protezione della famiglia tradizionale o l’individualismo che basta a se stesso. Ora che, dopo l’assemblea milanese del 29 novembre, il ritornello sul “silenzio delle donne” non potrà più giustificare l’approssimazione con cui viene dato conto della nostra riflessione, è urgente mostrare quanto è infondata un’idea di politica separata dalle vite, dai corpi, dagli affetti, in una parola una politica neutra che spera di cavarsela con la “libertà di coscienza” riservata a chi siede in parlamento. La pretesa di governare i corpi e le vite ha il suo modello nella limitazione della libertà delle donne di decidere di sé; e malgrado le grandi mobilitazioni a difesa della qualità della vita - penso per esempio alle lotte ambientaliste - gli uomini stentano su questi temi a uscire dall’ambiguità che li ha visti complici e a riconoscersi come parte in causa. La passione e le azioni per il cambiamento delle (nostre) vite, la "politica differente delle donne, non è diventata politica differente di uomini e donne" (M. L. Boccia). Non ancora. questo
articolo è apparso su
Liberazione del 18 dicembre 2005 |