Motivazioni del Premio "Eleonora Duse"
a Ermanna Montanari (La Signora dell’Alba)

 

Anche nel teatro, come nella vita, ci sono amori, debolezze, gioie, durezze, passioni, dolori, addii.
Lo scorso anno teatrale è stato un anno di dolorosi addii. Ci hanno lasciato quattro grandi donne che per senso di dignità e rigore come fondamento della propria arte, per bravura e fermezza nel sostenere la propria personalità, sono state le più grandi attrici del teatro italiano. Mariangela Melato, Anna Proclemer, Rossella Falk, Franca Rame, alcune “Premio Duse”, anche in due occasioni. Il loro addio interroga il teatro sul rapporto tra passato e presente, sull’avvicendamento tra le generazioni, e interroga, in particolare, anche noi del premio Duse, unico riconoscimento che sottolinea una specificità di genere, una specificità femminile, nell’arte del teatro.

Così, forti della loro lezione di donne e artiste che hanno saputo cambiare e rinnovare il teatro anche contro lo spirito del tempo, ci fa piacere assegnare il Premio Duse 2013 a un’attrice che non solo incarna la connessione con le nuove generazioni, perché il suo lavoro sta tra gli anni Settanta e oggi, ma che con il suo teatro – che è passione per “la parola” e insieme vertigine visionaria – ha intrapreso con successo e rigore un cammino contromarcia ancora oggi tra i più vivi. All’unanimità la giuria ha assegnato il premio Duse 2013 a Ermanna Montanari, attrice e fondatrice del Teatro delle Albe di Ravenna, una delle formazioni più importanti tra quelle che si sono imposte nel teatro italiano contemporaneo.

Non sono molte le attrici emerse negli anni ’80 a poter contare oltre quaranta spettacoli, una serie nutrita di libri e saggi e una monografia di oltre trecento pagine a lei dedicata come Ermanna Montanari che vanta un percorso di innovazione artistico ormai trentennale, dando come punto di partenza l’83 quando insieme a Marco Martinelli, Luigi Dadina e Marcella Nonni, fonda il Teatro delle Albe, inizialmente impegnata come scenografa oltre che attrice, poi solo come attrice contribuendo in modo determinante alla crescita e al riconoscimento pubblico della compagnia.

È un percorso artistico non lineare, anticonvenzionale quello di Ermanna Montanari, fin dall’inizio intrecciato a quello della sua vita: l’amore nato sui banchi di scuola per Marco Martinelli, regista delle Albe, per esempio… perché gli spettacoli del gruppo, oggi diventato Ravenna Teatro, sono nati quasi tutti dalla complessa e straordinaria alchimia della loro unione.

Per Ermanna fin dagli inizi la conquista del mestiere è anche conquista di un’identità, uno scavo dentro di sé anche faticoso, doloroso, che la porta dalle letture junghiane alle esperienze e agli incontri con i maestri come Grotowski o a quello altrettanto suggestivo con i Griots senegalesi; dall’Africa, appunto, alla Romagna, terra d’origine che per Ermanna è poi Campiano, il paese dove è nata e cresciuta, in una famiglia patriarcale e contadina che ha segnato la sua personalità al punto, racconta lei stessa, che quando andò al liceo a Ravenna inevitabilmente si sentiva “diversa” rispetto ai compagni urbanizzati.

In questo “viaggio in divenire” che è il fare teatro, Ermanna percorre numerose strade: sono gli spettacoli di gruppo come i Polacchi del 98 dove fu una potente Madre Ubu, ripreso nel 2007 durante l’esperienza africana col titolo Ubu buur, ma anche la determinante decisione di dirigere un festival, quello di Santarcangelo nel 2011. Un percorso contraddistinto però da momenti topici, punti fermi: Rosvita del 91, suo spettacolo-documento, in scena da vent’anni, di fatto mai abbandonato. Ermanna ne è autrice, regista, interprete: ricucendo la vita della canonichessa sassone del X secolo in un mosaico favolistico di apparizioni, raddoppiamenti, Rosvita è lo spettacolo dove più si configura la ricerca di un linguaggio personale che nel caso di Ermanna è il lavoro sulla voce, il rigore di governarla trasformando le profondità magmatiche della sua ricerca artistica, dello scavo di sé, appunto, in canto, la fisicità in suono.

Un lavoro poi proseguito con Cenci del 93, Ippolito del 95, Lus sempre del 95, un canto in dialetto romagnolo di Nevio Spadoni, fino all’altro grande successo, L’isola di Alcina, la maga dell’Orlando Furioso che nel 2000 ebbe riconoscimenti e consensi, anche internazionali. Da quella originalissima ricerca vocale, dalla forza teatrale della voce, sono poi nati altri lavori, La mano, de profundis rock di Luca Doninelli, il conturbante Sterminio nel 2006, L’Avaro del 2010 dove è un Arpagone senza corpo, e poi il recente Pantani, fino al poetico rimettersi nuovamente in gioco nel lavoro a due con Chiara Guidi di Poco lontano da qui dello scorso anno o alle pagine di Testori che sentiremo stasera.
Un labirinto vertiginoso di tracce, animato da rigore, mistero, richiami arcaici, voglia di cambiamento, passione. La creazione artistica come un errare, questa è la lezione di Ermanna. Un “fare, disfare, rifare” che è il titolo della bella monografia che Laura Mariani le ha dedicato, ma anche, per le generazioni future di attrici, una bellissima lezione di teatro e di vita.

Anna Bandettini Presidente della Giuria
Maria Grazia Gregori
Renato Palazzi
Magda Poli
Carlo Maria Pensa            
            

 

 

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