Marina Rossanda,
racconto di una vita militante e dei suoi viaggi sotto le bombe
di Wasim Dahmash

Gerusalemme, 2003
Quando fu eletta al Senato, nel 1979, pensava di poter conciliare il nuovo impegno con il suo lavoro di medico. Così per molti mesi Marina Rossanda ha viaggiato sui treni notturni tra Roma e Milano. Mi è capitato di fare qualcuno di questi viaggi in sua compagnia. L'avevo già incontrata qua e là in giro per l'Italia in occasione di conferenze o manifestazioni che l'allora Pci organizzava per sostenere la lotta di liberazione del popolo di Palestina, ma è stato durante quei viaggi notturni che la nostra amicizia si è consolidata. E a Roma, fin dal suo arrivo, Marina continuò a sostenere la resistenza palestinese prendendo parte all'Associazione di amicizia italo-araba e al Comitato nazionale di solidarietà con il popolo palestinese.
Il suo impegno diventò più corposo e si istituzionalizzò dopo l'invasione israeliana del Libano, nel 1982. Nel luglio di quell'anno era andata a Damasco e da lì, con un tassì, voleva entrare a Beirut. Il tassista damasceno, per quanto impaurito, non si era comunque tirato indietro e l'aveva condotta per sentieri di montagna fino alla città assediata dalle truppe israeliane del generale Sharon. Attraversate le linee era arrivata nella città sottoposta a un incessante bombardamento, aveva raggiunto l'Ospedale Gaza, e per tutta la durata dell'assedio aveva prestato la sua opera di medico anestesista. Così intendeva la solidarietà.
Al ritorno da Beirut aveva fatto sviluppare le fotografie fatte in sala operatoria e per le strade della Beirut dell'assedio e dei massacri. Le fotografie di quell'umanità martoriata erano terrificanti. Le aveva scattate lei e quelle scene le aveva viste e vissute di persona. Guardammo insieme quelle immagini e chi scrive fu subito d'accordo sull'opportunità di non mostrarle in pubblico, di non utilizzarle: erano davvero raccapriccianti. Certo, era necessario denunciare i criminali, ma senza de-umanizzarli. Quelle diapositive, che costituiscono un documento unico sulla vita quotidiana nei campi profughi di Beirut sotto assedio e sulle atrocità commesse ancora prima dei massacri di Sabra e Shatila, sono state depositate presso l'Archivio Palestina della Fondazione Lelio e Lisli Basso.
Fu dopo l'esperienza libanese, dopo i massacri di Sabra e Shatila, che fondò l'Associazione medica italo-palestinese. Mimma, come gli amici hanno imparato a chiamarla, ne è stata il motore e l'animatrice. Ben presto divenne strumento di sostegno alle istituzioni sanitarie palestinesi e alle associazioni di medici volontari che nei Territori occupati gestiscono ancora la sanità pubblica sotto occupazione. Tra le iniziative intraprese dall'Amip ci fu anche la pubblicazione di un giornale, Balsam , che aveva il compito di informare, con notizie di prima mano, sulle condizioni sanitarie nei campi profughi palestinesi sparsi nel Vicino Oriente e nei Territori occupati. Balsam uscì per alcuni anni in cartaceo e continua oggi in forma elettronica.
L'impegno nell'Amip porta Marina Rossanda a compiere ripetuti viaggi in Palestina, durante i quali elabora una mappa dettagliata dei gruppi, associazioni e singole persone che si occupano di sanità nei Territori occupati. Con questi stabilisce rapporti di solidarietà e collaborazione: proficuo in modo particolare è il rapporto con l' Unione dei comitati di soccorso medico palestinese (Union of palestinian medical relief committees), un'associazione di medici presieduta da Mustafa Barghouthi, che prestano soccorso alla popolazione sotto occupazione e che con gli anni è diventata una grande organizzazione non governativa il cui nome è Palestinian medical relief society (Pmrs). L'associazione ha creato un sistema di ambulatori, ospedali e cliniche mobili, che ha garantito e garantisce tutt'ora un livello minimo di sanità pubblica nei Territori occupati. In lingua inglese, il sito della Pmrs, ben organizzato, contiene utili informazioni sulle attività dell'associazione stessa e sulla situazione sanitaria nei Territori occupati da Israele nel 1967.
I viaggi in Palestina erano sempre seguiti da un resoconto inviato a compagni e amici, in cui descriveva e spiegava le situazioni che man mano vedeva. Qualche volta le sue "relazioni di viaggio" prendevano forma di articolo che pubblicava su il manifesto , Balsam o altri giornali. Costante e meticolosa, Marina aveva saputo tradurre in forme molteplici il suo impegno a fianco delle vittime dell'occupazione israeliana. L'ultima è quella rete di solidarietà che è oggi l'Associazione Gazzella-Onlus, nata dalla collaborazione con la stessa Pmrs. Nel 2000, insieme a Marisa Musu, era andata in Palestina. Durante quel viaggio, in un ospedale di Hebron aveva incontrato Ghazala (Gazzella), una ragazzina di 14 anni, in coma perché ferita alla testa da pallottole sparate da coloni israeliani mentre tornava da scuola. Ghazala è stata subito "adottata". Al ritorno in Italia, Marina e Marisa avevano cercato di estendere la rete di solidarietà ad altri bambini palestinesi feriti da armi da guerra. Nasceva così l'Associazione Gazzella che oggi cura, con la formula dell'adozione a distanza, molti bambini feriti.
Nel ricordare Marisa Musu, scomparsa il 3 novembre 2002, Marina ripercorreva alcuni momenti della costruzione di Gazzella: «Con Marisa ci eravamo trovate più di una volta in Palestina dopo la prima intifada, quando lei raccoglieva con suo marito Ennio Polito i dati per il loro libro sui bambini Palestinesi ed io lavoravo per collegare alcune Ong su progetti sanitari. Dal 1991 al 1995 si fece la rivista Balsam , con lei direttore responsabile. Nel novembre 2000, un mese dopo lo scoppio della seconda intifada mi chiamò per propormi di andare noi due a riprender contatti e farci un'idea. Ne fui felice perché mancavo da alcuni anni. Trovammo un'atmosfera tesa. ma la solita testarda resistenza degli amici Palestinesi, che, pur più provati che in passato, ci accolsero con gioia e ci aiutarono a fare vari incontri. Fu all'Ospedale Ahli di Hebron, vedendo la ragazzina Ghazala ancora in coma per una pallottola israeliana in testa, che a Marisa venne l'idea della campagna per Gazzella, della quale i visitatori di questo sito sanno tutto. Avuta la conferma dei medici a smentita delle dichiarazioni dei militari che negavano di aver sparato alla ragazzina, e avuto il consenso della famiglia, la campagna partì e Marisa vi si gettò anima e corpo, nonostante i suoi molteplici impegni come ex-partigiana, una dei pochi ancora in vita del gruppo storico romano».
Vale la pena rileggere oggi la "relazione" di Mimma scritta in seguito al viaggio compiuto in compagnia di Marisa Musu nel novembre 2000, pubblicata poi in forma di articolo su la rivista del manifesto (n.13, gennaio 2001), non solo per mettere in evidenza la genesi del progetto, ma anche per capire meglio la situazione esplosiva scaturita dagli accordi di Oslo e ciò che pensava Marina Rossanda in proposito: «Sono tornata in Palestina alla metà di novembre, dopo cinque anni di assenza. Nonostante la nostalgia, salute e impegni mi trattenevano a Roma, e comunque, dagli accordi di Oslo in poi, non ero più motivata. Pensavo: i Palestinesi hanno fatto la loro scelta, e se anche questa non mi convince, hanno diritto e magari buone ragioni per averla fatta, auguri di cuore, spero di sbagliarmi. Purtroppo non mi sbagliavo o almeno non interamente. Non mi sbagliavo nel senso che il processo di pace si è trascinato per sette anni tra accuse e rinvii, e nel frattempo i governi israeliani hanno lavorato a creare situazioni di fatto compiuto, in barba agli accordi, consolidando e ampliando l'occupazione, mentre gli amici occidentali si beavano delle parole di pace».
Tratto dal volume "Il fondo Marina Rossanda",
una raccolta di interventi di autori vari,
curata da Eleonora Lattanzi e Linda Santilli
(Archivio femminista "Rosa Luxemburg" del Prc)
da Liberazione del 24/03/2009
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