Specchi e specchietti

di Liliana Moro

Milano, 7 ottobre 2001

Qualche riflessione per spezzare il silenzio e la paralisi della paura.

Ho apprezzato l'intervento di Lea Melandri (il Manifesto del 5.10) anche per l'intreccio tra piano politico e emozionale. Sono convinta che 'la linea del fronte' passi proprio qui. Uso una metafora bellica non per bellicismo ma perché ritengo che l'implicazione delle donne nella guerra sia profonda e cruciale.

In tutte le guerre è così: le guerre non sono 'cosa da uomini', sono un affare in cui le donne sono immerse fino al collo.

Innanzitutto ne sono le prime vittime, soprattutto dalla seconda guerra mondiale in poi, quando le vittime civili hanno iniziato ad essere più numerose di quelle in divisa. Ma non è solo questo: ne sono anche il referente ideologico, nel senso che gli uomini usano l'argomento della difesa delle donne e dei bambini come motivazione ultima e definitiva per l'uso delle armi. Sono inorridita l'altra sera sentendo con quanta serenità l'on. Buttiglione sosteneva dagli schermi televisivi la superiorità della 'cultura occidentale' perché garantisce la libertà delle donne. (Tranne quella di decidere la propria maternità, naturalmente, se dipendesse da lui). E in genere l'accusa più bruciante rivolta ai Talebani è quella della oppressione femminile: giustamente, ma tragicamente se diventa una bandiera della crociata.

Questo spostamento di responsabilità, per cui gli uni si fanno carico dei problemi delle altre, è speculare allo spostamento di conseguenze, per cui le une pagano per le scelte degli altri.
In ciò siamo nello scenario 'normale' di guerra, delle guerre che abbiamo visto finora.

Ma in questa guerra che stiamo vivendo ora c'è qualche cosa di diverso. Non è una guerra fra stati, quindi non ci sono confini. Non è contro nessuno, quindi è contro tutti. Il nemico è invisibile, quindi è dovunque.

In effetti ci sentiamo tutti sotto attacco e le notizie che ci forniscono i media sembrano giocare continuamente al rialzo dell'ansia e del terrore. Si spezzano i fragili equilibri delle nostre esistenze, già compromessi dagli effetti perversi della globalizzazione e dalle scelte sciagurate con cui i nostri governanti hanno deciso di gestire la situazione. Dopo Genova si diceva che niente poteva essere più come prima, ma dopo l'11 settembre si è stati costretti a ripetere la stessa formula.

Proprio qui si situa lo spazio d'azione delle donne. Ora più che mai ogni battito d'ala può cambiare il pianeta e sappiamo bene che molto si gioca nello sguardo che rivolgiamo al pizzaiolo egiziano, al fattorino senegalese, alla casalinga in chador che incontriamo al mercato. Così come sappiamo bene quanto è importante farsi un panino da McDonald's, comperare un paio di Nike o prendere una tazza di Nescafè.

Non voglio più essere specchio per le nevrosi o i traffici di nessuno e non voglio essere abbagliata da specchietti di nessun tipo.