Malta: un viaggio verso la Dea Antica


Di Valeria Melissa Aliberti

 


Parto verso Malta con uno stato d’animo trepidante. Era tanto che desideravo questo viaggio. Calpestare la Terra delle Antenate.
Vedere i templi di pietra, risalenti al 3600 a.c circa, che ancora ci mostrano, stabili, le loro belle forme tonde.
Vedere le Donne/Dee scolpite dalle donne e dagli uomini in quei tempi così lontani ma ai quali mi sento, nell’Anima profonda, così vicina.

Tutto questo ha per me il senso di ricostruire, tassello dopo tassello, l’eredità che sento mia. L’eredità di un’epoca di pace e bellezza, di unione e condivisione.
Vedere con i miei occhi, percepire le energie con i miei propri sensi è accogliere in me l’Eredità speciale dell’eterno femminino per poterla rivivere in modo più pieno e consapevole.
Prima di partire sono già lì con tutta me stessa e leggo e rileggo febbrilmente notizie di vario tipo.
Resto affascinata da qualcosa che mi suona nuovo, l’origine del nome di Malta: Melita. Melitta. Miele. E se, mi domando, le sacerdotesse api che da tempo polarizzano i miei studi e i miei sentimenti, le Melisse, avessero avuto la loro casa, nei tempi più remoti, proprio a Malta, l’isola del miele?
Mi perdo molto dietro questa fantasticheria, ma sono solo congetture che forse non riusciranno ad avere una risposta dimostrabile. Le tengo comunque nel cuore, strette strette.
Ma è giunto il momento di partire. Non sono mai stata così pronta.

Una spontanea preghiera silenziosa
Melita, calda di sole e fresca di azzurro mediterraneo.
Terra Antica di Madre lontana, ma ancora vivissima e quindi vicina, rinnovatesi, perenne nei suoi eterni spiraleggianti cicli.
Melita di Miele, di roccia ocra che quasi profuma di deserto, di api sacre e di sabbia fine.
Melita di Donna di forme piene, accogli questa giovane Figlia, venuta a cercare la Donna Antica.

Mellieha
La nostra base è Mellieha che ha, come Malta, un nome che odora di Miele.
Mi è sembrato da subito un buon auspicio.
Offre un panorama bellissimo, suggestivo soprattutto di notte.
È tranquilla, silenziosa, paradiso di gatti magrolini, alcuni dolcissimi, altri diffidenti e teneramente spiritati, tutti ugualmente affamati. Ogni gruppetto felino ha la sua via che non lascia mai. Non li vedo mai cambiare postazione, li ritrovo sempre negli stessi posti.
E, da amante dei gatti quale sono, una delle cose che faccio è fiondarmi al supermarket per comprare qualche scatoletta. La sera, passo da tutti loro.
Mellieha è anche piena di chiese e sono tutte per lei, per la Signora, quasi che nessun altro personaggio della storia cristiana avesse posto.
Sulla guida leggo anche di nostra Signora della Grotta. Voglio assolutamente vederla.
Il suo piccolo posto sacro è scavato, per l’appunto, in una roccia e la sua statua bianchissima è poggiata su una pietra al centro delle acque di una sorgente sotterranea.
Visitandola si ha l’impressione (o per lo meno io l’ho avuta) della continuità della ricerca del ritorno al suo grembo anche se le sue fattezze non sono le stesse e la sua sovranità è ormai perduta.
È una buona base, Mellieha.
Non mi sono pentita di questa scelta.

Hagar Qim, Mnajdra e le meraviglie della natura
Se non hai una guida solo l’intuito ti può aiutare a trovare, nelle sterrate stradine di campagna, deserte, i templi di Hagar Qim (“pietre che stanno in piedi”) e Mnajdra.
Ma quando ci arrivi sei ripagata di tutto il misterioso e zigzagante itinerario.
Prima della visita ai templi vedo, in un piccolo percorso iniziale, la prima statua di Donna/Dea di questo mio viaggio. Meravigliosa. Seduta, le gambe “a sirena”, una mano poggiata sul ventre e una sulla poderosa coscia.
Purtroppo vedo anche il cartellone che la accompagna.
Donna o uomo? Con, affiancate, l’immagine della statua e l’immagine di un lottatore di sumo. Per far capire che, insomma, il legame con il femminile non è così scontato…
Ovviamente se le statue avessero avuto segni incerti ma percepibili di mascolinità nessuno avrebbe mai e poi mai sollevato discussioni. Sarebbe stato uomo, incontrovertibilmente.
Ma in questi tempi stravaganti si sa… un seno di donna può essere molto mascolino.
La visita ai templi cancella in parte il mio indispettito risentimento.
Non possono che essere gemelli questi due templi, così vicini tra loro di cui uno, quello di Mnajdra, è un tempio doppio.
Immagino processioni da un tempio all’altro.
Da una parte le colline verdi e gialle dall’altra il mare azzurrissimo, le scogliere e la lontana e disabitata isoletta di Filfla, compagna solitaria per gli occhi. Considerata nel Medioevo l’isola del Demonio mi domando cosa sarà stata seimila anni fa.


Templi sul mare per raccogliere la forza delle stelle, della luna e la luce particolare del sole al mutare delle stagioni.
Immagino fanciulle danzare nello spiazzo davanti alle rocce d’entrata ai templi di Mnajdra. E poi la sacerdotessa dell’oracolo parlare, nascosta nella sua piccola cameretta segreta, la sua voce che esce profonda e amplificata dalla piccola finestrella, e le persone ascoltarla, rapiti, pieni di rispetto per le sue parole divine.
Provo a pensare dove fossero posizionate le statue delle Donne/Dee.

Immagino l’acqua raccolta nei fori scavati in una pietra posta sul terreno, all’ingresso.
E mi interrogo sui fori pressoché uguali, però sulle pietre erette. Mi piace pensare che forse contenessero miele da raccogliere col dito e assaggiare prima di entrare. Oppure ocra rossa con la quale, magari, pitturarsi il corpo.
O forse sono semplicemente coppelle per l’acqua piovana.

Di nuovo non c’è risposta certa, e lo accetto. È giusto così. Certe cose si sono perse insieme agli Antichi.

 



Nella stessa zona non sono solo i templi a rapire il cuore ed aprire la mente.
La natura è bellissima e senza che nessun essere umano ci metta lo zampino dona delle visioni di bellezza incomparabile.
Tutto è molto difficile da scovare, ma questo non fa che accentuarne il fascino.
La Blu Grotto vista dall’alto è un cammeo azzurro che lascia senza fiato. Il mare così trasparente e limpido, il volo dei gabbiani bianchi…
Madre Terra non ha bisogno di noi, le nostre creazioni non sono nulla a confronto con le Sue. Credo che sia ora di diventare consapevoli di questo, e di rispettarlo maggiormente.
Le Dingli Cliffs non danno lo stesso senso di meravigliosa vertigine ma trovarsi a camminare completamente soli su quelle lunghe strade sterrate e rocciose, bianche come la luna, senza sapere cosa aspetterà il tuo sguardo appena il paesaggio cambierà di prospettiva è comunque incantevole.
Lì si vede un po’ di vera Malta.
Comino e Cominotto
Sono convinta che Comino e Cominotto siano state, un tempo, luogo di Sirene.
Roccia ocra, rossa, bruna.
Cespugli di Timo dall’odore penetrante.
Grotte in un mare dal colore del cielo, brillante più che mai.
Sabbia bianchissima, perlacea.
Immagino le Sirene giocare in acqua, o prendere il sole sugli scogli intrecciando ghirlande d’alghe, scherzando tra loro, cantando insieme ai gabbiani.
Oggi il posto più suggestivo di Comino, la Laguna Blu, è solo il paradiso di turisti irrispettosi e le Sirene sono fuggite lontane, nel mare più profondo.
Ma forse chissà, al tramonto e all’alba, quando le isole sono nuovamente deserte, vengono ancora a sedersi sugli scogli e ad incantare l’acqua con la loro magia.

Gozo
A ragione Gozo è considerata l’Isola di Calypso.
È bellissima, molto più di Malta. Più selvaggia, più verde e al contempo più rocciosa, più pura.
Un simpatico taxista del luogo, Tony, ci ha portati in giro tutto il giorno aspettandoci sempre e facendoci visitare posti che probabilmente non avremmo mai visto, come la basilica di Ta Pinu, l’adorabile museo folklorico di Gharb, la cittadina di mare Marsalforn o le splendide Xerri’s Grotto.
Queste ultime hanno una storia curiosa.
Nel 1923 Antonio Xerri stava scavando un pozzo sotto casa sua, per raccogliere l’acqua. E mentre scavava… Meraviglia! Stalattiti e Stalagmiti ovunque. Ha deciso quindi di preservare quel luogo incantevole, rendendolo anche visitabile.
Così si suona il campanello della casa degli eredi di Antonio e la sua simpatica nipote viene ad aprire e ti conduce a vedere le grotte, raccontando la loro storia e facendoti vedere le forme di certe stalattiti che talvolta somigliano ad animali.
Stupefacente.
Come stupefacente e sublime è l’Azure Window, un’altra perfetta creazione tutta naturale.
Un arco negli scogli e un mare di colore purissimo.

Ma io sono a Gozo soprattutto per Ggantija, che scopro pronunciarsi Gigantija con l’accento sulla j, il tempio più grande e più antico (3600 a.c) delle isole maltesi. Si trova in posizione sud est, sulla sommità di una collinetta il chè rende la vista suggestiva e bellissima.

Come Mnajdra, è un tempio doppio con fattezze femminili. Tutti i templi maltesi sono tondeggianti ma a Ggantija, in entrambe le costruzioni, una più grande ed una più piccolina, tutte le parti importanti del corpo tondo della Donna/Dea sono presenti: la testa, i due seni e le due imponenti natiche.

Madre e figlia l’una accanto all’altra. Estate ed inverno. Mestruo e ovulazione. Vita e Morte.
Il tutto armonicamente unito, in perfetta continuità. Tutto si celebrava nel medesimo luogo, ma in templi separati.
E si possono immaginare le donne sedute in cerchio a mestruare insieme in una stanzetta del tempio.

 



E di nuovo l’oracolo parlare con la sua voce amplificata.
Tutto a Ggantija è amplificato perché Ggantija è “la Gigante” ed ho saputo di leggende secondo le quali sarebbe stata proprio una gigantessa a costruire questa dimora sacra mentre sulle spalle portava i suoi figli. Quel luogo, che divenne poi un complesso templare fu, secondo la leggenda, la casa di quella razza di giganti che in tempi remotissimi abitò l’isola di Malta e di cui la gigantessa costruttrice fu la prima Matriarca.
Lì, nel silenzio e nella solitudine (perché non c’era nessun altro visitatore) ho rivolto varie preghiere e ringraziamenti agli Antichi.
E sono stata colpita dall’idea che le coppelle (nella soglia del tempio più grande ci sono quattro fori su ogni lato) forse custodivano le offerte che gli uomini e le donne facevano uscendo dal tempio.
Forse da una parte le benedizioni di entrata e dall’altra le offerte all’uscita.
Continuando a fantasticare avrei voluto accucciarmi tra le pietre piene di fiorellini colorati, e non andare più via.

Le Dee antiche, l’Ipogeo e Tarxien

La Valletta è una splendida capitale. Piacevolissima da girare a piedi. Così color panna, con le case che hanno ancora un sapore positivamente retrò, le scalinate, le mura da cui si gode di una visuale veramente a 180 gradi.
Meravigliosa.
Trovo subito il museo di archeologia e per un attimo mi viene il dubbio che sia chiuso perché tra tutta la gente che affolla la via principale non uno che si fermi o guardi l’entrata.
Ma per fortuna il museo è aperto e posso visitarlo in una silenziosa e perfetta calma.
Le foto, qui, le scatta tutte il mio compagno. È molto più bravo di me e io sono troppo emozionata ed estasiata per prendere in mano la macchina fotografica.
Pietre dei templi con decori meravigliosi a spirale ovunque. Su una pietra c’è una bella processioni di animali con le corna (credo siano capre) e in mezzo a loro un paffuto maialino.
Ossa con pesci incisi e di nuovo spirali.
E poi ecco le Donne/Dee.
Tutte, e sono tante, nelle stesse due posizioni. Erette in piedi o sedute, le gambe a sirena.
Ma immancabilmente, in entrambe le pose, con una mano sul ventre (o sotto il seno) e una sulla coscia (o quasi sulla vulva).



Il loro messaggio sacro mi commuove fino alle lacrime. E penso a quante statuine ci siano nell’area mediterranea dei periodi successivi, che riproducono la stessa identica posa. Un messaggio passato da generazione a generazione, attraverso le aree geografiche e, col passare del tempo, arrivato sino a noi. Il nostro corpo è sacro. Il nostro corpo contiene la vita e la morte. Il nostro corpo è il corpo della Dea. È arrivato il momento di rendercene conto. E di agire di conseguenza.

Uscire dal museo e immergermi di nuovo nella folla della Valletta è strano. Ma io quasi non ci sono.
E poi abbiamo il nostro appuntamento alle 14:00 all’ipogeo, quindi non riesco a concentrarmi su nulla.
Mi piace che l’ipogeo si trovi in una cittadina che, alle orecchie di un italiano, riporti alla mente un nome di donna: Paola.
Tra vie deserte e casette color crema a un certo punto giri l’angolo ed eccoti davanti ad una porticina con una scintillante lineare scritta: HYPOGEUM.
E tu pensi “Come? Qui?”
Ma oltrepassato l’atrio, quando inizia il tuo turno di visita, allora proprio sotto i tuoi piedi, sotto quell’anonima piccola abitazione, allora ecco il vero prodigio.
Cunicoli scavati nella roccia e veri e propri templi intagliati nella pietra, architettura scolpita.
Luoghi di sogni e visioni profetiche, luogo di guarigione, grembo di sepoltura di antenati, grotta iniziatica, antico cordone ombelicale tra sottosuolo e superficie.
La sua energia è intatta e può ancora travolgerti.
La bellezza dei dipinti rossi ti penetra negli occhi. Spirali, alberi carichi di frutti maturi.
Il grembo, il cuore, la vista si risvegliano.
Un tempo qualcuno, nel fresco cuore della Terra, cantava, piangeva, sognava.

Non so se sia un caso che il numero che ricorre, nell’ipogeo, sia il sette.
Sette strati.
Penso ad un posto lontanissimo da Malta e ad un mito che amo in cui la Dea deve attraversare sette cancelli per giungere, nuda, davanti alla regina dei morti, Signora del Grande Ciclo.
E l’ipogeo è stato una tomba.
Mi perdo una volta di più nei miei collegamenti e nelle sensazioni fortissime che la terra mi rimanda e che riguardano riti antichi di guarigione, incubazione di sogni, relazione con le Antenate e anche, certamente, il sapere della morte.

Usciamo dal fresco ipogeo e ci ritroviamo nelle accaldatissime stradine di Paola a cercare il sito di Tarxien. Ed è altrettanto surreale.
Abbiamo girato parecchio in tondo vicinissimi all’entrata prima di capire bene dove fosse.
Tra le case ma circondato da alte mura.
I dettagli finemente ricostruiti e posizionati esattamente dov’erano quando li hanno ritrovati. La Grande statua della Dea e le pietre intagliate originali adesso si trovano al museo di archeologia.





È come fare un vero salto nel tempo ma se guardi appena un po’ più su rispetto alle rocce antiche ecco davanti a te i palazzi moderni. Meglio tenere gli occhi bassi, allora, e guardare ciò che veramente è importante. Ciò che è più vicino alla natura, quella natura che, un tempo, era l’unica entità che abbracciava le grandi, bianche, smussate pietre erette dagli Antenati.



I luoghi che ho visitato avranno memoria di me?
La Terra sulla quale ho posato i piedi riecheggerà il suono dei miei passi?
Le antiche pietre che mi hanno incantata ed alle quali ho inviato tutto il mio amore ricorderanno un po’ del mio respiro, dei miei grati sguardi, dei palpiti commossi del mio cuore?
E se non dovesse essere così avrebbe importanza?
Forse sono solo vuote e vane domande dell’ego.
Ma mi piacerebbe se un po’ della mia piccola essenza permanesse in queste pure testimonianze per incantare un po’ anche io i cuori futuri così come credo, o mi piace immaginare, che sia per le anime delle Antenate che quei templi li hanno eretti e che con tanta devozione hanno compiuto in loro i bei riti dimenticati.
Pietre ed Anime fuse insieme e che, insieme, tramandano conoscenza e risvegliano i sensi.
Per far sì che non tutto vada, per sempre, perduto.

 

 

10 ottobte 2011