Un decreto senza le donne

di Eleonora Martini


 

Altre due donne picchiate e violentate a Cagliari e a Jesi, nel primo caso da italiani doc nel secondo da un immigrato. Tre ragazzi gay finiti in ospedale la notte di Halloween per l'aggressione subita da un gruppo di uomini italiani nei pressi della stazione Termini a Roma.
Episodi avvenuti nelle ultime ore molto diversi tra loro (sul caso invece della ragazza inglese uccisa a Perugia si sa ancora troppo poco) ma che raccontano, tenuto conto delle relative specificità e differenze, di una violenza maschile che si nutre e affonda le sue radici in una cultura sessista, omofoba e patriarcale di cui non riusciamo a liberarci.
E che traspare perfino dai cartelloni pubblicitari, come notò qualche tempo fa il Financial Times. Eppure questa è cronaca troppo spesso silenziosa e senza conseguenti colpi di reni da parte della politica.
Nel decreto legge varato d'urgenza nel consiglio straordinario dei ministri di martedì sera non si troveranno norme che possano evitare il ripetersi di questi crimini contro il corpo simbolicamente più debole.

Il decreto votato all'unanimità che stralcia e corregge una parte del pacchetto sicurezza prevede la possibilità di emettere da parte del prefetto competente un provvedimento di allontanamento dal suolo nazionale che non superi i tre anni per «motivi di sicurezza dello Stato e per motivi imperativi di pubblica sicurezza», come dice il testo. «Sono imperativi quando il cittadino dell'Ue o un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, abbia tenuto comportamenti che compromettono la tutela della dignità umana o dei diritti fondamentali della persona umana ovvero l'incolumità pubblica, rendendo la sua permanenza sul territorio nazionale incompatibile con l'ordinaria convivenza». Va detto che il cittadino Ue o il suo familiare possono però fare ricorso.
È molto difficile però riuscire a capire come si riconosca un cittadino predisposto alla violenza fisica e sessuale contro le donne. Perché è di questo che si sta parlando nell'omicidio di Giovanna Reggiani e, come hanno detto con grande lucidità anche i suoi familiari, «poteva accadere anche con un italiano».

Ne sono certe le donne che stanno preparando la manifestazione nazionale del 24 novembre prossimo a Roma nata da un appello lanciato in internet mesi fa, totalmente autorganizzata, e che raccoglie moltissime adesioni di singole, associazioni e collettivi.
Una mobilitazione che sembra caratterizzata da un inusuale protagonismo della generazione delle trentenni ma che pure si basa sull'assioma che la violenza maschile è uguale in tutto il mondo e non conosce differenze etniche, nazionali, religiose o culturali. Dove con culturali si intende il grado di istruzione personale degli uomini.
«Se è vero che nessuna donna è al sicuro sotto nessun cielo perché la violenza maschile è trasversale non solo al ceto sociale ma anche alle religioni e alle tradizioni - spiega meglio Assunta Sarlo dell'associazione Usciamo dal silenzio di Milano - è anche vero che si può riconoscere una specifica che sta nei traguardi raggiunti dalla libertà femminile nei vari contesti sociali. L'aumentata libertà delle donne, come c'è nei paesi occidentali, determina un colpo di coda forte all'aggressività maschile. Si vede bene nella violenza familiare: non a caso le donne vengono picchiate e uccise quando tentano di liberarsi».
«Il 75% degli stupri avviene in famiglia ed è fatta da uomini italiani - sottolinea Flavia D'Angeli di Sinistra critica - il silenzio dei nostri politici su questo e la loro speculazione sul corpo delle donne è vergognoso».

Forse è troppo chiedere di riconoscere in una legge, come è successo in Spagna, la violenza di genere come la più brutale delle diseguaglianze perché agita contro le donne proprio per il fatto di essere tali.
Certo è che se il decreto legge avesse introdotto misure straordinarie e urgenti contro la violenza sulle donne, magari sarebbe stato criticato lo stesso ma perlomeno avrebbe centrato il punto.

 

questo articolo è apparso in  il manifesto  del 3 novembre 2007
 

home