di
Eleonora Martini
Che il maggior numero
di violenze fisiche e sessuali contro le donne avvenga nell'ambito
familiare ormai è noto, almeno ai lettori di questo giornale. Come è
noto che quelle che vengono denunciate sono solo la punta
piccolissima di un iceberg.
Quello che forse non è stato ancora raccontato abbastanza è che
anche le violenze sessuali e le aggressioni subite in strada vengono
raramente denunciate perché le donne spesso sono le prime a non
avere rispetto per se stesse e a interiorizzare un contesto
culturale e sociale che le vuole vittime per destino.
Le donne insomma non sono al sicuro mai. Né dentro le mura
domestiche né tanto meno in strada. Ma allora, insieme al lavoro
culturale e visto che si parla di sicurezza urbana, c'è qualcosa che
si potrebbe fare per rendere le città più sicure per le donne?
I dati parlano da sé e fanno
onestamente paura, come ha denunciato recentemente anche la stessa
ministra delle pari opportunità Barbara Pollastrini. E raccontano di
un mondo dove sempre più «la violenza maschile non conosce
differenze di classe, di etnia, di cultura, di religione o di
appartenenza politica», come scrivono nel manifesto di convocazione
le associazioni che hanno indetto per sabato 24 novembre una
manifestazione nazionale a Roma, in occasione della Giornata
internazionale contro la violenza sulle donne.
Un'iniziativa costruita a partire dall'assemblea pubblica che si è
tenuta nella capitale il 21 ottobre scorso presso la Casa
internazionale delle donne, scaturita dall'incontro di singole
cittadine e organizzazioni femminili, femministe e lesbiche
provenienti da tutta Italia.
Il problema è culturale e non può essere affrontato solo da un punto
di vista securitario, dicono le associazioni di donne, le operatrici
dei centri antiviolenza e molte esponenti del variegato mondo del
femminismo italiano.
Meno che mai «può essere ricondotto a un problema di sicurezza delle
città o di ordine pubblico», come c'è scritto nell'appello diffuso
dal sito
controviolenzadonne.org. L'aggressività maschile, aggiungono, «è
la prima causa di morte e di invalidità per le donne di tutto il
mondo, come riconosciuto dall'Onu».
Ma è così vero che l'aggressività
maschile nei confronti delle donne non conosce differenze culturali?
Dirlo non è fare un po' torto al lavoro e alle lotte di quasi
quaranta anni di storia femminista?
«Fino a che non cambierà la cultura di questo paese non ci sarà
nessuna città sicura per le donne - risponde Assunta Sarlo,
esponente di primo piano del movimento
Usciamo
dal silenzio, tra i promotori della manifestazione - Poi è ovvio
che in ambito locale ci sono politiche che rendono più sicure le
città e altre che sono totalmente inutili. Sono inutili per esempio
le telecamere a ogni angolo o la militarizzazione del territorio,
mentre è assolutamente necessario riempire e vivacizzare le strade e
non svuotarle».
Dare un'occhiata alle statistiche
può essere d'aiuto a capire la situazione: in Italia una donna su
tre subisce violenza fisica e sessuale, soprattutto tra le mura di
casa, secondo il Centro soccorso di Milano.
Oltre 14 milioni di donne italiane hanno subito abusi nella loro
vita, si stima possano essere circa il 65% della popolazione
femminile. Un milione e 400 mila donne hanno patito uno stupro prima
dei 16 anni. Ma il 96% delle violenze non vengono denunciate. Il
14,3% delle donne ha subito almeno una volta violenza fisica o
sessuale dal partner, attuale o ex, mentre il 24,7% le ha ricevute
da un altro uomo.
Ma, secondo dati Istat, solo il 18,2% delle donne considera la
violenza patita in famiglia un «reato», mentre il 44% la giudica
semplicemente «qualcosa di sbagliato» e ben il 36% solo «qualcosa
che è accaduto».
«La violenza sulle donne è una piaga sociale e non un problema
individuale e deve trasformarsi in qualcosa di negativo, mentre oggi
non è così - dice Daniela Fantini, da 12 anni ginecologa al Soccorso
violenza sessuale di Milano - ce n'è tanta in famiglia ma anche in
strada e poche denunciano perché manca il rispetto di sé, perché la
considerazione che la donna valga zero è purtroppo molto diffusa».
Ma è anche ovvio che sia più diffusa laddove non c'è stato
abbastanza lavoro culturale da parte delle donne o dove c'è una
violazione sistematica dei diritti umani. «Il maggior numero di
violenze avvengono all'interno dei gruppi di immigrati rumeni,
albanesi, sudamericani e africani», aggiunge la dottoressa Fantini
che racconta episodi che hanno dell'incredibile: «Spesso ci
raccontano di uomini che dopo aver violentato una donna, magari
fuori di una discoteca, le offrono il loro bigliettino da visita.
Lo stupro, insomma, non è considerato una cosa sbagliata. Bisogna
ribaltare questa concezione e dire che la violenza non è un destino
e per gli uomini non è un obbligo».
«Non so cosa serve a rendere una città più sicura - conclude Fantini
- ma di certo non serve riempirla di poliziotti, perché elimina solo
questi epifenomeni di cui vengono poi riempite le cronache. Il
lavoro sul rispetto è più lungo ma è l'unico che paga davvero».