Mobilitazione delle donne contro l’attacco alla 194 
di Angela Azzaro

 

Dice che la 194 non si tocca. Che il governo non ha nessuna intenzione di cambiare la normativa sull’interruzione volontaria di gravidanza. Ma poi fa terrorismo psicologico e attacca senza tentennamenti la 194.

Il ministro della Salute, Francesco Storace, ha dato il via alla cosiddetta indagine conoscitiva sull’interruzione di gravidanza portando avanti la sua offensiva contro le donne. «Dal 1978 a oggi in Italia non sono nati, per aborto, 4 milioni e 350 mila bambini» ha detto davanti alla commissione Affari sociali della Camera e ha informato che fin da ieri pomeriggio avrebbe inviato alle Regioni una proposta di protocollo con i nuovi questionari per la raccolta di dati e informazioni sulle attività di prevenzione. Una vera schedatura. Una vera e propria intimidazione.

Ma le donne non stanno a guardare. Escono con decisione dal silenzio come recita lo slogan che è stato lanciato dalla Camera di lavoro di Milano il 29 novembre scorso, durante un’assemblea affollatissima. Il segnale di protesta espresso in quell’occasione è diventato un’onda di mobilitazione che sta coinvolgendo tutta l’Italia, dal Nord al Sud, alle isole. Molte le iniziative, con due tappe centrali.

Domenica, 18 dicembre, assemblee nelle più grandi città italiane in vista della manifestazione nazionale che si farà a Milano il 14 gennaio. Si discuterà di come arrivarci e, soprattutto, con quali contenuti. 

E’ un’occasione importante. Unica. Le donne vanno in piazza e chiedono agli uomini di farlo perché pensano che la situazione sia molto grave. La legge 194 è già di fatto, in molti casi, svuotata di senso. I consultori sono presi di mira. L’embrione è diventato soggetto di diritto.

E’ uno scontro di civiltà che vede le donne come obiettivo privilegiato di un patriarcato che non è mai morto. In Italia. In Europa. A Est come a Ovest. E’ un patriarcato molto crudele, invasivo, che non si ferma davanti a niente. L’attacco all’autodeterminazione femminile è il segno, emblematico, di quale rapporto si voglia instaurare tra lo Stato (l’idea che si ha dello Stato) e i corpi delle individue e degli individui: corpi ridotti a mere funzioni di una legge che li dovrebbe, vorrebbe sovrastare nelle scelte più intime.

Le donne si riprendono la parola pubblica per contrastare questo progetto, per chiedere per tutte e tutti che l’Italia torni a essere un paese laico. E’ un progetto di civiltà che passa, come già è stato detto nelle varie riunioni delle settimane scorse, attraverso la problematizzazione del rapporto tra i sessi, attraverso la messa in discussione della (etero) sessualità.

Lo ha scritto su queste pagine Lea Melandri: lo ha fatto in maniera chiara. Netta anche rispetto alle ambiguità di chi nel centrosinistra pensa che l’attacco alla legge 194 vada contrastato con politiche di aiuto alla maternità (vedi Turco o Bindi). Niente di più sbagliato.

Niente di più lontano dalla radicalità che esprimono le donne, molte femministe, che si mobilitano: la loro protesta passa attraverso un’idea diversa di libertà e responsabilità femminile, attraverso un’idea diversa di società. 

Domenica gli occhi saranno puntati in primo luogo su Milano, dove (ore 21, Camera del lavoro) si deciderà anche il percorso del corteo nazionale che partirà alle 14, e su Roma dove l’appuntamento è alla Casa internazionale delle donne (alle 15). E poi ancora Bologna, Firenze, L’Aquila, Genova. In molte città le riunioni ci sono state o sono previste in questi giorni. Altre ancora si terranno subito dopo il 18. La partecipazione è un altro elemento di novità. Le giovani ci sono. Vanno alle assemblee, invitano le donne più impegnate nelle loro scuole occupate. Nelle università.

Il silenzio è superato con una parola che è diventata in questi decenni sempre più incisiva, ricca di esperienze, espressione di culture diverse. Il 14 gennaio è l’occasione non solo per resistere, ma anche per fare un salto in avanti. Ci sarebbe, per paradosso, da ringraziare la destra e il Vaticano, se a causa della loro offensiva non ci fosse anche la sofferenza o il disagio di molte.  

questo articolo è apparso su Liberazione del 15 dicembre 2005