Dialogo sulla scuola

 


Anna, primo giorno di scuola

 

Maria Aliprandi ha scritto alla rete 194ragioni:

 

Ciao a tutte,
sono una studentessa al primo anno di Università a Milano.
Sono stata aggiunta al tempo della manifestazione dell'8 Marzo alla vostra newsletter e ora ne approfitto di questo mezzo per parlarvi e invitarvi io a partecipare a un'iniziativa.
In questi giorni, come immagino almeno in parte sappiate, il mondo della scuola è in agitazione. Per la prima volta dopo il 68, da oltre una settimana ogni giorno vengono organizzati cortei, assemblee, lezioni all'aperto e manifestazioni in difesa della scuola pubblica e contro il decreto Tremonti-Gelmini.

Non mi metterò qui a fare critica, ma semplicemente a dare qualche dato, con questo decreto verranno meno 131.900 posti di lavoro nell'arco di 3 anni (87.400 insegnanti e 44500 personale ATA), le classi saranno più affollate, le ore a scuola ridotte (anche per le scuole inferiori dove i bambini non sono assolutamente autonomi di tornare a casa e badare a se stess), le figure di riferimento dimezzate.

Per l'università le novità maggiori sono un taglio del 20% dei fondi (il che comporterà un bilancio in rosso nel 2009 e la possibile chiusura degli atenei pubblici nel 2010). Il loro futuro potrà quindi solo essere affidato a fondazioni private, che vista la situazione economica generale non è detto crollino all'improvviso nel giro di poco tempo.

Scrivo a voi, in quanto donne che primo luogo insieme ai giovani vengono toccate da questa cosa, perchè lo sappiamo tutti il mestiere di insegnante è ancora maggiormente diffuso tra il sesso femminile, scrivo a voi in quanto mamme, o future mamme che potranno vedersi obbligate a stare a casa almeno mezza giornata per badare ai propri figli, scrivo a voi in quanto genitori o giovani che dovranno lavorare come dei pazzi per poter ottenere l'unica istruzione del futuro: quella privata, scrivo a voi in quanto gente attiva che è stata in grado di portare avanti una manifestazione come quella in difesa della 194 e che tutti i giorni si propone per tentare di migliorare il mondo in cui viviamo.

Il 30 Ottobre, questo giovedì, ci sarà una manifestazione nazionale indetta dai sindacati di base. A Milano il corteo partirà da Largo Cairoli alle 9.30. Vi chiedo di partecipare numerose, di diffondere queste notizie e i dati che vi ho fornito a tutti coloro che potete, anche a chi è fuori dal mondo della scuola.
Vi invito a fermarvi ad ascoltare le lezioni in piazza organizzate per settimana prossima (non ho ancora il calendario preciso...), per dimostrare che chi sta dicendo di no a questo decreto non è un branco di gente che non vuole studiare, ma anzi persone che hanno paura di non poterlo più fare.

Grazie dell'attenzione
Maria Aliprandi

Lea Melandri ha risposto:

Cara Maria,
sapevo che sarebbe ripresa, 'imprevedibilmente' e 'imprevenibilmente' come sempre, una stagione di movimenti, idee e pratiche politiche che hanno continuato, dagli anni '70, a lavorare sotterraneamente o allo scoperto, come nel caso delle tante associazioni di donne venute a seguito del femminismo.
Mi sembra di aver sempre lavorato in questo senso, da quarant'anni a questa parte, da quando ho incrociato, all'inizio del mio insegnamento, un movimento non autoritario che chiedeva di ripensare poteri, saperi, ruoli precostituiti e destinati a formare cittadini obbedienti e passivi, espropriati di ogni potere decisionale. Una grande lezione, che ha cambiato profondamente la mia vita, la mia visione del mondo, a cui il femminismo ha dato solo una maggiore radicalità, portando al centro della riflessione il corpo, il vissuto personale, ma anche l'appartenenza a un sesso o all'altro, divenuto purtroppo un destino 'naturale', una condizione evidente ma da che ognuna/o deve riscoprire, a partire dalla propria esperienza.

Oltre a dare continuità alle intuizioni e alle consapevolezze nuove emerse in quegli anni, ho cercato di tener vive le molte e differente voci che si sono espresse allora ripubblicando i materiali storici che le conservano e che ora stanno negli archivi  -libri, riviste, volantini, documenti, manifesti-, con la certezza che, pur in un contesto che è cambiato, possano ancora dire qualcosa di essenziale, sulla condizione di uomini e donne, sul rapporto tra vita e politica, natura e storia, movimenti e istituzioni.
A dicembre uscirà una rivista che, iniziata col movimento non autoritario nella scuola, ha prolungato l' 'aria del '68' per circa un decennio, estendendola a soggetti, pratiche, realtà sociali le più diverse. E' la rivista "L'erba voglio", che uscirà in stampa anastatica, cioè riprodotta fedelmente, dall'editore Bollati Boringhieri.

Non mi meraviglia perciò che in questa ripresa di movimento ci siano insieme insegnanti, studenti e genitori -capita di rado, ma qualche volta ci può essere una felice continuità tra generazioni diverse-, mentre mi hanno colto di sorpresa, e con grandissimo piacere, i modi nuovi, creativi, di esprimere dissenso: meno guerreschi degli anni '70, più aperti a un allargamento delle lotte fuori dai luoghi specifici in cui nascono. Geniale l'idea di manifestare, non solo coi cortei, ma con le lezioni all'aperto.

Dopo questa lunga premessa, una nota di rammarico. Il 30 ottobre, alla manifestazione, ci saranno sicuramente molte di noi, ma mi permetto di dire anche a nome di tante altre, non ci saremo come 'mamme' o come 'maestre', ma come donne, che non vogliono più essere confinate nelle funzioni di madri e maestre, che lottano da anni perché venga messa in discussione la divisione sessuale del lavoro, che assegna alle donne la cura dei primi anni di vita, ma anche di mariti, padri, fratelli, malati e anziani, che chiede alle donne un maternage continuo anche nel lavoro extradomestico.
Non posso non dispiacermi la mancanza di ogni riferimento e consapevolezza su quanto abbiamo detto per anni  -e con forza anche nelle manifestazioni che tu ricordi di Uds a Milano-, sulla violenza maschile contro le donne, che si consuma nelle case, ma che ha nella scuola la sua, sia pure meno visibile, continuità: nel silenzio su sessualità, sentimenti, rapporto tra i sessi, tra adulto e bambino, nella presenza quasi esclusiva di donne, nell'ideologia sessista che passa ancora ampiamente nei libri di testo.

Perché la difesa della scuola pubblica, del posto di lavoro, di un futuro desiderabile, per giovani ma anche per vecchi, non deve potersi accompagnare a un'idea diversa di cultura, di formazione e di rapporti personali e sociali? Non nego la difficoltà, ma conservo la speranza che i nostri percorsi -.più lunghi, meno lunghi- possano incrociarsi, non solo e non tanto per solidarietà o per affetti famigliari, ma perché hanno molto da dirsi reciprocamente.
A tutti gli incontri possibili per le strade e le piazze di Milano!
Lea Melandri

 

Adriana Perrotta Rabissi scrive:

Penso sia importante che si sia aperto questo luogo di scambio e ringrazio di cuore Maria, che si è rivolta a noi della Libera Università e Liliana che l'ha messo in rete consentendoci di intervenire.
Detto questo, non posso che ribadire e ripetere quanto ha appena osservato Lea, anche se l' esperienza alla quale accenna di incontro con il femminismo si discosta nei modi, e necessariamente, alquanto dalla mia, ma la ricostruzione della presa di coscienza è la stessa.
Non ripeterò quanto ha appena detto Lea, perché sottoscrivo interamente.

Non posso non osservare, in merito alla lettera di Maria, un dato che mi colpisce, e provo a indicarlo, a costo di risuonare noiosa e fissata (le armi del ridicolo sono sempre pronte nei confronti di chi si ostina a pensare qualcosa in contrasto con il senso comune), quando parla della generalità: figli, giovani, genitori, Maria parla rigorosamente al maschile, certo intendendo anche le donne, "si sa, si capisce, lo sanno tutti, la lingua è convenzione, basta che si capisca....." e quando si rivolge alle donne le intende solo come mamme, maestre (le depositarie delle attività di cura).

Ci sono sempre resistenze di fronte al discorso di pretendere la nominazione esplicita delle donne, in qualunque contesto comunicativo, il dibattito sulla sessuazione della lingua ha, infatti, in Italia un andamento carsico.
Ogni tanto riemerge come questione di stile, o folcloristicamente, per inabissarsi poco dopo sotto il peso del ridicolo oppure dell’asserita insignificanza della questione rispetto a temi più “complessi” e più “urgenti”.

Mi sembra di poter individuare due tipi di resistenze (con conseguente denigrazione del problema):

-resistenze conservatrici:
l'importante è che sia chiara la comunicazione, basta che si capisca (la lingua considerata solo come strumento di comunicazione),
suona male,
troppo lungo da scrivere o da dire
ci sono cose più importanti, la lingua è patrimonio sociale della comunità dei parlanti (rigorosamente al maschile) e non si innova individualmente...

-resistenze in prospettiva libertaria:
si sta faticosamente superando il concetto (almeno si tenta) di due sessi (maschile e femminile) per il riconoscimento delle soggettività multiple e differenti, si sta facendo strada la consapevolezza che i sessi non sono due, ma quanti emergono dalla varietà espressa dalle persone, e questo discorso vorrebbe riinchiodarci all'unica scelta tra donna o uomo.
questo problema è vecchio, superato e riduttivo, e anche un po' antipatico.

Posso solo concludere che l’attenzione andrebbe spostata dalla funzione comunicativa della lingua alle altre e molteplici funzioni che essa ricopre e tra tutte quella di essere ancora oggi lo strumento di costruzione della realtà interna e esterna nella quale ci troviamo a vivere, quello che ciascuno/a di noi pensa, immagina e giudica dentro di sé si forma in gran parte nell’inconscio, sulla base delle abitudini linguistiche apprese a partire dalla nostra comparsa nel mondo.
Ogni lingua storico-naturale, dunque, organizza il mondo interiore dei/delle parlanti, quindi anche la sfera dei valori, dei giudizi, delle aspettative, delle paure, dei desideri, delle norme, incluso l’orientamento sessuale.

La nostra rappresentazione del mondo e autorappresentazione deriva direttamente dai modelli interiorizzati nella nostra lingua, che viviamo spesso inconsapevolmente come "naturali".
Quindi non basta che cambino le condizioni concrete di vita in una società per introdurre cambiamenti profondi nella percezione di se stesse e stessi, occorre anche cambiare i modi nei quali ci nominiamo e ci rappresentiamo.
Va da sé che questo discorso va esteso a tutte le soggettività esistenti e future e che la rappresentabilità deve essere libera per tutte e tutti.

Ciao a tutte
Adriana

27-10-2008

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