Munich

di Vittoria Longoni

 

Il film di Steven Spielberg, appena uscito in Italia dopo molte discussioni e polemiche in America, s'incentra sulla rappresaglia israeliana all'attentato di "Settembre Nero" alle Olimpiadi di Monaco del 1972 (gli atleti della squadra israeliana furono sequestrati dall'organizzazione terroristica palestinese; la situazione precipitò all'aereoporto di Monaco, morirono tutti insieme a cinque dei sequestratori). Il governo israeliano, dopo pesanti attacchi ai campi profughi palestinesi, affidò l'uccisione mirata di undici persone, considerate mandanti dell'attentato, a una squadra segreta di cinque persone, ufficialmente "sganciate" dal Mossad.

Nel film si alternano, in flash-back, le sequenze in bianco e nero dell'attentato di Monaco con la storia del gruppo dei cinque agenti israeliani. Essi hanno ricevuto la lista dei nomi delle persone da uccidere e restano in contatto solo con una cassetta bancaria, dalla quale attingono i fondi per comprare le informazioni, le armi, gli esplosivi. Seguiamo così, come in una "spy story" le esecuzioni di sette palestinesi e il progressivo maturare di una profonda crisi nel gruppo: due degli agenti israeliani muoiono, i superstiti hanno angosce e dubbi sempre più gravi sulla propria missione. In particolare seguiamo la vicenda del capo del gruppo, Avner (il ruolo è affidato all'interpretazione, molto espressiva e sensibile, di Eric Bana, che è stato "Ettore" in "Troy"). Egli si stacca dalla moglie, incinta di sette mesi, guida il gruppo cercando di tenerlo unito anche sul piano dell'affettività e dei valori, ma le uccisioni e le molte ambiguità dei servizi segreti fanno maturare in lui una crisi profonda che gli impedisce di continuare. Abbandonata la missione, tornato dalla moglie e dalla piccola figlia, rompe del tutto i rapporti con Israele e col Mossad.

Spielberg ha affidato al film, che considera "una preghiera per la pace", la sua meditazione critica sulla strategia della rappresaglia. Accanto ai dubbi sull'operazione israeliana ( Dove sono le prove sulla colpevolezza degli undici palestinesi? Ammesso pure che fossero i mandanti, perché ucciderli e non arrestarli e affidarli al giudizio di un tribunale internazionale ?), il film esprime la tragicità di una logica di guerra "segreta" in cui tutti finiscono per assomigliarsi: non solo nella scelta dei mezzi, ma anche perché tutti legati a una compravendita di informazioni in cui si delinea un "business" internazionale e non si sa più per chi si uccide (un messaggio affidato anche alle frequenti sequenze incentrate su immagini speculari, specchi retrovisori di automobili ecc.).

Il livello del film che risulta più profondo è quello che mette in gioco le emozioni basilari dei personaggi. Il protagonista, Avner, è figlio di un "eroe di guerra" israeliano a cui non assomiglia- un padre che non vediamo mai, molto distante e ricoverato in una clinica - e di una madre ebrea, una donna forte ma priva di un vero calore: ha affidato ben presto il figlio a un "kibbutz" e lo vede solo in funzione della sua missione, come un "dono del Signore" destinato a realizzare la protezione della terra promessa. Avner ama cucinare ed è attratto in modo quasi ipnotico dal sogno di una "grande cucina" che rappresenti il valore centrale della sua umanità ebraica: la realizzazione e la condivisione del cibo e dell'amore in una grande famiglia/collettività.

Le sequenze finali del film sono molto significative nella loro amarezza. Avner, che ha ucciso una donna per vendetta, al suo ritorno guarda la piccola figlia con amore ma anche con sgomento: che padre ha questa bambina? Non soffrirà anche lei, o per rappresaglie dell'uno o dell'altro servizio segreto, o per l'oscura percezione di ciò che suo padre ha fatto? Ritrova una moglie che lo ama, alla quale è sempre stato fedele: ma mentre faticosamente cerca di fare l'amore con lei deve superare tutte le sue angosce interiori ( le immagini del rapporto sessuale tra i due si alternano a quelle delle uccisioni degli ostaggi). Il capo del Mossad, che ha cercato invano di convincere Avner a tornare in Israele, rifiuta il suo invito a cena, l'ultimo appello a una "condivisione del pane": i due si separano in direzioni opposte, mentre sullo sfondo compare lo sky-line di New York alla fine degli anni '70, col palazzo dell'ONU e le Torri Gemelle ancora intatte, simboli di una tragedia umana e storica destinata a continuare.