Milena Magnani, Il circo capovolto

di Liliana Moro

circo

Un piccolo libro coraggioso che affonda lo sguardo in un mondo da cui oggi si preferisce distoglierlo. Il mondo dei campi nomadi o, con le parole della voce narrante, "Un coagulo che il destino deve avere scartato dal flusso inarrestabile della corrente del benessere”.

Entrare e mostrare quella vita senza pietismi né moralismi non è facile, soprattutto in questo periodo di risorgente razzismo contro i nomadi. Magnani sceglie un narratore quanto mai insolito: un morto, che dalla sua condizione di sospensione tra due mondi, relitto tra i relitti, vede e sente tutto ciò che gli accade intorno. Guarda il presente, rievoca il passato e narra una storia così lieve che “presto poseremo la tua storia sopra una foglia galleggiante nel fiume. La guarderemo arrivare alla foce. E a quel punto si partirà”

Una storia che non è solo del giovane carpentiere ungherese Branko Hrabal: è quella di uomini, donne, ragazzi, e soprattutto bambine e bambini, che vivono nel campo. Gente arrivata dai più diversi angoli d'Europa, sospinta magari dalle recenti guerre balcaniche oppure, come il protagonista, dalla persecuzione nazista, che ha aperto ferite per nulla rimarginate, né –del resto- curate.
E' anche la storia di tutto un popolo, o meglio più popoli, che un tempo viaggiavano di paese in paese ed ora sostano ai margini delle città.
Dentro queste vite precarie c'è la storia di una professione che più mobile non si può: quella degli artisti da circo. Un'arte aerea che introduce aperture e sogni nei luoghi meno adatti.
Il circo “come un miraggio, appare in un posto che fino alla notte prima era vuoto e il vostro occhio quasi si incanta. Ed è proprio questo incantamento che fa partire un fantasticare, un movimento di allegrie che si sparge, come un'epidemia, per i campi e per le aie.”

Branko, il narratore di tutte queste storie, inizia a narrare appena dopo essere stato ucciso. Una scelta coerente con la necessità di far entrare il lettore in una realtà così esile, malferma, come le baracche del campo, come gli sguardi dei bambini, come i salti degli acrobati.
Una realtà indefinita e plurima come le lingue che si incrociano in quello spazio: il meticciato linguistico è uno dei fascini di questo romanzo, dai dialoghi veloci e mai didascalici, anche se nasce evidentemente dal bisogno di far conoscere un mondo ignoto e ignorato.

L'altro fascino è la capacità di far baluginare la speranza, una speranza sottile e quasi spettrale che si apre a tratti illuminando la notte, come il bianco cappello di Nap apò, o cullando il dolore, come il canto funebre delle donne sul cadavere di Branko, o come il tendone del circo, che è un “latomàs”, un miraggio.
La speranza è Senija, la bimba che ascolta Branko con uno sguardo così limpido e serio che gli fa dimenticare freddo, stanchezza e dolore. Una bimba apre il varco, lo stretto spiraglio per una possibile uscita dal degrado e forse solo una donna poteva raccontare una storia così.

“Io vi racconto delle cose, ma voi avete la capacità di seguire le parole?”

Milena Magnani, Il circo capovolto
Feltrinelli, gennaio 2008, pp.166, € 12,50

 

28-01-2008

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