Anno per anno, parole e scatti
del movimento
di Eleonora Cirant
Se siete a Milano nella settimana della festa della donna non potete
mancare la mostra documentaria “Noi utopia delle donne di ieri, memoria
delle donne di domani”. I 40 pannelli appesi sotto le arcate di un bel
chiostro dell’Umanitaria scandiscono anno per anno le tappe del movimento
delle donne a Milano dal 1965 ad oggi, narrate attraverso l’intreccio di
parole, fotografie, documenti.
Una mostra, ma non solo. E’ insieme il passaggio di un testimone e la vita
di un gruppo. Il percorso che conduce al risultato ne raccoglie il senso
più profondo: “l’evento siamo noi! ” dicono le donne che l’hanno
realizzato. Chiedo loro qual è la particolarità di questa esperienza.
Giuliana Baldi, che ha partecipato al progetto fin dalle prime fasi, è una
giovane donna: «Ricostruire la memoria, ma con i piedi ben piantati nel
presente. Sognare e realizzare. Curare un progetto ritagliando tempo ed
energie nel quotidiano, una fatica che restituisce qualcosa di grande:
l’esperienza della possibilità, di essere protagoniste delle nostre
giornate. La vittoria del ritagliarsi tempo nella precarietà».
E’ anche la sfida dell’incontro/confronto tra differenze, programma tanto
facilmente sbandierato quanto difficilmente realizzato tra i luoghi comuni
del politicamente corretto. Differenze di metodo di lavoro, di punti di
vista, di percorsi. Tenerle insieme e farle dialogare è pratica politica.
«Rimpossessarsi della memoria è utile per ritrovare una base, un
linguaggio e obiettivi comuni, per fare un passo avanti anziché uno
indietro, - commenta Eliana Scaravaggi - la tua storia interseca quella
dell’altra e così si cresce insieme». Fanno parte del gioco anche le
nottate passate a discutere sulle parole da usare, mentre incombe la
scadenza della consegna e l’art director suda freddo.
Giuliana sottolinea il potere dell’immagine: «35 anni non sono poi così
tanti, puoi sentirti parte, riesci a riconoscerti in questi tratti».
Guardiamo alcune foto di donne in una manifestazione degli anni Settanta.
Non sembrano più arrabbiate, più cariche rispetto a quelle d’oggi? «C’è
più forza - dice - non rabbia o confusione. Questo elemento è uno scarto,
rispetto ad oggi, che ci invita a fidarci di quella forza e a farla
nostra». Nel solco del confronto tra i volti e le espressioni di ieri e di
oggi raccolgo altre impressioni. Patrizia Bortolini: «Sì, c’era più senso
di rottura e anche di sorellanza. E’ più determinato, non più arrabbiato,
lo sguardo di questi volti». Federico Mininni, che ha curato la
realizzazione grafica, commenta: «oggi non c’è esplosione verso l’esterno,
è sufficiente partecipare. C’è meno carica emotiva e meno espressività,
anche negli slogan delle manifestazioni».
Scorrendo i pannelli della mostra non mancano gli spunti per riflettere su
cambiamenti e linee di continuità. 1967, cartello: “lutto per le donne che
muoiono di aborto clandestino uccise dallo Stato fascista e dalla Chiesa.
1977: “io sono mia”. 1982: “le donne ci sono”. 1987, il cardinale
Ratzinger pubblica il documento Istruzione sul rispetto della vita umana
nascente e la dignità della procreazione, che definisce d’ora in poi la
posizione della Chiesa sulla fecondazione assistita. 1995, con l’enciclica
Evangelium vitae l’aborto è paragonato al genocidio. 2002, cartello:
“l’unica legge è quella del desiderio”. 2006: “la vita comincia da lì,
quando una donna dice sì”. E il lavoro? 1967, cartello: “ci ammazziamo di
lavoro ma siamo tutte disoccupate”. 1971: “nuova legge di tutela per le
lavoratrici madri”. 1987, striscione: “ragazze quale futuro? quale lavoro?
”. 2006, volantino “non vogliamo che la precarietà sia il contraccettivo
del futuro”.
Ogni pannello comprende una sezione “scaffale” con testi e film. Negli
anni Settanta la sessualità è al centro della scena insieme al lavoro, al
collettivo. Si dice “noi”, “tutte”. Come i volti, anche le parole sono
forti, di rottura. “Ne puttane né madonne, finalmente siamo donne”. Negli
anni Ottanta e Novanta le riviste e i libri del femminismo anticipano le
questioni spinose che oggi ci esplodono tra le mani: la scienza, le
biotecnologie, le migrazioni.
Il patriarcato sarà anche morto, come proclama il Sottosopra del ’96, ma
il suo fantasma non è meno opprimente (forse più seduttivo?). Piuttosto,
l’arcipelago di soggettività e di problematiche si fa discontinuo,
frastagliato. Qual è la mappa delle isole nella rete, chi la scrive? Dice
Giuliana: «oggi c’è una presuntuosità dell’Io. L’egotismo rischia di
trasformare il desiderio in qualcosa di negativo, se siamo troppo su noi
stesse». L’identità pesa più come confine che separa piuttosto che come
veicolo di forza e determinazione. Le donne che hanno realizzato la mostra
ne riconoscono i punti critici. «Manca la voce delle migranti. Vogliamo
integrare la mostra anche con le loro storie - dice Eliana - sono molte le
problematiche da denunciare e ci vuole molta immaginazione per farlo».
Accanto ai pannelli che scandiscono la cronologia, infatti, è stato
realizzato un percorso a temi (corpo, tempi, spazi, lavoro) aperto a
futuri contributi. Anche i ritratti fotografici di Eros Mauroner - donne
fotografate all’uscita della Coop - e il video Anni al sole di Luca
Campagnoli offrono un esempio di contaminazione. La possibilità di
approfondire e integrare apre la mostra ad un percorso di elaborazione
costante.
«E’ un’opera d’arte. Ogni pezzo è un ricordo che fa tornare alla mente le
esperienze», dice Francesca Corso, una delle tre assessore provinciali
insieme a Irma Dioli e Daniela Benelli, che con la consigliera Arianna
Censi hanno sostenuto il progetto delle curatrici: Giuliana Baldi,
Patrizia Bortolini, Angela Catanzariti, Silvia Marastoni, Francesca
Marzotto, Marina Santini, Eliana Scaravaggi, Rossella Traversa.
Le quali, dopo l’anteprima
del 2005 al C. S. Leoncavallo nell’ambito dell’iniziativa “La città che
verrà”, hanno per mesi ragionato e immaginato come fare crescere e
camminare questa mostra. «Completa, perché tocca, a partire dal conflitto
tra i sessi, le grandi tappe legislative e gli accadimenti di cronaca,
l’elaborazione teorica e i mutamenti del costume, le lotte sul lavoro e
sulla salute delle donne. Al tempo stesso parziale, perché parte dalla
nostra memoria, dai nostri luoghi simbolici, vissuti, pensati o
desiderati, dalle nostre diverse pratiche politiche».
questo articolo è apparso su
Liberazione dell'8 marzo 2006
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