Donne migranti, un altro silenzio che ammorba

Le donne che si sono incontrate al presidio del 25 novembre in piazza Cadorna
e che vogliono rompere il silenzio di Milano sulle violenze nei Cie

 

Per mesi alcuni noti quotidiani italiani, tra i quali il vostro, hanno dato spazio a un serrato dibattito.
Giornaliste, scrittrici, docenti universitarie, donne impegnate nella politica e nel sociale, si sono interrogate in modo appassionato sul silenzio delle donne – che diventava, chissà perché, «silenzio del femminismo» - e su come fare a romperlo.

Non ci interessano gli aspetti di scontro politico tra centro destra e centro sinistra legati alla vicenda. Ci interessa ricordare quanto molte tra voi, e tra le autorevoli opinioniste chiamate a esprimersi, facevano presente nei loro contributi.
Pareva, alle più, che il clima generale si prestasse a un salto indietro, rischiando di cancellare le tante, fondamentali, lotte in nome della libertà, della autodeterminazione e della dignità (e dunque della cittadinanza) delle donne per ricacciarle in un vecchio ruolo di «oggetti sessuali» del «papi» di turno. La grande, straordinaria, lezione rappresentata dalle battaglie per i diritti civili che le donne italiane hanno condotto dal dopoguerra in poi sembrava oscurata di fronte a una logica che provava a ricondurle al dominio e alla dipendenza.

«Le donne - scriveva Nadia Urbinati - sono sempre lo specchio della società, il segno più eloquente della condizione nella quale versa il loro Paese». Oggi sentiamo la necessità di ricordare a tutte voi che le donne immigrate, in questo Paese, stanno richiuse dentro i Centri di identificazione ed espulsione (Cie) per «reato di clandestinità». Lager dove donne e uomini, costretti a emigrare dal proprio Paese per sfuggire alla fame o alle guerre, e spesso anche a persecuzioni politiche, vengono detenuti e privati dei diritti umani fondamentali.

Quarant’anni fa le femministe riuscirono a smascherare e rovesciare l’ipocrisia di una società maschilista che considerava gli stupri «atti contro la morale» invece che delitti contro la persona. Oggi, a distanza di tanti anni, pensiamo sia necessario riprendere la lotta non soltanto contro il persistere di una cultura ancora profondamente maschilista cui si devono ripetuti casi di violenza e femminicidio, ma anche in difesa delle migranti rinchiuse nei Cie, considerate come «non persone», senza diritti e sottoposte a continui ricatti sessuali.
Joy ed Helen, due delle cinque donne arrestate insieme ad altri migranti in seguito a una rivolta avvenuta quest’estate in via Corelli, a Milano, hanno avuto il coraggio di denunciare in Tribunale l’ispettore-capo del Cie per un tentativo di stupro.

In attesa di processo, il 12 febbraio saranno scarcerate ma rischiano di essere nuovamente deportate nei Cie, in mano agli stessi aguzzini da cui si sono dovute difendere, con gravissimo rischio per la loro incolumità fisica e psichica, oppure rimandate tutte nei loro paesi d’origine e ricacciate in quelle gravissime situazioni di pericolo cui hanno cercato di sottrarsi.
Se le voci di donna che si sono levate contro la «violenza del tiranno» durante l’estate e l’autunno erano autentiche, se celavano una preoccupazione sincera per la qualità della «democrazia» italiana, pensiamo che esse non possano esimersi dall’esprimersi - con ancora più forza - anche in questi casi che riguardano le migranti. La loro reclusione nei Cie, in condizioni di invisibilità, rappresenta un’onta per tutto il genere femminile di questo Paese. Il rischio di arretramento generale per tutte noi comincia proprio da questa contraddizione aperta, che coinvolge altre donne come noi. Esso ci
riguarda in prima persona. Dobbiamo pretendere che cambi. Nessuna libertà, nessun diritto, nessuna autodeterminazione può essere data se accettiamo che qualcun’altra ne sia priva.

Vi chiediamo dunque di usare per Joy, Helen, per le altre donne del Cie di Milano e per tutte le migranti che stanno in quella situazione, la stessa fermezza e indignazione che avete speso per il sexygate.
Avete scritto: «Questo silenzio ammorba l’aria». Noi ne siamo convinte. Aiutateci a romperlo, parlando di Joy, di Helen e di tutte le altre.


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pubblicato in il manifesto del 9 Febbraio 2010

 

 

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