Mutande parlanti contro le morali univoche

 Collettivo A/matrix


Milano, 14 gennaio 2006

Il 14 gennaio è una data da segnare nel nostro diario: dopo la sconfitta referendaria di giugno le donne hanno finalmente sentito un desiderio irrefrenabile di scendere in piazza.

I temi toccati dall’agenda istituzionale e la scottante attualità delle pratiche tecnopolitiche che si esercitano quotidianamente sui corpi delle donne hanno spinto donne e uomini consapevoli a riconquistare una visibilità pubblica che negli ultimi anni era stata intermittente.

Ora c’è da pensare al futuro, al dopodomani che comincia adesso e ci appartiene: vogliamo segnare sul nostro diario anche l’11 febbraio della “Breccia” di Roma e dell’”interruzione volontaria del Silenzio” di Napoli, per rilanciare e alzare la posta in gioco. Non è cosa da poco, visto il soffocante clima politico che ci tocca respirare.

Ci aspettiamo da chi vorrebbe rappresentarci che dichiari di abbandonare ogni pretesa prescrittiva sui corpi delle donne e si assuma la responsabilità e si prenda l’impegno di non indurre e non cadere nella tentazione di leggi etiche. In ogni caso, quale che sia il futuro governo, non (ri)entreremo nel silenzio di nessuna casa, nemmeno di quelle che sembrano più accoglienti e rassicuranti.

La maggior parte delle donne e degli uomini politici ammicca e compiace le gerarchie ecclesiastiche e non pare così turbata dalla continua prassi di scambi politici sui corpi delle donne. L’autodeterminazione, intesa come spazio di auto-nomia dei corpi e delle diverse sessualità, e il riconoscimento della libertà, per tutti gli infiniti generi, di disertare l’istituzione matrimoniale sperimentando modelli alternativi di relazione, sono due questioni sulle quali per definizione non si può affatto delegare.

E’ questa la ragione sociale del movimento delle donne e del movimento glbt(q) (z). Dire basta, una volta per tutte, all’imposizione di morali univoche nelle scelte individuali, ai tentativi di sottrarre alle donne (e agli uomini) il potere sul proprio corpo, di disciplinarle attraverso una norma sessuale, riproduttiva e produttiva.

La società dello spettacolo e della precarietà cerca di addomesticare le donne che non intendono ricoprire i ruoli scelti da altri, stringendole nell’abbraccio mortale tra l’immagine della donna-perfetta madre-moglie-manager e la coreografica donna-velina, che se parlasse diventerebbe pericolosa anche lei. Ma dal silenzio si esce davvero provando ad allargare l’orizzonte della comunicazione ed è possibile farlo giocando con le parole, inventando un nuovo vocabolario, senza abusare di termini o slogan che hanno avuto fortuna in passato ma che ora hanno bisogno di essere rimodulati.

Siamo alla ricerca di una politica radicale della parodia capace di mettere in scacco l’opposizione violenza/nonviolenza. A chi vuole impropriamente strumentalizzare il corpo delle donne, i suoi molteplici significati e piani di espressione, banalizzando le scelte che stanno dietro all’aborto o alla fecondazione assistita, rappresentandoli come melodrammi in cui il protagonista di tutte le inquadrature è un feto che galleggia nel vuoto, noi vogliamo rispondere con l’uso in proprio del desiderio, dell’immaginario e della materialità del corpo.

Da qui nasce l’idea della campagna uso improprio, improprio rispetto a tutte le norme e al tentativo di rappresentare una molteplicità irrapresentabile.

Il 14 gennaio abbiamo scelto un triangolo di stoffa per sottolineare l’ambigua centralità di un oscuro oggetto del desiderio sul quale confliggono l’ansia della norma e la volontà di libera auto-gestione.

Mutande parlanti, mutande che parlano per noi: se i nostri corpi vengono isolati dalle nostre soggettività e fatti a pezzi facciamo un uso improprio di questa frammentazione per agire la nostra interezza. Se proprio dovete rappresentare la parte per il tutto - il feto per la madre, i genitali per il sesso, il sesso per l’amore - almeno lasciateci libere di nominarla e viverla ognuna in proprio.

Un desiderio che crediamo sia condiviso anche da chi non partecipa alla piazza per noia, distrazione, incoscienza o disperazione. Per questo invitiamo tutte e tutti ad indossare mutande parlanti come segno di riconoscimento, per farne un lascia passare che si intrufola ovunque, provando a superare la pesantezza e i limiti dei linguaggi e delle pratiche politiche tradizionali. Per questo continueremo ad indossarle e a disseminarle l’11 febbraio a Roma e a Napoli.

Collettivo A/matrix

amatrix@inventati.org

 

questo articolo è apparso su il manifesto e su Liberazione del 11 febbraio 2006