L’intervento di Lidia Menapace in Senato
sui diritti, la famiglia, la laicità dello Stato, la guerra in Iraq
di Gemma Contin


Milano, 14 gennaio 2006



Donne a sinistra sul piede di guerra, per quella presenza, scarsa e marginale, dell’ “altra metà del cielo” nel governo Prodi.

Va all’attacco la deputata del Prc Elettra Deiana, che chiede: «Dove sono le donne?» e sostiene: «Solo 6 su un totale di 25 ministri è un risultato ben scarso, e tra queste solo una in un ministero di rilievo... neanche la percentuale sulla quale Prodi si era impegnato... Particolarmente grave la non valorizzazione di competenze istituzionali largamente presenti, come emerge dall’attribuzione di ministeri senza portafoglio in ruoli complementari».

La questione è stata posta ieri al Senato, nel corso degli interventi sulla fiducia, dalle parlamentari del centrosinistra, e sottolineata dalla senatrice femminista e pacifista Lidia Menapace.

«Perché le ministre non solo sono poche ma, tranne una, sono prive di portafoglio?» ha esordito la parlamentare del Prc, «e in più confinate in una serie di deleghe che non rispettano e fanno torto alle competenze che in vari campi della cultura e della società italiana le donne si sono conquistate?»

Offro a questo governo un voto preciso costante tenace ma sempre incalzante, ha dichiarato Menapace: «Il governo non deve aspettarsi un atteggiamento arreso e passivo. Io considero il conflitto un punto molto importante dello sviluppo della vita politica; sia il conflitto parlamentare, sia il conflitto sociale... in particolare sul tema dei diritti e della laicità». «Mi fermerò su questi due argomenti - ha precisato - per come soprattutto le donne li hanno avvertiti. E’ un peccato che questo governo cominci con un restringimento di interesse verso l’allargamento dei diritti e verso un’affermazione esplicita e rigorosa di laicità... soprattutto sull’articolo 2 e sull’articolo 3 della Costituzione!»

L’articolo 2 riconosce i diritti della persona, ha spiegato la neosenatrice: «Non si può dire, per esempio, “voi lesbiche, voi gay, disturbate i diritti degli altri”. L’affermazione dei loro diritti non può offendere i diritti che io ho già. Il fatto che le loro eventuali unioni siano riconosciute, e si risponda alla loro richiesta di diritti con i diritti, non offende la famiglia, che è già tutelata dall’articolo 29».

«Questa cosa noi la troviamo molto preoccupante - ha affermato Menapace - perché introduce una visione meno ampia di quanto non dovrebbe essere. Ci ripromettiamo di insistere su questo punto con la ministra Bindi, alla quale va una considerazione molto ampia per la sua capacità di essere laica essendo come tutti sanno credente. Le chiederemo un monitoraggio sulla famiglia, che è anche una istituzione molto violenta: la gran parte delle violenze fisiche e sessuali nei confronti delle donne, dei maltrattamenti e delle molestie nei confronti dei minori avviene in famiglia. Io non credo che si debba coprire questo con una specie di manto di garantita probità».

L’altro punto, sull’articolo 3, ha proseguito la neosenatrice: «Riguarda una concezione dell’uguaglianza dinamica, non formulata astrattamente una volta per sempre. E’ un’uguaglianza che viene sempre rimessa in discussione: o sull’accesso alla cittadinanza dei migranti, o sulle nuove forme della vita sociale che non vengono riconosciute. In particolare, su tutti i temi che riguardano la vita noi dobbiamo interessarcene senza preconcetti.

Si tratta di materia su cui non ci sono precedenti giuridici. Come si fa a legiferare dove non ci sono precedenti giuridici? Bisogna trovare una convinzione comune! Ma qui, nel Parlamento italiano, non fuori. L’intesa tra un cardinale sia pure progressista e un giurista molto avanzato, e magari persino uno scienziato non prometeico, non serve: non basta. L’accordo deve esser trovato qui, per confronto tra i due generi, riconoscendo anche che sul tema della generazione c’è una dissimetria tra i generi: il genere maschile è atto a fecondare, quello femminile a generare. Sul generare bisogna ascoltare quello che noi abbiamo da dire, la nostra storia, la nostra esperienza».

Non risparmierò al governo né la mia leale adesione né il mio voto, ha assicurato Menapace, «ma nemmeno la mia ferma critica. Sento che questo lo devo a chi mi ha eletta, perché molte donne in campagna elettorale mi chiedevano di instaurare e mantenere con loro una relazione politica significativa. Non posso dire loro “ci rivediamo tra cinque anni”».

E ha concluso, rivolta a Prodi, esplicitando che «sono stata invece molto contenta su quello che lei ha detto sull’Iraq. I tempi tecnici di quel ritiro per me sono stringenti. Sono arrivata a 82 anni senza commettere omicidi, non vorrei cominciare adesso. Sono convinta che chiunque muoia lì è senza risarcimento, senza remissione. Non si può con la guerra stabilire il diritto. Io l’ho provato: sono vecchia abbastanza da averlo provato.

Quando un esercito terribile ha invaso il nostro Paese, questo non è bastato a spegnere il nostro desiderio di libertà. E quando un altro esercito è venuto con distruzioni terribili a “liberare” il nostro Paese, noi non abbiamo sentito che dovevamo imitare quell’esercito. Abbiamo fatto una Costituzione che non è né la copia della Costituzione americana né l’imitazione della Magna Charta inglese. Abbiamo fatto una cosa nostra, che adesso vogliamo difendere in ogni modo perché degna di essere difesa».

 

questo articolo è apparso su Liberazione del 19 maggio  2006