Non sono più a rischio gravidanza, perché difendo la 194?
E’ passione per la libertà

Siamo state noi le prime a rivendicare la possibilità di decidere sul proprio corpo

di Maddalena Gasparini


Natalia Goncharova


Ci si potrebbe chiedere cosa spinge chi come me non è più a rischio di gravidanza, a difendere la 194 o i consultori. E’ la mia passione per la libertà, in specie quella del corpo, che la crescente complessità degli interrogativi posti dalla modernità non ha intaccato.

La pratica politica femminista, la costruzione di un pensiero collettivo sulle libertà e le responsabilità individuali, mi permette ora di estendere lo sguardo oltre la vicenda riproduttiva, che per prima mi ha interpellato, giovanissima, proprio sui temi della sessualità e della contraccezione e di cogliere il filo che tiene insieme la ribellione di allora alla resistenza di oggi.

Mentre le biotecnologie applicate alla medicina cambiano modi e tempi della vita dal concepimento alla morte, nessuno può dimenticare che sono state le donne a rivendicare per prime e pubblicamente la libertà di decidere del proprio corpo, senza dover pagare il prezzo imposto dall’autorità maschile nelle sue versioni pubbliche - clero, stato, medicina - e private - mariti, padri, amanti: amori infelici, aborti clandestini, contraccettivi insicuri, emarginazione.

L’autonomia critica nelle scelte legate alla sfera corporea è oggi una necessità che ci impegna fino alla soglia della morte e oltre - penso alla donazione degli organi o alle direttive anticipate - ma che trova ostacoli e censure non solo nell’invadenza delle gerarchie ecclesiastiche ma anche nella debolezza di una politica che riconduce continuamente l’aspetto pubblico di faccende private - la sessualità, le convivenze, la malattia, la riproduzione - sul terreno della legge o, peggio, della morale.

Sono temi che suscitano inquietudini ed emozioni non facili da maneggiare, come l’andamento del referendum abrogativo sulla procreazione assistita ci ha insegnato, e che affrontati in solitudine approdano alle polarità care ai media: la difesa della vita, anche contro la persona o l’entusiasmo per le biotecnologie, indifferente ai rischi; la protezione della famiglia tradizionale o l’individualismo che basta a se stesso. Ora che, dopo l’assemblea milanese del 29 novembre, il ritornello sul “silenzio delle donne” non potrà più giustificare l’approssimazione con cui viene dato conto della nostra riflessione, è urgente mostrare quanto è infondata un’idea di politica separata dalle vite, dai corpi, dagli affetti, in una parola una politica neutra che spera di cavarsela con la “libertà di coscienza” riservata a chi siede in parlamento.

La pretesa di governare i corpi e le vite ha il suo modello nella limitazione della libertà delle donne di decidere di sé; e malgrado le grandi mobilitazioni a difesa della qualità della vita - penso per esempio alle lotte ambientaliste - gli uomini stentano su questi temi a uscire dall’ambiguità che li ha visti complici e a riconoscersi come parte in causa. La passione e le azioni per il cambiamento delle (nostre) vite, la "politica differente delle donne, non è diventata politica differente di uomini e donne" (M. L. Boccia). Non ancora.

 questo articolo è apparso su Liberazione del 18 dicembre 2005