Barbara Mapelli, L'eterosessualità impensata. Quanto insegnano le minoranze

Maria Antonietta Selvaggio

 

 

L’idea di fondo di questo libro, secondo le parole dell’autrice «è quella che le persone fuori della norma, norma che è stata in larga misura occlusione di libertà, sono coloro che stanno insegnando nuove possibilità di essere, singole e collettive, a tutte e tutti». La lezione proviene da soggetti e gruppi costituiti non solo da persone LGBT ma anche gender fluid o gender variant, queer, pansessuali: tipologie che rappresentano «una possibilità plurima del desiderio e dell’affettività, che può mutare nel tempo anche nella stessa persona». Imparare a pensare l’eterosessualità all’interno di una pluralità indefinita di scelte è un dovere verso se stessi/e nell’ottica del rispetto della propria e altrui libertà. Un percorso non facile in quanto ostacolato da uno zoccolo duro di pregiudizi e stereotipi che può essere disfatto soltanto con un profondo cambiamento culturale della nostra società. L’autrice, che aveva già affrontato l’argomento in precedenti lavori - ricordiamo in particolare Nuove intimità (2018) e Nel frattempo (2020) - questa volta ci accompagna in un percorso di decostruzione e ricostruzione che, attingendo a fonti testimoniali, letterarie e scientifico-filosofiche, presenta argomentazioni e narrazioni decisive ai fini della presa di consapevolezza anche da parte di un pubblico ampio di lettori e lettrici oltre che di interlocutrici e interlocutori esperti.

Con stile dialogante Barbara Mapelli ci conduce al cospetto di una realtà in trasformazione, fornendoci gli strumenti non solo per una osservazione attenta dei comportamenti e delle pratiche affettive e sessuali ma anche o, soprattutto, per una autoriflessione che ci metta in grado di distinguere in primo luogo tra eterosessualità ed eteronormatività. È una premessa imprescindibile dell’intero lavoro intendere la prima dimensione come una possibilità tra le altre, ancorché maggioritaria, e la seconda come una imposizione storicamente data. Il che significa che ancora oggi si vuole rappresentare l’eterosessualità con un carattere di «norma-normalità-naturalità», sulla base di una presunta prescrizione della natura, tradizionalmente legittimata con il richiamo al fatto che «solo l’incontro sessuale tra donna e uomo può dare la vita a una nuova creatura»; senza considerare tra l’altro che «ora con le nuove tecnologie e possibilità di scelta quest’affermazione si può a sua volta relativizzare».

La prima operazione da fare, quindi, se si vuole destrutturare una cultura del controllo attraverso la sessualità, per dirla con Foucault, è quella di «sottrarre l’eterosessualità al pregiudizio di naturalità per inserirla nel tempo», storicizzarla, leggerne le funzioni sociali ed educative e le trasformazioni, come va fatto per ogni fenomeno storico. Da questo punto di vista, molto efficace si rivela il discorso sviluppato nel primo capitolo, Storia di ciò che sembra non avere storia, che rende più chiaro il significato dell’intitolazione del libro: l’eterosessualità impensata, infatti, è l’eterosessualità normativa accettata e subìta grazie alla forza degli automatismi e della tradizione. Metterla in discussione, facendola diventare materia di analisi significa rivedere rappresentazioni, relazioni e ruoli di genere; superare pregiudizi e discriminazioni; acquisire una maturità e un’autonomia inconcepibili nel quadro di un progetto storico-politico-religioso di condizionamento dei corpi e delle soggettività. E qui vale, nella postura cognitiva dell’autrice, il riferimento esplicito a una cultura femminista che ha svelato la debolezza e la miseria di un soggetto astrattamente ridotto alla sola razionalità, un’epistemologia che ha criticato alla radice la pretesa umanamente immatura di prescindere dal corpo e dai sentimenti. Se fossimo tutte e tutti più educati a riflettere su questi aspetti costitutivi delle identità e delle relazioni, forse saremmo oggi più preparati ad affrontare i cambiamenti in atto e a riconoscere il valore delle differenze e i diritti dei diversi orientamenti e identità di genere, evitando sofferenze e ingiustizie non più tollerabili.

Alla lezione del femminismo si aggiunge anche il pensiero di uomini/intellettuali che hanno fatto della riflessione sulla propria maschilità un impegno serio di rivisitazione di ruoli tradizionalmente legati al mito della virilità e ad altre componenti del patriarcato e del “dominio” maschile sul genere femminile, secondo l’analisi di Bourdieu. Suscitano particolare interesse, pertanto, i contributi di Alessio Miceli e di Stefano Ciccone, già compagni di viaggio di Barbara Mapelli in altre occasioni di ricerca e di confronto teorico, testimonianze significative delle trasformazioni che investono il mondo maschile sia pure in misura ancora minoritaria. Si dà così spazio a una coscienza maschile che scopre e riconosce quanto il potere «abbia prodotto una miseria nella vita degli uomini, amputandone le potenzialità del corpo rattrappendone la sessualità e la socialità, vincolandone l’identità a un ruolo sociale che è al tempo stesso condizione di dominio e di estraneità a se stessi».

Altra lettura particolarmente stimolante è la trattazione - non a caso collocata non in un capitolo bensì in un Intermezzo - e che riguarda l’amore. In questo caso l’operazione “destruens” prende di mira il mito o il sogno dell’amore romantico, smascherandone la capacità di fascinazione ingannevole e di manipolazione del desiderio femminile. Fenomeno culturale profondo e durevole, non limitato all’Ottocento, che ha contribuito non poco alla creazione di un genere femminile dipendente, fragilmente esposto all’oppressione maschile. Ancora una volta l’inclinazione ad analizzare i propri sentimenti da parte di chi si trova a vivere fuori norma, di «chi ha dovuto a lungo pensare e forse lottare per le proprie espressioni d’amore», può aiutare le persone immerse nell’eterosessualità impensata a conoscersi meglio, a scoprire la problematicità dell’amore, compresi gli inganni e le ambiguità. Non manca, a questo punto, una critica rivolta anche al femminismo per non aver saputo elaborare una strumentazione adeguata a «districarci dalle aporie e dalle contraddizioni» dell’amore. Allo stesso modo vengono evidenziati i limiti del processo di «cosiddetta liberazione sessuale», che hanno contraddistinto i cambiamenti del secolo scorso segnando «vittorie solo parziali», senza raggiungere una vera liberazione «forse… perché adottavano un fuoco d’attenzione troppo ristretto, la sessualità, e miravano a una forma di libertà che non poteva influire efficacemente sulle vite delle persone». La conclusione è che «vivere l’amore […] come scelta di libertà» «è senz’altro ancora un’utopia» nella nostra società. Ma una prospettiva positiva c’è e la si può leggere specchiandosi nelle vite altrui, nel confronto aperto e nelle conoscenze continue, nel ripensare noi stesse/i, acquisendo ed esercitando quella «virtù dell’amore (che) dovrebbe essere il rispetto dell’altro e quindi la disposizione a imparare dalle esperienze altrui». Ed è qui che l’autrice lascia la parola a Monica Romano, scrittrice e attivista, il cui contributo Donne trans* e amore, è una testimonianza in grado di avvicinarci a temi complessi e dolorosi con una chiave gradevolmente ironica e provocatoria.

Un altro focus del saggio è incentrato su «famiglie, matrimoni, coppie» e affronta i cambiamenti che si possono registrare in ambito relazionale e istituzionale. Si osserva così uno scenario in cui, nonostante la pluralità e la flessibilità delle nuove forme di familiarità e convivenza, è ancora la famiglia legata alla scelta eterosessuale a strutturare i ruoli e le gerarchie tra i sessi. E la «nozione di complementarità […] coniugata come il bisogno di unione tra uomo e donna […] che si completano a vicenda, come due pezzi di un puzzle» sembra resistere e sopravvivere a ogni scossone limitando la libertà e la genitorialità di persone dello stesso sesso. Una nozione che fa il paio con la normatività etero e contribuisce a creare difficoltà alle famiglie arcobaleno respingendone a priori gli stili affettivi e le modalità educative, nonostante i risultati documentati da esperienze e percorsi positivi, ancorché sofferti, che l’autrice raccoglie in questo libro come in altri suoi precedenti lavori, facendo leva sulle «storie dei soggetti» per favorire la comprensione di realtà complesse e inedite.

Infine il piglio narrativo si intreccia con un atteggiamento più teorico e speculativo, in cui diventa necessario porsi il problema della insufficienza della visione dicotomica maschio-femmina o della «pretesa binarietà della natura che si accompagna all’eterosessualità obbligatoria».

Rifacendosi a ricerche e riflessioni recenti, Barbara Mapelli riprende «diverse visioni in opposizione alla presunta binarietà: piuttosto un panorama di molteplicità in cui le gradazioni del maschile e del femminile si presentano numerose», così come si sofferma sul rifiuto della «definizione di identità», assumendone l’arbitrarietà e la mutevolezza, una critica che si estende all’orientamento sessuale inteso come binario («o sei etero o sei omosessuale») e tale da ignorare altri orientamenti (bisessuale, asessuale…) che possono riscontrarsi nel vissuto anche di una singola persona.

Questa impostazione che accentua il divenire e la molteplicità piuttosto che la staticità forzata dei modi di essere e di definirsi non poteva trascurare un lato linguistico della questione, una seria revisione delle parole, alla ricerca di un linguaggio «più aderente alla multiformità di quello che ormai scopriamo di essere». In questa ottica, gli stessi concetti di libertà, giustizia, uguaglianza chiedono di essere rivisitati, incalzati da pratiche trasformative che, come spiega Michel Foucault, «ci sospingono verso il profondamente nuovo, inedito, forse scomodo» anche per le nostre democrazie. Per queste ragioni, Judith Butler insiste sulla necessità di risignificare le parole classiche della democrazia (ormai macchiate dall’uso e troppo legate all’idea dell’oppressione) e sull’importanza di «arrivare a significare e comprendere soggetti e situazioni mai previste in precedenza e la cui portata è imprevedibile».

L’autrice, quindi, sembra invitare il mondo intellettuale ad assumere tale impegno, anche per verificare una effettiva volontà e capacità di cambiamento, che è poi la missione autentica dell’intellettuale. E il punto di partenza viene indicato nel principio affermato da un altro filosofo di riferimento, Karl Jaspers, quando afferma che «Noi siamo la nostra possibilità», spronandoci a una ricerca aperta all’avventura della conoscenza e della vita.

Mi si perdoni, infine, la citazione piuttosto lunga che segue e che chiarisce una volta di più il senso di un discorso fin troppo articolato per poterne rendere conto esaurientemente rilevandone tutti gli stimoli: «I tentativi, le sperimentazioni, e il fluire continuo del discorso trasformativo che le minoranze sessuali ci stanno insegnando può divenire materia di condivisione di intenzioni e propositi, in una rete complessa in cui il rispetto delle diversità, dei diversi orientamenti e scelte identitarie non crei ostacoli, ma piuttosto un’opportunità di attenzione che apre a più mondi, a soglie [..] che si possono varcare».


 

 

Barbara Mapelli, L'eterosessualità impensata. Quanto insegnano le minoranze,

Jacobelli, Roma, 2022, pagg.202, € 15