Care amiche e cari amici Stefano Ciccone
scrivo a voi con cui negli ultimi anni abbiamo condiviso occasioni di confronto, percorsi ed esperienze tesi alla costruzione di relazioni politiche tra donne e uomini non strumentali, e basate sul reciproco riconoscimento. Credo sarebbe utile una riflessione più larga e approfondita ma credo utile un confronto preliminare con voi. Non entro qui nel merito della polemica sviluppatasi attorno a Maschile Plurale o del dibattito avviatosi a seguito dell’iniziativa sui centri per uomini “maltrattanti”. Mi interessa affrontare alcune questioni emerse in queste occasioni che ritengo di fondo e che riguardano, appunto, le condizioni per una pratica politica di donne e uomini che assuma le differenze e le asimmetrie senza ossificarle . Vi propongo alcuni spunti di discussione che riprendono interventi miei e di alcune/i di voi di questi mesi. Mi pare che le domande, o meglio le acquisizioni che oggi vedo messe in discussione, siano fondamentalmente tre: ha senso una pratica politica di uomini di critica del patriarcato? Una relazione politica tra donne e uomini è una relazione di differenze e dunque tra due parzialità che, a partire da una asimmetria storica e di potere, scelgono un’interrogazione reciproca? Una politica di donne e uomini deve cimentarsi nella dimensione complessa delle esperienze individuali e delle relazioni? Forse il tema centrale è l’idea di politica che abbiamo: cosa vuol dire per noi “relazioni politiche” tra donne e uomini? Cosa vuole dire riconoscere la politicità delle esperienze individuali, della sessualità, della rappresentazione dei corpi?
Credo che qui si incontri una resistenza che consiste nella difficoltà a condividere, e dunque a “esporre” tra donne e uomini le proprie contraddizioni e le proprie complicità con un sistema che si sottopone a critica, la tendenza a vedere il confronto tra donne e uomini non come lo spazio per esplorare questa dimensione perturbante e problematica ma come un confronto politico, anche intimo o personale, ma tra soggetti che abbiano svolto questa riflessione ognuno/a per la sua parte. A me interessa invece un confronto con quel filo di esperienza e pensiero che nel femminismo va, con mille differenze, da Lonzi fino a Butler e che si misura con la dimensione opaca della soggettività, con la dimensione inconscia, con il riconoscimento di un soggetto non pienamente padrone di se stesso come terreno di ricerca e conflitto. E nelle esperienze che abbiamo costruito insieme questa disponibilità a mettersi in gioco è stata al centro del nostro confronto. Prendo tra altri esempi l’intervento di Laura Colombo2 in cui Laura afferma:
Io credo che affermare che nella nostra società gli uomini continuino a godere di un vantaggio sia assolutamente vero ma assolutamente insufficiente. Questa affermazione, senza nulla togliere all’impegno per una innovazione della cultura della destra, è probabilmente condivisa anche da Gianfranco Fini e da molti uomini che non per questo agiscono un conflitto con la cultura patriarcale. È possibile andare più a fondo? L’interrogazione maschile può limitarsi a riconoscere questo sistema di potere per sentirsi chiamata in causa dalla violenza? Mi pare insufficiente e arretrato affermare che la maggioranza degli uomini non sia responsabile di violenza ma di indifferenza verso la violenza di pochi. Credo che gli uomini debbano sentirsi chiamati in causa un po’ più intimamente: quell’universo che genera la violenza quanto ha a che fare con il mio immaginario, i miei desideri, le mie paure? Quanto ha a che fare con me un’aspettativa di disponibilità femminile, quanto ho dentro di me una fantasia di protezione e controllo della debolezza femminile, quanto mi attraversa una rappresentazione di un’asimmetria di desiderio e soggettività tra i sessi che porta con sé un’idea di scambio ineguale3 nel desiderio tra donne e uomini? Su queste domande abbiamo spesso provato a riflettere insieme: nei gruppi, nei laboratori, nelle relazioni duali che abbiamo costruito. Con Lea Melandri abbiamo provato a confrontarci in un libro4 frutto dell’incontro tra la sua riflessione e quella di maschile plurale che interroga la contiguità tra amore e violenza. Non mi basta, dunque, riconoscere l’esistenza di un sistema di potere tra i sessi e quanto questo sia rafforzato dalla violenza “di pochi”, credo necessario lavorare dentro di me sulle dimensioni più profonde su cui quel potere ha “costruito” la mia identità. Lea, da parte sua, afferma la necessità di uno scavo femminile su cui molte donne scelgono di lavorare senza per questo ridurre la propria radicalità. Se “la violenza di pochi porta vantaggi all’intero genere maschile (controllo e potere sulla donna, facile soddisfazione dei propri desideri a discapito di quelli di lei, appagamento dei propri bisogni affettivi)” allora il mio impegno contro la violenza diviene un gesto di altruismo volontaristico certamente encomiabile ma a mio parere insufficiente. Nelle esperienze che abbiamo tentato di portare avanti insieme abbiamo assunto i desideri non come un dato neutro di cui regolare la soddisfazione: Credo che i miei desideri siano un terreno di trasformazione da risignificare, li abbiamo definiti un territorio “colonizzato” dall’immaginario e simbolico patriarcale; credo che la rimozione del desiderio femminile impoverisca la mia sessualità e le mie relazioni; credo che i miei bisogni affettivi siano qualcosa che le dinamiche di violenza tendono a rimuovere e dissimulare. Riconoscere la mia inter-dipendenza, la mia non autosufficienza, fare i conti con l’esperienza di dipendenza dal corpo femminile nell’infanzia e con la mia irriducibile radice relazionale non ha come esito una rinuncia frustrata ma l’apertura di una diversa qualità possibile della mia vita. (un’assunzione che mi pareva consolidata della riflessione di Maschile plurale). Mi batto contro la violenza maschile non solo perché parte di un sistema di potere che considero ingiusto e oppressivo verso le donne ma perché credo che questo potere produca anche una miseria nella vita degli uomini. Se non c’è questo riconoscimento su cosa si baserebbe la relazione politica tra donne e uomini? Su una solidarietà maschile per le donne come soggetti discriminati? Mi pare poco. Proprio Sara Gandini, raccontando l’esperienza di intercity-Intersex (una delle esperienze di confronto tra donne e uomini) precisava:
Sempre nel mio intervento affermavo:
Io ho conosciuto un femminismo e ho attraversato una riflessione sulla violenza che dicono altro. Dicono che quel sistema di oppressione produce anche una miseria nella vita degli uomini e che quel privilegio maschile, proprio a seguito di uno sguardo diverso delle donne, è ridotto a un feticcio incapace di rispondere alla mia domanda di senso. In questo senso la politica delle donne parla a tutti. Non si tratta di “proclami”, è il senso del mio percorso politico ed esistenziale. Una posizione maschile che si limita alla contemplazione di questo privilegio e che non mette in gioco un proprio desiderio di trasformazione non è più rigorosa ma, a mio parere, più arretrata. Ma questo tema ha anche direttamente a che fare con la violenza: la trasformazione delle relazioni di potere tra donne e uomini è infatti diffusamente rappresentata come minaccia per gli uomini indicata spesso come giustificazione per reazioni frustrate o esasperate. A questa rappresentazione Maschile Plurale ha risposto con una differente posizione maschile che invece riconosce in questo cambiamento e nella libertà e autonomia delle donne un guadagno per la nostra libertà. […] Ma il rifiuto di una prospettiva meramente etica dell’impegno maschile ha anche un’altra implicazione: il rifiuto di posizioni maschili ambigue come quella dei protettori delle donne, dei difensori, o dei censori. Se la collocazione maschile non ha come motivazione un proprio autonomo desiderio, una domanda di libertà anche per se stessi, rischia continuamente l’inautenticità, la ricerca della gratificazione. La riduzione del confronto tra uomini a competizione, a disfida retorica e intellettuale o a gara all’indignazione non è questione personale ma attiene a questa ambiguità. A questa competizione mi sottraggo non per poca determinazione ma perché mi risucchierebbe in una dinamica subalterna a un simbolico patriarcale.” Proprio in questi giorni mi è stato richiesto di recuperare il primo documento pubblico collettivo di uomini nel nostro paese. E mi ha colpito vedere che già in quel primo testo del 1985 (!), certo con qualche ingenuità, fosse già esplicito un tratto caratteristico del percorso di maschile plurale:
Questa frase finale può apparire appunto ingenua o estrema, ma a me pare sia proprio l’espressione di quella “crisi del patriarcato” che non è fine di un sistema di potere ma entrata in crisi della sua capacità di conferire senso alla vita di donne e uomini, del credito che ha nelle nostre vite. Anche nel marzo 2014 come mp in un testo collettivo6, non so oggi quanto condiviso, affermavamo:
Solo un anno prima, sempre come maschile plurale avevamo tentato di produrre un passo avanti nella nostra iniziativa chiedendoci: Il pensiero e la pratica politica delle donne ci hanno fornito lo spazio sociale e le parole per esprimere una nostra domanda su di noi che non trovava nei saperi prodotti dalle altre generazioni di uomini le parole per esprimersi. Oggi sentiamo la necessità di un doppio salto che è già dentro molte esperienze:
Qui mi pare ci sia un nodo su cui riflettere: pensiamo che le relazioni tra donne e uomini che vogliamo costruire siano reciprocamente trasformative? E perché lo siano crediamo che l’espressione di uno sguardo autonomo come uomini sia una risorsa da mettere in gioco? Uno sguardo, che parta dall’esperienza maschile ma anche che sia in grado di produrre conflitto tra uomini. Il riconoscimento del senso di un percorso politico maschile è ovviamente cruciale per un possibile rapporto politico tra donne e uomini. Anche nei nostri incontri, nelle nostre esperienze e nei nostri confronti abbiamo sempre condiviso la necessità di una riflessione tra uomini come condizione di un confronto ed abbiamo osservato come la limitatezza delle esperienze maschili per dimensioni e per stratificazione e articolazione di pensiero, abbia spesso rappresentato un limite. Eppure nel confronto pubblico di questi mesi è emersa una posizione, che è in parte conseguenziale alla lettura riduttiva a cui ho accennato e che a me pare un ritorno indietro della nostra discussione che di nuovo si ripresenta dissimulata nella forma di affermazione di radicalità. Tk Brambilla, ripresa da Laura Colombo, afferma: “Gli uomini, in quanto uomini, mi pare siano storicamente già associati a sufficienza.” Richiamare queste resistenze non vuol dire semplicemente “denunciarle” o farne motivo che inficia le affermazioni di merito, ma attraversarle, leggerne le ragioni profonde e provare a districarle da fantasmi, proiezioni reciproche che intorbidano la relazione e il merito del confronto. L’esperienza del gruppo “sui generi” svolta ad Anghiari ha esplicitato più di altre questo nodo facendone un terreno di ricerca comune: nel ciclo delle tre giornate di confronto emergevano a un certo punto equivoci, incomprensioni e insofferenze rivelatrici di proiezioni reciproche, aspettative, rappresentazioni su cui era possibile sviluppare nel restante tempo un lavoro di scavo, comune, conflitti creativi e produttori di consapevolezza. In questa discussione mi pare emerga un senso di insofferenza, di fastidio femminile verso un impegno maschile per altri versi sollecitato e genuinamente ricercato. Ne è per me un esempio l’osservazione di Laura Colombo: “Di più, se un uomo parla contro la violenza sessista “brilla” e subito la cosa diventa politicamente significativa, più che se parlassero cento donne. Tuttavia i proclami non bastano e troppo spesso le belle parole di comunicati e convegni sono lontane da una pratica concreta di impegno nelle relazioni.” Allo stesso modo ho visto negli interventi di Marisa Guarneri sui centri per uomini maltrattanti8 che le osservazioni puntuali di merito, per molti versi condivisibili, erano segnate da un tenore generale di sarcasmo infastidito quando non di insofferenza. Ho visto ridurre così la “Questione maschile su cui da anni tentiamo di ragionare: "Eccola la vera questione maschile: ritrarsi quando la situazione si fa difficile, non saper dare giudizi netti e fare atti coraggiosi verso chi la violenza la compie, e non la riconosce come propria, anche se appartiene alla sua parrocchia."9 Forse qui dovremmo chiederci “cosa ci sia in ballo” in questa reazione che non riguarda solo il lavoro con i maltrattanti ma anche l’esperienza di maschile plurale e che mi pare mini il lavoro di costruzione di relazioni politiche tra donne e uomini. Oltre alla valutazione, distorta, degli atti e delle parole prodotti dalla rete di maschile plurale c’è un tema politico più profondo. (un punto politico, si direbbe). Ma la possibilità di confronto tra noi comincia dal reciproco riconoscimento. Sara Gandini, nel descrivere l’esperienza del gruppo Intercity-intersex scriveva in una fase differente:
Riconoscere l’autonomia e la libertà femminile come risorse e assumere il debito maschile verso il pensiero e la pratica delle donne è altro da un “affidarsi” degli uomini all’autorità femminile. Ma è il riconoscimento di questa a fare apparentemente problema:
Più avanti ricorda che “la questione dell’autorità è aperta, e anche da parte femminile si fa fatica ad assumerla” “deve saper dare i limiti e quindi può essere percepita come feroce, perciò si deve “sopportare” i pianti e le recriminazioni, restando ferme e correndo il rischio di ferire.” 11 Io mi considero tra gli uomini vicini al femminismo e in effetti, credo che la proposizione di una relazione di “affidamento degli uomini all’autorità femminile” sia un modello poco fertile e con grandi ambiguità. Specie se si rappresenta l’autorità femminile come “potere luminoso che offusca tutto il resto12” e al quale affidarsi. Questo non ha mai prodotto la ricerca di un separatismo maschile nelle pratiche di maschile plurale che rimuovessero la relazione con le donne. Mi pare anche che proponendolo si assuma in modo semplicistico il riferimento all’affidamento tra donne (anch’esso come sappiamo largamente controverso nel femminismo) trasponendolo in una relazione tra donne e uomini che non è comparabile. Qui emerge poi un’idea di autorità non come risultato relazionale di riconoscimento reciproco e come energia circolante ma come “funzione” regolatoria e di limite non a caso paragonata all’esercizio genitoriale e molto assonante alla legge paterna richiamata da alcuni autori. In un testo curato anche da Sveva, 13 ho provato a ragionare su questo tema dell’autorità come limite e come Legge:
Ma c’è anche una più radicale incomprensione quando si confonde un dissenso politico con una resistenza maschile a riconoscere l’autorità femminile e a fare i conti con la potenza del fantasma del materno. Molto più semplicemente: se dissento da una posizione politica di una donna non è necessariamente per paura della potenza femminile, è anche perchè ritrovo la fertilità di altre elaborazioni e prospettive femministe. Credo infatti che i saperi femminili, le prospettive politiche dei femminismi siano plurali. Nel mio rapporto con il femminismo, ma mi sento di dirlo per l’esperienza di maschile plurale, è stato per me importante riconoscerne il valore dell’elaborazione e al tempo stesso credo sia un atto politico assumere la responsabilità di un rapporto critico e creativo, che gioca l’autonomia non come separatezza o indipendenza ma, appunto, come differenza in relazione. Non so quanto possa interessare alle donne una posizione maschile che “si schieri” con un femminismo o l’altro e che consideri i femminismi degli “schieramenti” da scegliere. Il tentativo di costruire una soggettività maschile critica e autonoma, anziché essere riconosciuto come un’opzione politica e tantomeno una risorsa, è rappresentato come “sintomo”, come un riflesso inconscio.
Io, in effetti, ho affermato la necessità della costruzione di un’autonomia politica del percorso di riflessione critica maschile e del posizionamento degli uomini in conflitto con il patriarcato. Non, dunque, “dimostrare” un’autonomia” ma provare a dare voce alla propria esperienza, produrre, a partire da sé una parola che sia fertile anche nelle relazioni con l’altra e col mondo. Avrò un problema con il fantasma dell’oscuro materno? Molto probabile. Cerco di avere presente le mie contraddizioni. Non mi considero del tutto trasparente a me stesso e non mi interessa una politica che si affermi come parola astratta e disincarnata. Non so se sia possibile, e auspicabile, una “politica senza inconscio”, pura prestazione, performance o pura parola normativa. Ma il punto è un altro. Le donne che sono interessate a una relazione politica con gli uomini, sono interessate alla costruzione di un’elaborazione politica autonoma che interpreti in modo conflittuale l’esperienza maschile? E gli uomini, sono interessati a produrla?
In Maschile Plurale ho scelto di fare percorso su di me e che, a partire dalla mia storia e dai miei desideri di cambiamento e dalle mie contraddizioni, costruisse una pratica politica collettiva, pubblica di uomini e in relazione con le donne. L’impegno contro la violenza maschile contro le donne sono per me parte di una pratica politica di trasformazione che chiede l’espressione di una soggettività maschile capace di esprimere in autonomia uno sguardo critico sul mondo e un desiderio di cambiamento. Questa soggettività non può prescindere non solo da una relazione politica con le donne ma dal riconoscimento del proprio, limite, della propria parzialità.
Il tema della libertà e della soggettività femminile come elementi che interrogano, incalzano e sollecitano un percorso politico maschile è al centro di tutti i documenti di maschile plurale non come notazione teorica o astratta ma come risorsa per una riflessione sulla propria esperienza e come riferimento per una propria collocazione:
NOTE 1 L’autonomia e il senso del percorso di maschile plurale, per me. S. Ciccone www.maschileplurale.it 2 Sito libreria 24 luglio 3 la grande beffa Paola Tabet 4 Il legame insospettabile tra amore e violenza, Lea Melandri, Stefano Ciccone 5 Al centro della politica ci vuole eros, desiderio e immaginazione. Sara Gandini 6 Andare oltre la violenza. I desideri degli uomini, la politica, la vita. Maschile Plurale marzo 2013 7 Gen 2013 “Mio fratello è figlio unico” ”Cosa cambia se cambiano i desideri degli uomini?” 8 Stereotipi vecchi e nuovi, di Marisa Guarneri, www.libreriadelledonne.it 9 ottobre 2014 9 La questione maschile, di Marisa Guarneri www.libreriadelledonne.it 22 ottobre 2014 10 Al centro della politica ci vuole eros, desiderio e immaginazione. di Sara Gandini 11 Il punto fermo della differenza, lezione di Sara Gandini alla Scuola della differenza a lecce 2014 12 Idem 13 Uomini contro le donne? Le radici della violenza maschile, S. Magaraggia, D. Cherubini UTET Università, 2013 15 Al centro della politica ci vuole eros, desiderio e immaginazione. Sara Gandini www.libreriadelledonne.it 26/4/2010
18 Andare oltre la violenza. I desideri degli uomini, la politica, la vita. Testo collettivo di Maschile Plurale
5-11-2014
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