La violenza sessuale e la cultura della forza


di Dacia Maraini


Lo stupro è un' arma di guerra. Non lo dico io, l' ha stabilito l' Onu. Ma allora, uno si chiede, che ci sta a fare un' arma di guerra in tempo di pace? La risposta evidente è che dentro una pace pretesa esistono delle guerre sotterranee che oppongono alcuni esponenti di un genere che si ritiene minacciato nei suoi privilegi contro l' altro genere.
Lo stupratore è semplicemente il soldato inconsapevole che esegue ordini. Gli ordini sono di tipo culturale e vengono dall' alto, da chi difende lo stato delle cose. Come scrive San Paolo nelle sue lettere: «Voglio che sappiate che a capo di ogni donna c' è l' uomo, a capo di ogni uomo c' è Cristo e a capo di Cristo c' è Dio».

Una gerarchia ferrea che ancora accampa pretese e che sta nel fondo della mentalità di molti. Ma perché si è stabilito che lo stupro è un' arma di guerra? Per il fatto che si tratta di un atto di aggressione che non nasce da una spinta del desiderio sessuale, ma dalla voglia di ferire, avvilire e punire una donna in quanto tale.
Non a caso nelle guerre passate era considerato un diritto del vincitore stuprare le donne del Paese conquistato e sottomesso. Il nemico non lo si poteva considerare completamente domato se non si dimostrava che il vincitore aveva preso il controllo, non solo sui terreni, sulle città, sulle case del vinto ma anche sul ventre delle donne, le future portatrici del seme maschile di quel Paese, di quel popolo, di quella religione.
Sporcare il ventre femminile, lacerarlo, avvilirlo fa parte di una strategia del dominio. Ecco perché si tratta di un atto di guerra. Anche quando chi lo compie lo considera un fatto privato, «l' uomo è cacciatore, no?».

Lo stupro è l' arma preferita e più efficace del razzismo sessuale. E di solito funziona. Le donne, spaventate, si ritirano, perdono fiducia. Insomma disarmano.
La pubblicità, i fumetti, la moda, e molte trasmissioni televisive sono lì a diffondere questa mentalità davvero poco educativa: il mondo è fatto per i piu forti che devono dominare sui piu deboli; i ricchi sui poveri, coloro che hanno la verità in mano su coloro che dubitano, i vecchi sui giovani, gli adulti sui bambini, gli uomini sulle donne.
Fin quando la gerarchia è accettata e piu o meno applicata, le cose vanno lisce, le guerre di genere, più che taciute, vengono rimosse. I vincitori si possono perfino permettere di essere generosi, cavallereschi. Ma quando la gerarchia viene messa in discussione, quando le donne entrano in campi tradizionalmente affidati agli uomini, quando si mostrano autonome, indipendenti, professioniste in ogni campo dello scibile, quel mare limaccioso che giace nel fondo della cultura patriarcale sale alla superficie e ribolle minaccioso.
C' è anche chi tenta la carta dell' ipocrita adulazione, cercando di diffondere accattivanti modelli femminili dediti al sacrificio e all' obbedienza. La Chiesa è maestra nell' indorare la pillola dell' imposizione gerarchica. Ma quando nemmeno quella carta funziona, si passa alle armi piu efficaci del disprezzo pubblico, della denigrazione.
E in un clima di diffamazione culturale i più deboli e spaventati si buttano sullo stupro che fomenta in loro il sentimento dell'onnipotenza virile.



Da Il corriere della sera del 27 gennaio 2009

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