Madri russe
di Alexandra Poolos
corrispondente per We News, ha lavorato per Newsday, Radio Free Europe e
Wall Street Journal Europe
Mosca, Russia. L’affollata sede del
“Comitato delle madri dei soldati”, gruppo di attiviste per i diritti
umani assai noto in Russia, ha due stanze piene di scaffali ricolmi di
materiale cartaceo.
Le volontarie rispondono alle telefonate e accolgono i visitatori. La
maggior parte di coloro che vengono qui sono donne, donne i cui figli sono
scomparsi, donne che vogliono sapere come evitare il servizio militare ai
figli e, nei casi peggiori, sono donne che vengono per denunciare
l’esercito come responsabile degli abusi patiti dai figli, o della loro
morte.
L’ufficio freme di attività, mentre le volontarie tentano di gestire
questo flusso di donne, una delle quali è seduta qui da un’ora: la
volontaria sta facendo chiamate su chiamate agli uffici governativi,
chiedendo informazioni sul figlio scomparso di questa madre. A poca
distanza, un’altra volontaria stampa la parola “deceduto” su un mucchio di
pratiche relative a soldati scomparsi.
Con una guerra in Cecenia, le preoccupazioni per una società in cui
striscia la violenza e per i bassi salari, le donne fanno l’impossibile
per tenere i figli fuori dall’esercito.
Il “Comitato delle madri dei soldati”, è una delle organizzazioni non
governative più rispettate nel paese. Ha 300 uffici regionali e gestisce
50.000 contatti all’anno, tramite visite dirette o chiamate telefoniche.
Agisce come una sentinella, portando le proteste per gli abusi commessi
dall’esercito all’attenzione nazionale: i fatti non riceverebbero
altrimenti copertura dai media.
Il Comitato tiene una riunione per le famiglie ogni mercoledì, riunione in
cui risponde alle domande su come evitare l’arruolamento. Le cinque
fondatrici del gruppo dirigono spesso questi incontri. Una di esse è
Valentina Melnikova, una robusta signora di mezz’età con i capelli di un
rosso fiammante.
Molti la chiamano la “Cindy Sheehan russa”. Le due donne sono
effettivamente in contatto, e Valentina racconta che hanno già deciso di
lavorare insieme. Valentina Melnikova è un’attivista di lunga data, che ha
cominciato ad essere coinvolta nella questione per tenere il proprio
figlio lontano dall’Afganistan.
Ora però che una nuova legge è entrata in vigore lo scorso aprile,
l’intero Comitato si considera a rischio. La legge conferisce al governo
il diritto di investigare ogni attività delle ong, e di manipolare i
finanziamenti internazionali ad esse diretti. Se il governo ritiene che un
gruppo non debba esistere può portarlo in tribunale e chiedere la sua
chiusura.
Sebbene il gruppo delle madri sia sopravvissuto ad un’azione di questo
tipo intentata dal governo lo scorso aprile, numerosi attivisti per i
diritti umani sono convinti che il “Comitato delle madri dei soldati”
resti l’obiettivo principale della legge, sia perché lavora su un’istanza
politica, sia perché è meravigliosamente efficace.
Il testo finale della legge fu approntato in fretta in gennaio, proprio
mentre il Comitato aveva portato alla luce un caso di abusi nell’esercito
particolarmente orribile. Un soldato di stanza a Chelyabinsk (una città
siberiana ai piedi degli Urali), al suo primo anno di servizio, era stato
picchiato così tanto che per salvarne la vita è stato necessario
amputargli gambe, genitali e le ultime falangi delle dita della mano
destra.
Le madri, avvisate del caso e scoperto che l’esercito aveva chiesto di
mantenere il segreto ai chirurghi che avevano effettuato le amputazioni,
portarono la storia sulla stampa, sollevando proteste per l’accaduto
nell’intera nazione, e chiedendo le immediate dimissioni del Ministro
della Difesa russo.
Ella Pamfilova, che fa parte di una
speciale commissione governativa che riguarda le ong, e che fu una delle
consigliere di Putin nella redazione della legge, dice che i critici di
quest’ultima saltano troppo velocemente alle conclusioni: “Non è peggiore
delle leggi in altri paesi. Non è buona: non posso dire che è grandiosa o
perfetta. Ma al momento non ha nulla di terribile in se stessa. Il
problema è come verrà applicata, perché ha un certo di numero di articoli
molto vaghi.”
Non è dello stesso parere Ludmilla
Alexeeva, la decana della comunità che lavora per i diritti umani, una
vibrante signora di 78 anni che dirige a Mosca il “Gruppo Helsinki”, il
quale ha festeggiato quest’anno il suo trentennale. Ludmilla dice che gli
attivisti più anziani, come lei, ricordano le difficoltà del lavorare per
i diritti umani sotto l’Unione Sovietica, e che la repressione ha avuto
punte peggiori.
Ma anche se non ci sono più le file dei
cittadini in attesa del pane, ne’ dissidenti spediti in Siberia, Ludmilla
Alexeeva sostiene che la legge sulle ong ha creato una familiare atmosfera
di paura, che rischia di indebolire ciò che gli attivisti per i diritti
umani hanno ottenuto lavorando insieme negli ultimi 15 anni. “Il reale
pericolo,” sostiene Ludmilla, “è che la legge attacchi la rete costruitasi
fra le ong. Può distruggere anni di lavoro, ed è molto triste pensarlo con
tutti gli sforzi che abbiamo fatto per metterci in rete. Inoltre, se
abbiamo successo in numerose attività a favore dei diritti umani, è
proprio perché i vari gruppi sono collegati.”
5 giugno 2006, trad. Maria G. Di Rienzo
Maggiori informazioni:
“Comitato delle madri dei soldati”:
http://www.ucsmr.ru/english/
Russian "Soldiers' Mothers" NGO Fears Closure:
http://www.mosnews.com/news/2006/04/19/soldiersmothersshtml
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