LA
MENNULARA
di Valeria Consoli

Chi
è - o piuttosto - chi è stata la 'Mennulara', al
secolo Maria Rosalìa Inzerillo? Intorno a questo interrogativo
si snoda, per più di duecento pagine, l'opera prima di Simonetta
Agnello Hornby, una matura signora di origini palermitane, ormai naturalizzata
inglese per matrimonio e che da trent'anni svolge l'attività di
Avvocato nel quartiere londinese di Brixton, dove vive per lo più
a contatto con la comunità di colore e con quella musulmana, occupandosi
principalmente dei diritti delle donne.
Ed è proprio da questa molteplicità di stimoli - la sicilianità,
per usare un termine caro a Leonardo Sciascia - unitamente a quel lucido
distacco da luoghi e persone, in lei maturato dopo anni e anni di lontananza
dall'ambiente d'origine, che solo può consentire una serena visione
dei fatti, non disgiunti dalla frequentazione con la parte più
debole e 'scoperta' della comunità londinese - quelle donne, originarie
dal 'Terzo mondo', i cui diritti da sempre sono stati calpestati e offesi
- che il romanzo della Agnello Hornby trae una linfa, cui peraltro non
fanno certo difetto le molte letture, delle quali di sicuro l'autrice
deve essersi alimentata nel corso di questa sua 'duplice esistenza',
caratterizzata in gioventù dalla luce e dai sapori mediterranei,
indi dalle austere brume nordeuropee.
Se, a tutta prima, la mente può riandare a certi gialli del già
citato Sciascia - sia per quel certo andamento di tipo 'cronachistico'
che, fin dalle sue prime pagine, connota l'intero romanzo, sia per certi
'spaccati' d'ambiente, di cui giusto in quegli anni - l'autrice colloca
nel Settembre '63 la morte della 'Mennulara', cui l'intera trama del libro
è imperniata - anche il cinema si impossessa, specie nella cosiddetta
'Commedia all'italiana' (tipico esempio ne è quel Signore
e Signori di Pietro Germi, gustosa quanto impietosa satira
della provincia veneta) - con il procedere della lettura, non possono
non venire in mente certi scorci degni della grande tradizione degli scrittori
siciliani: da Giuseppe Tomasi di Lampedusa con il suo Gattopardo
- si pensi, a questo proposito, alla descrizione del fatiscente Palazzo
dei Principi di Brogli - a Federico De Roberto con I Vicerè;
non sono stati pochi i critici, i quali hanno sottolineato a questo proposito
il fatto che anche il libro della Agnello Hornby inizi proprio con un
decesso, quindi con un funerale - come nel grande affresco sulla decadenza
della nobile famiglia siciliana dei Francalanza Uzeda, immortalata dall'autore
verista - e di cui peraltro il cinema non ha tardato, anche in questo
caso, ad impadronirsi, specie riguardo a certe rappresentazioni di maniera
sulla mafia italo-americana come nel film Fratelli del regista
Abel Ferrara.
Viene da chiedersi, entrati a questo punto in medias res, quale
peso abbia giocato effettivamente il ruolo della presenza mafiosa nell'intera
vicenda: di certo non casualmente l'autrice palermitana fa iniziare il
racconto nel Settembre del '63: in effetti un anno-chiave nel delinearsi
di quella strategia, che - mettendo in atto la strage di Ciaculli
presso Palermo, avvenuta il 30 giugno del '63 per mano dei due clan
rivali delle famiglie mafiose dei Greco e dei La Barbera
- avrebbe dato inizio a quelle annose 'guerre di mafia' protrattesi fino
agli Anni Ottanta, segnando parimenti il passaggio dalla mafia di tipo
rurale degli Anni Quaranta Cinquanta - quella, per intenderci, del latifondo
e della lupara, della strage di Portella della Ginestra e di Salvatore
Giuliano - ad una di tipo urbano, concentrata essenzialmente sulla
speculazione edilizia, nonché foriera di quei traffici di droga
e di quei maneggi nell'alta finanza, che ne hanno rappresentato la caratteristica
saliente fino ai nostri giorni ed i cui echi non difficilmente si possono
scorgere nella filigrana della narrazione.
Va da sé che sarebbe tuttavia, a questo proposito, piuttosto riduttiva
la definizione di romanzo di mafia, parlando della Mennulara: è
pur vero che, fin dalle prime pagine - quelle per l'appunto nelle quali
vengono descritte le esequie della donna, morta a soli 55 anni - campeggia
la figura di Don Vincenzo Ancona, boss del paese, abbigliato anche
in Chiesa con la classica coppola come da manuale, che ormai giunto a
tarda età incute ancora terrore nei suoi compaesani
che rapporto
c'è stato fra lui e la 'Mennulara'? E come ha fatto quest'ultima
- lei di famiglia miserrima, lei che fin da bambina era stata una 'raccoglitrice
di mandorle' e che all'età di quindici anni era entrata come serva
(criata) nella casa dell'avvocato Orazio Alfallipe, preservando
la di lui moglie, Adriana, dalla solitudine - una volta passato a miglior
vita il consorte - e salvando Gianni, Carmela e Lilla - i tre figli della
coppia - dalla rovina economica? Chi è stata realmente questa donna?
Un angelo oppure un demonio? Una santa o una profittatrice? L'amministratrice
accorta di casa Alfallipe o una donna dai costumi facili?
Via via che se ne raccontano le sorti e le vicende, in uno scenario pirandelliano di asserzioni e di smentite, la Agnello Hornby delinea veramente
un personaggio degno della tematica dell'autore dei Sei personaggi, di
Uno nessuno centomila e di Così è se vi pare
Peccato
che - almeno a detta dell'autrice stessa, nel corso di una recente intervista
- non sia, almeno per adesso, in procinto di regalarci un altro 'caso letterario', così come è avvenuto per questa sua opera prima,
davvero prestigiosa.
Simonetta Agnello Hornby
LA MENNULARA
Feltrinelli, 2003
14 euro
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