Libera Università”Ipazia”

3 ciclo di incontri su “Città reale/città possibile”
Firenze ottobre 2007


Paura/sicurezza, riflessioni critiche sul diritto securitario
Comunicazione di Maria Grazia Campari

 

 

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La situazione attuale ripresenta e drammatizza antichi problemi irrisolti, ci impone di riformulare antiche diagnosi.
Sotto la spinta del mercato globale e della sua mano imperiosa che guida i destini del mondo, la democrazia economica e il diritto alla qualità della vita possono considerarsi, da tempo, perduti per i cittadini/sudditi, esclusi i pochissimi super privilegiati.
Come è risultato chiaro fin dagli inizi del secolo scorso, la democrazia economica, e quella politica sono strettamente interconnesse, quindi il disastro dell’una (democrazia economica, garante della qualità della vita) trascina l’altra (democrazia politica, garante dei diritti umani) nel baratro.
Oggi la profonda disuguaglianza dei livelli di vita e il drastico ridimensionamento dello stato sociale allargano la forbice fra garantiti e esclusi, determinano nei primi l’insorgere di un egoismo proprietario che costruisce muri, in difesa di cittadelle del benessere assediate.
Negli anni novanta del secolo scorso, l’insicurezza si mutò in paura a causa delle guerre della globalizzazione economica (partner anche l’Italia, malgrado l’affermato “ripudio” costituzionale), accompagnate da provvedimenti interni a connotazione securitaria, idonei a provocare disastri umanitari a carico dei migranti, con conseguente incremento di odio, reazioni terroriste e belliciste.
All’inizio di questo secolo, per la sicurezza dell’occidente minacciato la guerra diventa permanente e preventiva. Si instaura un circolo vizioso: la paura  suscita bisogno di sicurezza e legittima risposte che, in nome della sicurezza, alzano il livello della violenza e riproducono paura.
A livello globale viene sancita una politica di pura potenza che rimuove qualsiasi pretesa di obbedienza ad un ordine giuridico internazionale costituito.
L’ordine del mercato globale capitalistico (che porta con sé la guerra quotidiana dei forti contro i deboli) prevale: il diritto internazionale di origine pattizia plurilaterale (Trattati, Convenzioni) viene sostituito da contrattazioni e accordi su base bilaterale fra governi che escludono i Parlamenti, cioè le istituzioni legislative espressione più diretta del consenso democratico.
Il diritto internazionale, pubblico per eccellenza, viene in tal modo privatizzato dalla lex mercatoria sopranazionale, diventa affare fra leaders, spesso segreto per maggior sicurezza.
Contemporaneamente, nei singoli Stati, la spirale securitaria prevede, per maggiore sicurezza, la giuridificazione e la pubblicizzazione del privato. Ciò significa che:

  • la legislazione invade tutti gli spazi della vita umana, perfino i più privati, a lungo refrattari a norme esteriori, come quelli delle relazioni intime interpersonali
  • le tecniche di comunicazione a distanza, di raccolta ed elaborazione dei dati, pongono seri problemi di protezione dei diritti personali che richiederebbero interventi legislativi all’altezza della sfida.

Non sfugge, infatti, che chi controlla le immagini e le parole può incidere sulla formazione dei pensieri, dei desideri, sui comportamenti materiali e sulle scelte, può influenzare le percezioni attraverso la diffusione o la non diffusione dei dati, eventualmente aggiustati alla bisogna.
La categoria della sicurezza consente agli apparati pubblici di disporre della vita dei cittadini (sudditi) eliminando, in tendenza, i diritti universali. Ogni intervento di forza del potere diventa legittimo. Non solo, la difesa securitaria del se separato e distinto è il rigetto dell’altro, crea il clima che normalizza esclusione e violenza, chiusura in fortini identitari e familistici, che funzionalizza le donne a ruoli tradizionali, negandone la valenza di soggetto costituente della società, aprendo varchi alla violenza sessista: contemporaneamente una rapina di soggettività, di libertà, di democrazia, con ampie ricadute negative sull’intero genere umano.
Si viene sempre più affermando una società del controllo che esibisce una sorta di doppio movimento: un di più di controllo su un modello di intervento conformato alla repressione penale per la “gente comune”, con gradazioni commisurate alla marginalità dei soggetti, un minus per gli Stati in grado di violare o abolire Trattati, sottrarsi alle giurisdizioni internazionali o nazionali di altri Stati, anche in casi estremi di offensive belliche unilaterali, torture, omicidi di massa, disastri (con gradazioni di possibilità commisurate alla potenza offensiva).

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Quando si parla di “diritto securitario”, come oggi si usa, in realtà ci si riferisce ad un concetto intimamente contraddittorio, un ossimoro, poiché esso prevede spesso l’obliterazione dei principi generali e astratti, universalmente validi, che connotano la sfera garantista propria del diritto e si conforma piuttosto alle mutevoli esigenze della politica individuate dal potere esecutivo, si appiattisce sulla regolamentazione amministrativa, fornendola, però, di improprie misure di cogenza penale. Con violazione palese della tripartizione e dell’indipendenza dei poteri dello Stato tipica delle democrazie occidentali .
A livello internazionale si tenta ripetutamente di mettere in questione i Trattati internazionali (di Ginevra, ad esempio) posti a protezione delle persone e delle infrastrutture civili in teatri di guerra, sotto il pretesto di perseguire guerre asimmetriche contro il terrorismo che richiedono mano libera e scarsa considerazione dei cosiddetti danni collaterali (USA e Israele).
In ogni caso, la spinta securitaria aveva già determinato una legislazione speciale statunitense prodotta dal settembre 2001 ai giorni nostri, attualmente vigente e applicabile a tutti gli stranieri per qualche motivo sospetti; essa prevede: tribunali speciali militari per i sospetti di terrorismo, discrezionalità investigativa totale e violazione di qualsiasi privacy, segretezza dei mezzi di prova a carico ed esclusione degli avvocati dalle udienze preliminari in mano all’accusa, carcerazione preventiva a tempo indefinito, possibilità di condanna a morte deliberata dai dei due terzi anzicchè dalla totalità dei giudicanti.
Inoltre, è prevista l’immunità totale dei belligeranti nelle zone di guerra dalla locale giurisdizione in favore di quella dello Stato di origine (normalmente statunitense).
In tempi recenti, un dubbio cultore del diritto ingaggiato dall’amministrazione Bush (Alberto Gonzales) ha sostenuto anche la liceità della tortura praticata dietro autorizzazione del Dipartimento di giustizia nei vari carceri più o meno segreti come Abu Ghraib.
Chiaramente, tutte quelle disposizioni legislative e ordinamentali si pongono in contrasto con i valori fondanti degli ordinamenti giuridici occidentali, a partire dalla Magna Charta Libertatis sulla quale si fonda la stessa Costituzione degli Stati uniti d’America. Esse contraddicono anche una sorta di costituzione mondiale cui si fanno risalire Convenzioni e Trattati internazionali multilaterali, pattuiti a garanzia dei diritti umani dei singoli e della civile convivenza fra i popoli.
Una involuzione di stampo neoassolutistico pervade, a livello mondiale, la sfera dei rapporti internazionali e si diffonde come un virus in Europa e nei singoli Stati dell’Unione.
Oggi una chiave possibile per definire l’Europa è certamente quella della sicurezza che descrive le sue politiche securitarie collegandole alle politiche migratorie.
Si manifesta la difficoltà di definire e applicare una politica migratoria comune a tutti gli Stati membri poiché si tratta di materia in cui è necessaria l’unanimità nelle deliberazioni. La politica comune è stata però una delle priorità delle istituzioni europee negli ultimi anni e viene acquisendo caratteri comunitari quasi esclusivamente in materia di contrasto all’immigrazione definita illegale.
Si è costituita l’agenzia comunitaria Frontex (con sede a Varsavia) deputata al controllo delle frontiere che ha coordinato varie operazioni congiunte di pattugliamento costiero, attività che dovrebbe essere ampliata con una Rete e un Sistema europeo di sorveglianza integrata.
Contemporaneamente, si vanno stipulando accordi con i Paesi di provenienza e transito dei maggiori flussi migratori (segnatamente in Nord Africa) per il controllo e la delocalizzazione dei migranti illegali, costituendo Centri di trattamento fuori dal territorio europeo, si coopera nel controllo delle frontiere autorizzando pratiche illegali perché in contrasto con le previsioni della Convenzione Europea dei Diritti Umani, la Carta di Nizza e il Trattato Costituzionale.
Anche sul territorio europeo le pratiche di contrasto all’immigrazione sono spesso illegittime, anche qui esistono centinaia di Centri di detenzione amministrativa per immigrati ove sono state riscontrate violazioni di diritti fondamentali, sempre in nome della sicurezza.
La cifra della politica europea è quella della selezione all’ingresso, così da stabilire quantità e caratteristiche dei cittadini di Paesi terzi in base alle esigenze del mercato europeo: ai lavoratori qualificati in settori produttivi ritenuti necessari, il Commissario per la Libertà, Sicurezza e Giustizia (?!) prevede la corresponsione di una “carta blu” per l’ingresso legale agevolato. Per gli altri è prevista la detenzione securitaria e l’esclusione.

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Per venire a noi, va notato come l’Italia partecipi a pieno titolo alla deriva securitaria con appositi strumenti giuridici varati negli ultimi anni. Il riferimento obbligato è alla legge Turco-Napolitano, alla Bossi-Fini e al recente pacchetto sicurezza del governo Prodi.
Semplificando, il nocciolo duro di ogni violazione di diritti costituzionali sta nella limitazione della libertà personale, nella detenzione amministrativa in Centri di Permanenza Temporanea che colpisce i soli cittadini stranieri, privandoli della libertà senza che vi sia l’indispensabile presupposto della commissione di reati particolari e senza la necessità di provvedimenti giudiziari, con evidente discriminazione.
Qui si evidenziano anche contravvenzioni amministrative che recano le medesime conseguenze di gravi reati: l’ordine di espulsione violato comporta l’arresto e il processo per direttissima, come per gravi reati, con evidente violazione del diritto di difesa. Si crea in tal modo un circolo vizioso fra CPT e carcere, fra detenzione amministrativa e giudiziaria.
La commistione fra diritto criminale e diritto amministrativo, la violazione dell’habeas corpus connota tutta una serie di provvedimenti e proposte legislative previste dal governo.
Si inizia con il disegno di legge delega n. 2976 presentato dal Ministro Amato che nella relazione parla di inclusione e accoglienza per i cittadini stranieri, ma nelle disposizioni dell’articolato prevede, al contrario, l’accesso per i soli migranti desiderabili sotto il profilo delle esigenze del nostro mercato del lavoro o per quelli dotati di risorse finanziarie utili alla nostra economia; che mantiene in vita i CPT e prevede misure e procedure di identificazione non escluso l’esame del DNA.
Si prosegue con il Patto per la sicurezza tra Ministero dell’Interno e ANCI (associazione dei comuni) che menziona come sua premessa il diritto alla sicurezza fra i diritti assoluti della persona, tanto assoluto da comprimere i diritti alla libertà, all’esistenza libera e dignitosa, alla salute, alla vita, beni primari garantiti dalla Costituzione, ma negati ai migranti.
Le linee di indirizzo prevedono: misure di prevenzione sociale e bonifica in relazione alle specificità dei contesti ambientali (bonifica con le ruspe e allontanamento di migranti), maggiore controllo del territorio, incremento della forza pubblica e video sorveglianza, potenziamento dei sistemi informativi, controlli anti abusivismo, contraffazione, mendicità, prostituzione tossicodipendenze, bullismo anche da parte della vigilanza urbana (o polizia locale)
L’autunno porta con sé disegni di legge e una ipotesi di (mutante) decreto legge.
Il primo tipo di provvedimento (che implica un normale iter alle Camere) prevede: custodia cautelare per i reati di allarme sociale (es: furto, scippo, rapina), con revisione della legge vigente che prevede la possibilità di accesso a misure alternative al carcere per reati con pene fino a tre anni. La misura eguaglia quella in uso per reati associativi con finalità sovversive, con aumento della popolazione carceraria stimata in settantamila unità, allo stato attuale. Potere ai sindaci di emanare ordinanze non solo per gravi pericoli a minaccia della incolumità dei cittadini, ma anche per motivi di sicurezza e decoro urbano, termini assai generici che consentiranno provvedimenti afflittivi disparati e renderanno i sindaci ufficiali del governo, termine dotato di suggestioni assai poco democratiche. Stretta contro graffitari con aumenti di pena per i disturbatori del decoro urbano, sempre in questa ottica, potere ai sindaci di modificare luogo e modalità delle manifestazioni politiche. Attribuzione ai prefetti della possibilità di espellere per motivi di pubblica sicurezza, anche mediante allontanamento immediato, cittadini extracomunitari o comunitari ovvero un famigliare che compromettano con il loro comportamento la tutela della dignità umana, i diritti dei cittadini oppure l’incolumità pubblica in modo tale da destare allarme sociale, così modificando la regola che prevedeva espulsioni per minacce alla sicurezza dello Stato disposta esclusivamente dal Ministro degli Interni.
Quest’utima disposizione risulta ulteriormente conturbante per il fatto di essere stralciata e oggetto di decreto legge, provvedimento urgente di origine governativa che entra in vigore immediatamente con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, prima di qualsiasi discussione parlamentare.
La modifica della forma legislativa (da disegno a decreto legge) segue l’uccisione di una donna italiana, presumibilmente da parte di un uomo rom, assicurato alla giustizia per la denuncia di una donna rom. Fa da riscontro ad un moto collettivo di ripulsa nei confronti dell’etnia del presunto assassino.
Il nucleo del decreto è costituito dalla previsione che i prefetti possano procedere all’espulsione, sostanzialmente sottratta al controllo della magistratura ordinaria, nei casi in cui un cittadino dell’Unione (tali sono rom e rumeni) o un suo famigliare abbia tenuto comportamenti che compromettano la dignità umana o i diritti fondamentali della persona ovvero l’incolumità pubblica, rendendo incompatibile la sua presenza nel nostro Paese con l’ordinaria convivenza.
Sia la forma della decretazione d’urgenza (utilizzata in modo estemporaneo a seguito di un fatto criminale purtroppo non inconsueto) che costituisce rottura nella doverosa ordinarietà della legge penale, sia la genericità della previsione, nella quale possono rientrare i comportamenti più disparati (ciò che pure collide con la doverosa dettagliata previsione del crimine colpito da sanzione penale, per tacer d’altro), sono stati giustamente criticati dai giuristi più avvertiti.
Poiché, inoltre, la norma tende chiaramente ad attribuire responsabilità collettive (ma la responsabilità penale è personale), anche la Commissione europea ha criticato l’Italia  e l’ha invitata ad attenersi ai principi della civiltà giuridica e a rispettare le direttive europee e le Convenzioni sui diritti umani che vietano punizioni collettive.
Questo decreto, assunto sull’onda emozionale che ha scosso l’opinione pubblica è stata la risposta sbagliata poiché ha fomentato ulteriori pessime emozioni di stampo securitario, autorizzando distruzioni e allontanamenti collettivi, scatenando ronde punitive a carattere razzista; la paura, il sospetto inoculati nella società da una propaganda continua e serpeggiante ha prodotto frutti ulteriori di odio verso l’altro.
Questo decreto, inoltre, utilizzando come materia di ordine pubblico, il bestiale omicidio di una donna da parte di un uomo, ha oscurato la realtà, negato l’evidenza della violenza di genere, ha evitato di assumere pubblica responsabilità rispetto ad un misfatto di stampo sessista che richiederebbe molteplici e mirati interventi (culturali, educativi, formativi, anche repressivi) dei pubblici poteri per il risanamento di situazioni gravemente malate di sessismo molto presenti nella società italiana.
Anche sotto questo profilo, la risposta governativa non avrebbe potuto essere più sbagliata, inutile e fuorviante rispetto alla realtà del fenomeno.

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Tutto viene giustificato in nome della sicurezza, concetto erroneamente sussunto fra i diritti fondamentali, mentre appare piuttosto una reazione primordiale invalsa in quelle discariche dei problemi prodotti a livello globale che sono diventate le città in cui viviamo come assediati, erigendo inutili muri. Una pezza che serve a nascondere le molteplici violazioni dei diritti fondamentali, rifondando ordinamenti che prevedono l’alterazione del quadro delle libertà civili.
Come è stato opportunamente ricordato (Z. Barman), con il progressivo smantellamento  dei presidi contro le disgrazie esistenziali e l’enfatizzazione della concorrenza anche interpersonale  sui mercati, che erode la solidarietà, viene delegato ai singoli il compito di trovare soluzioni individuali a problemi indotti dalla società. Ciò attraverso strumenti individuali palesemente inadeguati alla bisogna.
La situazione già per se stessa promuove sensazioni di impotenza, solitudine, paura.
Si aggira lo spettro del degrado sociale dal quale lo Stato si era impegnato a difendere i cittadini; quella protezione viene sostituita dalla difesa contro la minaccia della criminalità, specialmente quella prodotta dalla miseria di immigrati clandestini.
Ha così luogo una modalità escludente, securitaria, di rapportarsi all’altro (l’escluso) che determina pesanti ricadute negative sugli inclusi poiché modifica il paradigma della cittadinanza.
La visione progressiva dello spazio sociale come luogo di relazione e di competizione fra diversi che ricercano collettivamente misure di mediazione, cede alla visione di una società di soggetti che vedono intorno a sé aggressori, sentendosi vittime.
Paura, vittimismo, reazione securitaria autorizzano qualsiasi reazione di forza.
La violenza invade lo spazio pubblico e si espande in quello privato.
In particolare le donne sono le vittime potenziali e materiali, soggetti deboli contemporaneamente da aggredire e da proteggere, rinchiudendole negli spazi di inclusione, nei ruoli famigliari tradizionali, negando spazio pubblico e natura di soggetti costituenti della polis.
La paura e il rimedio securitario giustificano il potere e lo mantengono nelle mani di chi già lo possiede, inceppano il gioco democratico.
Contro la società della paura/sicurezza (temibile per tutti noi) occorre riorganizzare la società inclusiva che riconosce aiuto e partecipazione democratica, anzicchè infliggere esclusivamente punizioni
In questa ottica, risulta prezioso ogni sforzo nella direzione di modificare la natura delle città da discariche di problematiche indotte dalla politica globale a laboratori di buona politica, ove vengono quotidianamente ricercati strumenti per convivere con l’altro.

 

13-11-2007

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