"Madri snaturate"? E' fin troppo facile accanirsi contro la madre che uccide un figlio, finché si considera la donna spinta da un "naturale" istinto materno all'amorosa cura dell'essere che ha messo al mondo. Più difficile interrogarsi di quali cambiamenti, conflitti, sofferenze e sentimenti ambivalenti è fatta la maternità, vissuta spesso in solitudine anche nell'ambito famigliare. Nel Prefazione alla ristampa del libro di Glauco Carloni e Daniela Nobili, "La madre cattiva. Fenomenologia, antropologia e clinica del figlicidio" (Guaraldi 2004), si legge: "Ci sembrò allora importante contribuire con uno scritto dai toni anche un poco provocatori e polemici, a scuotere queste comode e fallaci sicurezze dimostrando che i maggiori pericoli per i bambini, come aveva del resto già sostenuto nel 1932 Ferenczi (...) vengono dall'interno della casa, di quel groviglio incandescente di emozioni e conflitti, tanto intensi quanto spesso mal controllati, da cui è costituito il rapporto tra madri e figli. E poiché soprattutto la figura della madre era alonata e protetta da uno specifico tabù che la voleva totalmente buona ed amorevole, disposta al sacrificio di sé stessa per i propri piccoli (...) mentre venivano trascurati i segni che potevano dimostrare l'esistenza, accanto all'amore, di un'aggressività altrettanto intensa, decidemmo di appuntare la nostra indagine soprattutto sui comportamenti materni (...) Si voleva tentare di combattere lo stereotipo della madre 'buona' e nello stesso tempo ridurre la distanza difensiva e accusatoria nei confronti delle 'cattive' madri, contribuendo ad una conoscenza più approfondita dell'aggressività verso i propri figli, sempre ed inevitabilmente presente in un rapporto tanto più intenso e continuativo di qualsiasi altro"
Commento di Giancarla Dapporto Carissime, La madre consapevole del proprio sentimento ambivalente nei confronti del figlio é una donna colta, che ha messo in discussione il ruolo e sa gestire il rapporto. La ragazza di cui si parla nella cronaca invece é davvero da compiangere, la donna più sola che c'é al mondo, inconsapevole di sé e di ciò che forse ha fatto, perché vittima di un sistema famigliare e sociale feroce. Essere la causa della morte di un figlio é la disgrazia più atroce!
Veronica Panarello, una donna “incolta”? Mie care, condivido la riflessione di Giancarla Dapporto, ma vorrei soffermarmi un attimo sul nesso colta/incolta che la muove. Se ci riferiamo al senso comune della cultura, certamente Veronica non ha avuto molte occasioni per coltivarla; se ci riferiamo alla “cultura” che il femminismo ha diffuso a partire dagli anni Settanta, noto un vuoto, che da un po’ di tempo mi scervello a voler colmare. Che la maternità non sia un evento naturale l’abbiamo già detto: l’autodeterminazione è un fatto acquisito, quanto meno nella coscienza della maggior parte delle donne, e forse anche degli uomini. Forse Veronica Panarello non ce l’ha fatta perché le sono mancate queste occasioni “colte”, forse per altre ragioni, e sento una grande pietà per lei. Ma sento anche che qui emerge una nostra responsabilità: forse non ce l’abbiamo fatta neanche noi, femministe storiche, a dare forma civile a tutte le espressioni della nostra sessualità. Vorrei per questo cominciare col dire ad alta voce che essere individue dividuali mette al mondo un’idea di libertà imprevista per una cittadinanza accogliente, ancora in erba, che parte da una nostra esperienza vitale ma può (vuole) diventare una cultura condivisa da tutte e tutti…Fiorirà.
14-12-2014
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