Magdalene Laundries

e la pace turbata dei sepolcri imbiancati

di Luciana Percovich


Non è la prima volta che le "lavandaie di Maddalena" riescono a mostrare la loro o-scena realtà al mondo esterno,attraverso canali di comunicazione la cui modernità e risonanza mediatica acuisce il contrasto con l'arretratezza della realtà raccontata, facendola apparire ancor più incredibile e inaccettabile. Oggi è un film, il film che ha vinto il Festival di Venezia, anche grazie alla direzione di Gong Li, e ha acceso risentite rimostranze tra i cattolici appartenenti alla tipologia dei sepolcri imbiancati, mentre qualche anno fa a essere turbato fu il mondo della musica pop.

In una splendida e struggente canzone del 1999, Joni Mitchell raccontava con ancora maggior crudezza del regista Peter Mullan delle Magdalene Laundries e delle ragazze/bambine lì rinchiuse che arrivavano "incinte dei loro stessi padri", frutti indesiderati di incidenti di percorso in una società patriarcale e che i conventi femminili accettavano in silenzio di riciclare in qualche modo. E Sinead O'Connor, la testa rapata come chi tentava di fuggire dal "ricovero delle sorelle" di Maddalena, sulla stessa onda di denuncia di una realtà insieme nascosta e ben conosciuta da tutti, sul palco di un concerto stracciò la foto del Papa, simbolo dell'oppressione di tutte le ragazze d'Irlanda.

Quindi non un caso abnorme e singolare, circoscritto agli anni '60 (in cui avviene la storia delle tre ragazze del film) mostra il film Magdalene ma una realtà secolare e ancora non del tutto estinta nella cattolicissima Irlanda che non ammette l'aborto in nessun caso.

Infatti, fin dalla cristianizzazione dell'isola nel VI secolo ad opera di San Patrizio (il cui successo venne sintetizzato nel detto popolare "liberò l'Irlanda dai serpenti" cioè dalla cultura/sessualità pagana), le donne sono state costantemente e selvaggiamente represse vedendo nel loro corpo e nella loro autonomia - riottosa e incontrollabile - la più potente minaccia all'ordine sociale, culturale e religioso patriarcale, che nemmeno i nerboruti guerrieri celti erano riusciti completamente a imporre.

A causa della sua bellezza e della sua sessualità ogni donna d'Irlanda deve sentirsi colpevole, a prescindere dai suoi atti o dalle sue intenzioni: Deirdre of the Sorrows è la figura delle leggende irlandesi che incarna l'archetipo della ragazza che in quanto "nata bella" ha su di sé la colpa di portare alla rovina tutti gli uomini che la incontrano.
Per secoli i prolifici monaci d'Irlanda hanno cesellato pagine e pagine con nevrotica costanza certosina per cancellare o capovolgere una memoria millenaria fatta di simboli e miti che tramandavano il ricordo di madri e regine mitiche, di guerriere maestre d'armi e d'amore, di profetesse e maghe, interrogandosi sgomenti sulla "natura" delle donne: wo- men, che-uomini? Certo non-uomini, quindi non-umane, forse fate, streghe, comunque aliene.

Il film di Mullan (che nel film si assume anche il ruolo più odioso del padre aguzzino della figlia fuggita dal convento) racconta con spietatezza, determinazione e nessun autocompiacimento una realtà che era sotto agli occhi di tutti ma di cui era e ancora è meglio tacere: e forse il film è potuto arrivare a un festival mainstream proprio perché di un uomo, altrimenti sarebbe stato molto facile liquidarlo come il prodotto rancoroso di farneticazioni isteriche e persecutorie tipicamente femminili. Ed è un film duro, senza nessuno sprazzo d'amore né momenti di ironia né pause di poesia. Non è particolarmente rivolto contro le suore ma contro l'intera società di cui anche loro sono un prodotto funzionale.

Parte con le belle immagini dell'Irlanda tradizionale - quella che tanto affascina gli stranieri -, con la sua musica i suoi balli e il caldo folklore di un matrimonio come fuori dal tempo e, senza parole, narra in un'unica lunga sequenza muta la storia di Margaret (l'unica ragazza che uscirà a testa alta dopo quattro anni dalla prigione/convento di Magdalene), del suo repentino stupro ad opera di un cugino.

Quello che le accade spiazza subito sia per la fulmineità che per la scelta del regista di narrare senza parole: si tratta appunto di qualcosa di indicibile, che non può/non deve arrivare alla parola/coscienza dell'ordine patriarcale, perciò è o-sceno e deve restare fuori scena. Ma deve essere lavato, come i panni sporchi dell'intera comunità complice, dalle lavandaie di Maddalena, "sentina di Jezabel", sotto l'occhio ormai insensibile delle guardiane dell'ordine di Dio/Padre, e che un tempo ormai lontano furono le vestali del fuoco sacro di Brighid. Che, prima di trasformarsi in una santa cattolica (Santa Brigida è tuttora la santa protettrice (!) d'Irlanda), col nome di Bridget era sta la madre dei Briganti - una delle tribù celtiche arrivate in Irlanda - e da tempo ancora più antico custodiva il fuoco a Celldara (oggi Kildare), fuoco che fu spento nel convento sorto in quel luogo solo nel 1220, con l'editto di un vescovo di Dublino. E come quando si torturavano le streghe, i preti e i padri sono alleati nella loro totale perdita di umanità (ma sono mai stati, loro, compiutamente umani?) e le madri e le sorelle sono paralizzate e indurite dalla mutilazione dei loro corpi, anche se al riparo delle mura di un convento. Nessuno si salva.

Suor Brigid, questo il nome della madre superiora, in un lungo primo piano del secondo tempo sembra cercare per un attimo dentro di sé la coscienza e il senso di ciò che le accade intorno, ma è solo un momento che allontanerà subito da sé come tentazione del Maligno. Triste caricatura di Brighid, che lasciò il suo nome alla Britannia, portò e custodì il fuoco, fu protettrice del parto e della fertilità e dell'arte di forgiare i metalli, guaritrice e inventrice dei "quadri con le parole"! E, come Freya, Afrodite, Cibele, Iside e Maria diventò infine "la madre dei dolori" che piange la morte del figlio maschio e la mortificazione di tutta la vita e delle vite di tutti. Triste riduzione a pallida guardiana di un ordine non suo. Che il film costringe a vedere per quello che è, perché forse il tempo dell'ignoranza imposta, del silenzio complice e del sonno greve di noi tutti resi "burattini immemori occupati a celebrare riti e a manipolare oggetti e parole sacre di cui si è perso il senso e lo scopo" comincia a sgretolarsi.