Barbara Mapelli, Nuove intimità. Strategie affettive e comunitarie nel pluralismo contemporaneo

Maria Antonietta Selvaggio



L’autrice, non nuova a questi temi - ricordo solo alcuni tra i suoi titoli recenti: Infiniti amori (con Miceli), 2013; L’Androgino tra noi, 2015; Sentire, pensare. L’amore tra distanze e vicinanze, differenze e persistenze, 2017 - parte dalla denuncia della propria parzialità, che consiste in uno sguardo specifico di donna e di femminista. Dunque una dichiarazione che ha un significato teorico e metodologico, direi una postura epistemologica derivante direttamente dal pensiero e dalla pratica del femminismo. Non a caso Barbara Mapelli ci racconta nella Premessa (una sorta di coming out) una sua particolare esperienza, un’occasione d’incontro con la comunità omosessuale, in cui, da eterosessuale, ha vissuto il disagio di sentirsi minoranza.

Un disagio empatico, lo chiamerei, che l’ha spinta ad approfondire la tematica della pluralità sessuale, affettiva e relazionale che contraddistingue il nostro mondo fluido pur nella persistenza di stereotipie e normative identitarie e discriminanti.

Va detto ancora qualcosa sul metodo di questo saggio, che viene costruito in maniera complessa ma al tempo stesso “leggera”. Innanzitutto colpisce la capacità dell’autrice di decentrarsi senza rinunciare alla propria soggettività: «Ho imparato a volgere più in là lo sguardo, a vedere oltre la dialettica binaria donne/uomini, a impegnarmi su temi e all’interno di ambiti che non appartengono direttamente al mio vissuto biografico» (p. 25). Oltre alle teorie contano, in questa impostazione, le biografie, i vissuti di soggetti molteplici e in continuo divenire perché «I racconti e le storie […] ci servono per capire, per raggiungere dei livelli di comprensione e sensibilità che le teorie non possono offrire» (p. 28).

Il libro pertanto è carico di testimonianze che ci aiutano a comprendere e a condividere. Per esempio a capire in che senso e attraverso quali modalità «ognuno di noi è prisma, è sfera, è mobile», secondo le parole di Piergiorgio Paterlini (2006), che l’autrice riporta. O a confrontarci col pensiero di Mario Mieli (Elementi di critica omosessuale, 1977), quando afferma che ciascuna/o di noi è transessuale, omo ed etero, introducendo concetti nuovi come polifedeltà, monogamia seriale, pratiche di poliamore: il tutto opposto e alternativo alla normatività della monogamia sociale e sessuale.

Ma la critica delle politiche identitarie - il definirsi omosessuale, lesbica, bisessuale, transessuale etc. - si fa ancora più chiara ed efficace nelle parole di alcune/i testimoni. «Le politiche identitarie non ci portano da nessuna parte» - afferma Sveva, pur ammettendo: «visto il contesto italiano, riconosco che il dirsi lesbica mantiene un valore politico» (p. 42). Nella discussione tra sostenitori e critici delle dichiarazioni identitarie spicca la posizione di Mario Mieli, che richiama l’attenzione sulla necessità di resistere, che ha portato il movimento gay a enfatizzare l’identità omosessuale o l’omosessualità come identità. Ancora, quindi, l’importanza politica del definirsi sessualmente.

In questa prospettiva particolarmente interessante risulta il passaggio sul queer.

Intorno al carattere polisemico del termine si è detto abbastanza, ma ciò che ancora incuriosisce è la sua «evoluzione da parola offensiva e stigmatizzante (abbietto?) a un significato positivo» (p. 99): da insulto a identità affermativa.

Teresa De Lauretis e Judith Butler - ricorda l’autrice - sono state le prime a utilizzare e a sviluppare la definizione, che in sé è quanto di più antidefinitorio si possa concepire, dal momento che rifiuta qualsiasi categoria normativa affinché «non si stabilisca… una posizione oppositiva e statica tra omosessualità e eterosessualità, ma piuttosto si ragioni su uno scenario di possibilità plurime di identificazioni, mai fino in fondo strutturate ma in perpetuo divenire» (p. 100).

Il soggetto queer, quindi, sfugge alla gabbia del binarismo di genere e sessuale (maschio/femmina; omo/etero) e vive in un attraversamento permanente di varie identità temporanee e fluide.

Il tema della comunità viene trattato nella sua duplicità di appartenenza rassicurante e di chiusura limitante. Chiusura che respinge chi non viene riconosciuta/o come interna/o alla «norma che definisce la comunità stessa» (p.73). È il caso, ad esempio, di colei che viene respinta dalla comunità lesbica perché pratica una relazione bisessuale; o ancora di quella coppia gay cattolica, isolata sia dalla comunità ecclesiale sia dalla comunità omosessuale. Come in ogni esperienza comunitaria è la complessità individuale che finisce per essere sacrificata. In che modo allora si può risolvere la tensione tra soggetto e collettività? La risposta molto stimolante dell’autrice è questa: «Vale forse la pena di ritornare a pensare seriamente allo slogan femminista degli anni Settanta, nella sua straordinaria valenza rivoluzionaria, un po’ normalizzata nel tempo da tiepide interpretazioni. Il personale è politico non nega il valore e l’importanza del collettivo, delle scelte e lotte condivise, della necessità e del bisogno di ritrovarsi in luoghi di condivisione e affettività, ma sottolinea il significato politico, trasformativo di ogni scelta, gesto, parola anche dell’intimità di ogni singolo soggetto» (p. 81).

Non meno interessante il soffermarsi da parte dell’autrice sul termine intersessuale (attribuito a chi nasce con genitali ambigui), che si è aggiunto con l’iniziale “i” all’acronimo Lgbtq, senza tuttavia chiuderlo, tanto è vero che si è fatto ricorso al segno + finale ad indicare altre indefinite possibilità.

Le testimonianze riguardo al significato d’intersessualità ci parlano di una ulteriore «smentita della cosiddetta naturale binarietà dei sessi» (p. 109). Oltre alle testimonianze di oggi, viene proposto - tra gli altri documentati dalla letteratura - il caso dell’intersessuale Herculine Barbin, vissuta nel XIX secolo, che Michel Foucault ci descrive dettagliatamente narrando i modi della costrizione ad assumere un’identità maschile e la morte per suicidio all’età di trent’anni (Herculine Barbin detta Alexine B. Una strana confessione. Memorie di un ermafrodito, 1979). Viene evocata così una storia dolorosa di patologizzazione e di normalizzazione forzata (interventi medico-chirurgici per modificare l’anatomia), una pratica che solo recentemente lascia spazio alla «considerazione dell’intersessualità non come un’anomalia ma una possibilità» (p. 113). Tuttavia le persone intersessuali, pur se da qualche tempo anche in Italia si organizzano in associazioni, continuano a essere «poco visibili anche all’interno della più generale comunità Lgbtqi» (p. 116).


Una postura critica quale quella assunta metodologicamente dall’autrice non può fare a meno del concetto di intersezionalità. Ad esso viene dedicata una puntuale riflessione, a partire dalla vicenda di questa parola fin dalla sua origine che ritroviamo nella critica al femminismo bianco ad opera delle femministe afro-americane. E qui si ricordano e si riprendono le lezioni di Toni Morrison, di bell hooks e soprattutto di Angela Davis (Donne, razza, classe, 1981) e della giurista Kimberlé Krenshaw (Demarginalizing the Intersection of Race and Sex, 1989). Qest’ultima si serve efficacemente della metafora dell’incrocio per spiegare il significato d’intersezionalità, che si riferisce alle varie collocazioni del soggetto sempre in via di ridefinizione tra sesso, razza, classe, generazione, scelte sessuali etc.

Uno strumento interpretativo o categoria euristica, che deve molto agli studi postcoloniali e queer e che si rivela decisivo per una teoria critica che voglia focalizzare la pluralità e la simultaneità delle forme di oppressione e discriminazione nella formazione dei soggetti contemporanei.

Attraverso queste ed altre argomentazioni, solo in parte richiamate in questa recensione, Barbara Mapelli raggiunge e chiarisce il proprio obiettivo di ricerca che è prevalentemente etico: «dare spazio e voce a ciò che già c’è e che esprime, io credo (o spero), tendenze che nel tempo prenderanno forme più diffuse e visibili» (p. 121).

È per questo che la parola finale, ma non conclusiva, è lasciata a due testimoni privilegiati, Alice D’Alessio e Mauro Muscio, che raccontano i propri percorsi «tra reale e virtuale».

Mentre il contributo di Stefano Ciccone, La sessualità come questione politica: tra stigma, indifferenza e interrogazione reciproca, chiude il volume offrendoci con la consueta ed esperta lucidità una rassegna dei nodi cruciali della complessa tematica in cui si intrecciano generi, differenze, soggettività, relazioni, conflitti, potere, linguaggio, norma, simbologia, che ci stimola ad acquisire uno sguardo meno superficiale sulla nostra attuale realtà, in cui «il “rispetto delle differenze” si esprime troppo spesso, contrapponendo allo stigma l’indifferenza» (p. 149). Il che non aiuta a superare i modelli dominanti ed elude quella visione consapevolmente critica di cui c’è bisogno.


Barbara Mapelli, Nuove intimità. Strategie affettive e comunitarie nel pluralismo contemporaneo,
Torino, Rosenberg & Sellier, 2018, pp. 169

26-09-2019

 

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