Luce Nera
La tradizione spirituale della Notte

 di Roberto Negrini

pubblicato nella raccolta di saggi del Progetto Elissa Tradizioni e culti pagani di primavera, Editrice Miriamica, 1996

 

Parte prima

Prologo all’Inferno

 

Gli antichi popoli oschi dell’Italia meridionale veneravano la personificazione dei miasmi velenosi che si levano dalle crepe della terra sotto la forma della dea Mefite. è questa una delle più probabili etimologie di Mephistofeles (“colui che ama i vapori della terra”)[i], figura folclorica del Satana cristiano raccolta da fonti letterarie tedesche del XVI e XVII secolo e correlata alle leggende sorte intorno alla vita del magista quattro-cinquecentesco Giovanni Faust di Knittlingen, che appunto con tale demone avrebbe celebrato patti e sortilegi. Un mito questo che coinvolse profondamente e fin da giovanissimo il più grande tra i poeti tedeschi: Wolfgang Goethe, che seppe trasformarlo in un tema filosofico e letterario di interesse universale.

Pur tra i molteplici e spesso contraddittori aspetti della sua poliedrica personalità il titanismo romantico restò una dominante di Goethe e del suo itinerario spirituale ed è emblematica, anche se poco ricordata, l’affiliazione iniziatica del poeta alla confraternita degli Illuminati di Baviera di Adam Weishaupt, il più rivoluzionario tra gli ordini paramassonici del suo tempo e il cui motto, nei gradi più alti, recitava la formula: Deus est Homo (Dio è l’Uomo). Goethe fece del semileggendario “stregone” Giovanni Faust il proprio alter ego, o sembiante virtuale, nel lungo viaggio tra luce e tenebre. La sua elaborazione letteraria del Faust si concluse nel 1832, anno in cui morì, con la pubblicazione della seconda e ultima parte dell’opera.

Quando nel poema di Goethe, Faust concepisce l’idea di evocare magicamente Elena di Troia, destinata a essere per lui amante, paredra e suprema incarnazione dell’Eterno Femminino, il mago chiede l’assistenza di Mephistofeles quale sua guida e psicopompo nel viaggio attraverso i reami della conoscenza e del piacere.

Ma l’ombra di Elena vive negli inferi pagani, ossia fuori dal perimetro giudeo-cristiano del potere di Mephistofeles. In quelle sfere il Demone non ha potestà, ma indica a Faust un itinerario misterioso che solo può condurre alla conoscenza e al potere sulle antiche ombre:

 

 

Mephistofeles

A malincuore svelo un grande enigma.

Auguste Dee troneggiano

in una sconfinata solitudine.

Nessun paese intorno.

E Tempo ancora meno.

A parlare di lor ci si sconcerta.

Sono le Madri!

Faust
(con un sussulto di spavento)

Madri?

Mephistofeles

Rabbrividisci?

Faust

Madri! Madri!

Misterioso suono!

Mephistofeles

E misteriose sono!

A voi mortali sconosciute Iddie,

a noi demoni nominarle spiace.

Per rintracciarne la dimora occulta

ti occorrerà frugare

nel più profondo baratro...

 

E quando Faust, sempre più sbigottito, chiede “una via” per raggiungere le Madri Mephistofeles risponde:

 

Nessuna.

Verso l’Inesplorato inesplorabile.

Verso l’Inottenuto inottenibile.

Sei pronto? Serrature e catenacci

da forzare non v’ha. Ti troverai

fra immense solitudini travolto.

Hai tu concetto chiaro di ciò che Vuoto sia,

di ciò che solitudine può dirsi?[ii]

 

Infine Mephistofeles consegna al magista una magica “chiave”, un sigillo occulto con cui da solo affronterà il viaggio indicibile oltre i piloni del Vuoto e otterrà dalle arcane e terribili Madri il segreto dell’evocazione di Elena.

Ma chi o che cosa sono “le Madri”, la cui sola menzione turba gli stessi demoni e sbigottisce Faust? E perché l’accesso ai loro Misteri passa attraverso l’inesplorato, il “mai ottenuto”, l’Abisso, il Vuoto?

 

 

 

1. Dal Kaos brulicante al Tempo Mitico

 

Al di là della sua indiscutibile ricchezza estetica e letteraria il viaggio di Faust proposto da Goethe adombra un elaborato itinerario di esplorazione metafisica, metaforica e probabilmente iniziatica di alcuni archetipi e miti del sacro comuni alla cultura europea.

Le figure del mito circoscrivono e descrivono fasi, epoche e livelli della coscienza collettiva di popoli e razze e rappresentano in qualche modo il codice genetico spirituale della storia e della cultura umane[iii]. Le sconvolgenti concordanze tematiche che raccordano concatenazioni di idee e percezioni mitiche pur lontanissime tra loro in termini spaziali e temporali, di sviluppo etnico e di origine storica, dimostrano l’esistenza di una comune, misteriosa matrice, poligenetica o monogenetica che sia.

Penetrare questi codici metaculturali, o almeno arrischiare di farlo, significa iniziare a comprendere il funzionamento dell’inconscio, o anima collettiva umana, esplorare le viscere dei suoi dei e dei suoi demoni e tentare magari prometeicamente di governarli anziché esserne succubi contenitori. E forse è possibile muovere passi decisivi verso la realizzazione di tale ambizioso progetto di saggezza utilizzando certamente i moderni metodi di indagine etno-antropologica e psico-sociologica, filtrati però attraverso un approccio interpretativo olistico, e in qualche modo iniziatico, che fornisca opportune griglie volumetriche di comprensione e molteplici livelli di applicazione. Sarà questo dunque il metodo che ci accompagnerà nel nostro viaggio di esplorazione dei Misteri dell’Ombra.

Il più evidente tra i comuni denominatori che rappresentano le impalcature della percezione umana del sacro, del tempo e dello spazio è sicuramente il codice dei miti cosmogonici.

Secondo un’evidente comparazione tra le più antiche mitologie conosciute, sia occidentali che orientali, nordiche e meridionali, il Kosmos ha avuto origine dal Kaos, la Luce dalle Tenebre, l’Essere dal Non-Essere, il Pieno dal Vuoto. Il mondo delle forme ordinate e funzionalmente gerarchizzate ha preso struttura e sostanza dalla melma protoplasmica o vortice equoreo primordiale, spesso simbolicamente rappresentato attraverso immagini astratte o impersonalmente elementari. Come la Palude Uhlanga degli Zulu, o il vuoto originario Ginnungagap della mitologia scandinava, o l’Atum e l’Oceano Primordiale di Nun nelle teologie egizie di Eliopolis ed Hermopolis.

O ancora nella costruzione teogonica della Grecia classica il Tartaro e Gaia con le loro ipostasi: Erebo e Nyx, la Notte. “Nel Caos Erebo e la negra Notte nacquero; e dalla Notte si generarono l’Etere e il Giorno che essa partorì”[iv], racconta Esiodo nella Teogonia. E un frammento orfico recita: “celebrerò la Notte madre degli dei e degli uomini, la Notte origine di tutte le cose ... Ascolta, o dea beata, che nell’ombra risplendi con scintillio di stelle”[v].

All’atto della sua manifestazione, o prima forma di organizzazione dinamica, il Kaos dei primordi, presente nelle più diverse cosmogonie,  può essere inteso sia in una prospettiva macrocosmica che microcosmica.

Sul piano macrocosmico adombra uno stadio dell’esistenza pre-formale, pre-concettuale e pre-biologica, in cui un’assoluta elementarità multipolare precede qualsiasi progettualità di tempo, spazio, esseri e cose. La multipolarità del Kaos esaspera e annulla in se stessa ogni conflitto tra princìpi opposti, nello sconvolgimento pulsatile tra il Vuoto e l’Orgasmo perenne. La sua rappresentazione mitica più frequente è la grande Serpe Draco bisessuale Ouroboros, che inarcata su se stessa divora eternamente la sua coda annullandosi e rigenerandosi tra le proprie spire. Un simbolo universale che la tradizione taoista cinese volle, ad esempio, rappresentare nel doppio vortice tenebroso e luminoso del Tao: il mistero dello Zero che diviene Due.

Sul piano microcosmico dell’esperienza umana la dimensione ouroborica si riflette invece nei miti ovunque diffusi, e in qualche modo concordanti, di un’Età primordiale di pienezza, piacere e fusione tra aspetti femminili e maschili, attivi e passivi, espansivi e contrattivi della realtà. Un modello che secondo alcune tradizioni sapienziali rappresenta uno stato di coscienza/autocoscienza assoluta, che in epoche poste oltre i confini della storia documentata poté forse anche tradursi in forme concrete di civiltà.

 

Se mai vi furono culture storiche viventi in questa dimensione stellare, queste non poterono che essere fondate sulla prassi della Gilanìa, cioè sul rapporto di paritaria autonomia spirituale, erotica e sociale tra femmina e maschio, tra maschio e maschio, tra femmina e femmina, allacciati in una Gestalt e liberi nell’estasi dei Gemelli Divini. è il Satyâ Yuga (o Krtâ Yuga) vedico, l’Età dell’Oro ellenica governata dal Dragone Kronos, l’Era di Saturno delle popolazioni italiche, il Tempo dei Sogni delle tribù aborigene australiane.

Secondo un simile modello, lo status ouroborico della coscienza primordiale,  potè presumibilmente contenere al suo interno e quindi sperimentare  tutti i possibili Archetipi e tutte le possibili opzioni dell’Essere: androginiche, ginandriche, maschili e femminili.

LArchetipo Stellare quindi: la Serpe Draco nella sua totalità ciclica, multiforme, multipolare, infinito oceano di potenzialità. E nel contempo l’Archetipo Tellurico-Lunare: la Serpe Draco come Cerchio o Spirale, Uovo, Utero, Vulva, Notte, Femminilità materna e divoratrice, Dea Madre Primordiale. E ancora l’Archetipo Solare: la Serpe Draco come centro immobile, asse, fallo in estensione, lampeggiamento, luce e tenebra alternati, l’Antico dei Giorni, Figlio-Sposo della Madre primigenia.

 

Sullo sfondo di questo mitico tempo — o stato di coscienza — stellare, la cui eventuale collocazione storica o metastorica, antichissima e indeterminabile, resta uno dei grandi enigmi dell’antropologia, il successivo prevalere nella storia del modello archetipico materno (matristico) e poi di quello paterno, (patristico) spesso conflittuali tra loro, ha profondamente influenzato se non determinato i diversi tipi di civiltà e cultura. Diversi paesaggi del sacro, diverse compitazioni del tempo e concezioni dello spazio, della natura, dell’arte, della scienza e della filosofia. Differenti rapporti individuali e collettivi tra inconscio e psiche, pensiero e soma, “spirito” e “materia”.

 

 

2. La Dea Draco delle Stelle

 

Se dagli scenari del mito ci spostiamo dentro i perimetri della storia documentata, transitando dal Kaos verso il Kosmos, la prima formula spirituale e sociale del sacro documentabile e in qualche modo affine al modello ideale ouroborico è comunque rintracciabile nel prevalere paradigmatico della Femminilità Metafisica, della Notte e della Grande Madre.

Le più antiche forme di civiltà conosciute, molte delle quali precedenti all’elaborazione della scrittura e quindi valutabili quasi esclusivamente attraverso l’analisi simbolica dei reperti archeologici, testimoniano l’affermarsi universale di culture matristiche e sciamaniche in cui prevalgono elementi di vitalità, crescita, nutrizione.

La dimensione stellare originaria viene vissuta come sostanzialmente materna, notturna, ipersensuale, lunare o tellurica, mentre il principio maschile attivo e fecondatore, il Sole portatore dei valori metafisici di ascensione e discesa, erezione e detumescenza, il Centro del Grande Cerchio, viene a rappresentare il Figlio-Sposo, il Dio Nero e Oro dalle corna lunari, contenuto nella Madre e a Lei associato in simbiotica e costante rigenerazione.

è il reame della Grande Madre, in cui l’Ouroboros stellare diviene la Dea Draco, amorevole e terribile, partoriente e divoratrice, affascinante e mostruosa. Sue ipostasi evidenti furono la Draconessa babilonese Mummu Tiamat generatrice di dei ed erede della sumerica Nammu, l’azteca Coatlicue Signora dei Serpenti, la Serpe primordiale Malai dei melanesiani. E infine l’egizia Sevekh, la dea-coccodrillo connessa alle 7 stelle dell’Orsa Maggiore che verranno poi collegate al culto della dea-vacca Hathor, nutrice celeste e dispensatrice del piacere sensuale.

Questo riferimento astronomico è di estrema importanza. Infatti secondo calcoli basati sulla precessione equinoziale, in un ciclo di tempo che giunse fin verso il II millennio a.C., il vertice del cielo stellato nell’emisfero boreale era costituito dalla stella Alpha Draconis, denominata dagli astrologi arabi Thuban, il “Draco”, perché collocata all’epoca — in funzione di stella polare — nel ventre della costellazione del Dragone.

Nell’epoche che precedettero l’imporsi del mito solare la contemplazione sacrale e intuitiva delle stelle fisse poté dunque associare il “centro” sessuale, o Stella-Vulva della Draco, al moto circumpolare delle 7 stelle della contigua Orsa Maggiore (considerate come le sue 7 teste), utilizzando così il corpo visibile della Dea primeva come orologio regolatore dei cicli del tempo e dei ritmi cosmici, naturali e umani.

Pur rappresentando una formula di restringimento e contrazione rispetto all’Archetipo ouroborico il paradigma matristico ne riflette alcuni fondamentali contenuti, adombrandoli da un lato nell’ambivalenza simbolica dell’oscurità suggente del Cielo Stellato, dall’altro nella fertilità orgiastica e trasmutatrice della Luna, della Terra e dei loro Misteri. La Notte partorisce il Sole e successivamente lo divora, come splendidamente raffigurato nelle volte del tempio di Hathor a Denderah (Egitto), la “città della Dea”. Allo stesso modo la Dea Ragno, altra ipostasi della Madre Primordiale presente in molte culture arcaiche, soprattutto africane, emette con la sua bava la Sostanza di tutte le cose, ne tesse le trame geometrizzando il Kaos nella sua Tela e infine le divora riassorbendole nel suo immenso, terribile ventre.

Le tracce culturali e cultuali più evidenti del regno della Grande Madre sono riscontrabili, entro cicli temporali diversi, in un’area multietnica che coinvolge la civiltà minoica, l’Egitto in diverse sue fasi storiche, la Mesopotamia, l’Europa megalitica pre-celtica, l’Etruria, l’India pre-ariana, la Polinesia, tutta l’Africa e le primitive civiltà americane. Ricerche archeologiche e antropologiche, sviluppate soprattutto nella seconda metà del nostro secolo, hanno poi dilatato gli orizzonti spaziali e soprattutto temporali della Grande Dea fino agli estremi avamposti del Neolitico e dello stesso Paleolitico Superiore.

L’onnipresenza statuaria di figure sacre femminili della Madre preistorica, spesso simbolicamente mostruose, ipersessuate, steatopigie e quasi aliene nella loro elementarità, trova il suo compimento nelle “veneri” di Willendorf e Lespugne, rinvenute in Austria e in Francia e risalenti a un periodo compreso tra il 23000 e il 20000 a.C.[vi] Alla luce di questi ritrovamenti i termini spazio-temporali di predominanza storica del matrismo divengono difficilmente circoscrivibili, soprattutto se ricordiamo le rituarie sciamaniche e licantropiche dedicate alla “Signora degli animali” che appaiono nei graffiti delle grotte paleolitiche, evidentemente utilizzate come templi-utero e non solo come abitazioni o rifugi[vii].

 

 

3. Il tramonto della Notte

 

è difficile e probabilmente specioso collocare con precisione nel tempo e nello spazio le grandi mutazioni archetipiche che determinano l’alternarsi della percezione del sacro e del mondo. Esistono sincronicità, sovrapposizioni, trasformazioni graduali che preludono a profondi sconvolgimenti della coscienza e della storia. Concorsi di forze in cui si combinano mutamenti climatici, geologici e politici con sottili influenze e connessioni siderali, telluriche e metapsicologiche. Non possiamo perciò determinare con certezza quando e come ebbero origine il ritrarsi della Dea e della Notte dall’orizzonte spirituale dell’umanità e l’imporsi violento e invasivo del principio solare paterno come unico agente creatore e ordinatore. Ma possono essere individuati cicli dentro cicli, epoche che contengono altre epoche, itinerari antropologici paralleli e sovrapposti, sullo sfondo dei quali si agita sempre e comunque il ricordo inquietante e universalmente diffuso del Diluvio, o di una serie di Diluvi.

Pur riflettendo forse un cataclisma di natura geologica che mutò sensibilmente il volto del pianeta, la mitica catastrofe delle acque del Grande Mare, che si riavvolgono su se stesse e tutto sommergono, descrive anche una metafora della Madre Ouroborica delle Acque, la Signora Draco, che dall’interno della coscienza umana si contrae collassando verso il proprio centro maschile e assumendo la configurazione di una nera voragine di orrore e morte.

 

La leggenda della distruzione di Atlantide, raccontata nel IV secolo a.C. da Platone nel Timeo e nel Crizia[viii], così come le narrazioni epiche iraniche, messicane, maya, caldee, greche, indù, celtiche e scandinave e naturalmente la Genesi biblica, ricalcata su miti sumerici e babilonesi, ci descrivono il Diluvio come una “punizione” divina contro il peccato. Questo “peccato” è la Madre, diabolizzata ed esorcizzata con l’avvento delle epoche patriarcali. La dimensione materna, uterina e tenebrosa viene infatti proiettata sullo sfondo e gli orizzonti della coscienza collettiva umana si contraggono verso il Centro dell’Ouroboros primevo. Quel Centro Maschile che dilatandosi squarcia la circonferenza e si erge come Fallo esteso, unico e solo Signore di una Creazione rigenerata. è la rappresentazione metacosmica e metastorica di uno stupro.

In questo nuovo scenario del mito il Figlio-Sposo detronizza la Madre, la sottomette e la trasforma nella propria Figlia, o Sposa o Paredra strumentale. L’Eroe luminoso uccide la Draco e con le frattaglie del suo corpo lacerato ricrea l’ordine del mondo secondo un paradigma dualistico, in cui la luce ciclicamente ma perennemente trionfa sulle tenebre che, sconfitte, divengono reame dei morti, dell’oblio e degli Inferi.

Sulla base di cronache egizie, cui avrebbe avuto accesso, Platone colloca il suo Diluvio, provocato dallo sprofondamento della “corrotta” Atlantide, circa 9000 anni prima della sua epoca, quindi dagli 11000 ai 12000 anni fa, verso la fine del Magdaleniano europeo. Il paesaggio simbolico della mitica Atlantide appare dominato nel suo racconto dai totem del Tridente e del Delfino. Il Tridente deriva la sua geometria simbolica dalle aguzze e stritolanti dentature dei giganteschi Draghi delle Acque e spesso lo si trova associato in tempi storici a tenebrosi Numi-Figli della Dea rimasti legati al suo simbolismo radicale, come Poseidone e Shiva. Anche il Delfino,[ix] la misteriosa nave-guida dei morti nella Creta matristica pre-ellenica, , risulta connesso a culti e a siti della Dea e il suo nome greco Delphis ha la stessa radice di Delphus, “utero”.

Alla luce di questi riferimenti, se realmente l’equorea Atlantide (continente scomparso, o scomparsa epoca psichica che sia) fu la Terra delle Madri, un Diluvio atlantideo collocato tra la fine del Paleolitico superiore e l’alba del Neolitico può forse essere inteso come evento antropologico, oltre che eventualmente geologico: la prima grande crisi o transizione planetaria del reame della Grande Madre.

Ritrovamenti e rilievi archeologici raccontano che comunque per migliaia di anni i paradigmi della Dea restarono dominanti, pur fra alternanze, intermittenze, variazioni e ibridazioni anche connesse ai conflitti tra civiltà agricole e pastorali. Parallelamente si assisté però, come accennato, alla lenta, graduale crescita di importanza del Nume, o Eroe culturale maschio, che da Figlio-Sposo delle Acque diverrà successivamente e sempre più spesso il “salvato dalle acque”, come indicano per esempio i miti dell’accadico Sargon e dell’egizio-semita Mosè, fondatori di grandi dinastie patriarcali.

 

 

4. Luce, Padri e conflitti

 

I ceppi linguistici, etnici e culturali che prima di altri incarnarono questa mutazione degli orizzonti del sacro furono probabilmente quelli indoeuropei nelle loro successive ondate di migrazione e invasione verso l’Europa e verso l’Asia, dal VI al II millennio a.C. Nello scontro-ibridazione con le civiltà matristiche autoctone i popoli indoeuropei, nonostante le proprie radici polari e sciamaniche in cui erano presenti connotazioni stellari e lunari-telluriche di grande ricchezza, alimentarono di fatto e portarono a definitivo compimento la sovrapposizione patriarcale e la conflittuale separazione tra Dei di Luce e Oceano Tenebroso, tra Fuoco e Acqua.

Così a partire dagli inizi del II millennio a.C., in concomitanza con le ultime invasioni indoeuropee, la trasmutazione patriarcale si definisce e polarizza, forse anche in sincrona, occulta risonanza con l’uscita della Stella Draco Thuban dal vortice boreale dell’asse polare. Nel XVIII secolo a.C. il monarca-legislatore Hammurabi impone sulla Mesopotamia il culto di Bel-Marduk, Signore della luce e della giustizia.

Nelle tavolette cuneiformi del poema epico babilonese Enuma Elish, al quale tanto debbono le parti più antiche del Pentateuco e le cui prime versioni sembrano risalire solo a poche centinaia di anni prima dello stesso Hammurabi, si racconta di come Marduk sconfigge e uccide la Dea Madre primordiale Tiamat, il Dragone del Kaos, la divide in due e con le parti del suo corpo immane crea il Cielo e la Terra di un nuovo mondo a lui sottomesso[x].

Nel 1550 a.C. nell’isola di Thera, vicino a Santorino, nell’Egeo, una tremenda catastrofe vulcanica con conseguenti maremoti distrugge gran parte della matristica cultura cretese. è l’ultimo Diluvio, questa volta certificato dalle cronache storiche. La Dea Ragno Aracne-Arianna, antichissima “Signora del labirinto” cretese[xi], resterà unicamente nella memoria dei greci di cultura indoeuropea, che ne faranno la paredra del loro eroe culturale Teseo e successivamente di Dioniso, o l’avversaria umana sconfitta di un’Athena ellenizzata che ne eredita parzialmente i simboli[xii]. L’etnologo Johann Jakob Bachofen, che nel secolo scorso fu tra i primi studiosi europei a compiere, pur con un’ottica patriarcale, ricerche illuminanti sulle culture matristiche, rileva come dalle “rovine” di queste sorga appunto l’epoca “apollinea”: “albeggia una nuova civiltà, recisamente opposta alla precedente. Al carattere divino della madre subentra quello attribuito al padre, alla sovranità della Notte quella del Giorno, alla preminenza del lato sinistro quella del lato destro”[xiii].

Con il trionfo definitivo e sincronico del patriarcato la dimensione unitaria ouroborica tra spirito, pensiero, psiche, ossa e sangue, che nel matrismo era stata conservata, viene frantumata in una costellazione di valori contrastanti. La ricerca del divino, del giusto e del buono si caratterizza nella necessità drammatica di affrontare e sconfiggere le insidie degli Inferi, in cui gran parte di una perduta saggezza, ormai incomprensibile e paurosa, è stata confinata. Tutti gli archetipi totemici del matrismo, quando non assimilati o addomesticati da uno scettro maschile, divengono simboli di pericolo, orrore, distruzione e morte. L’Abisso della Madre, scacciato oltre i limiti della coscienza, resta comunque incombente e minaccioso e premendo dall’esterno del recinto patriarcale tenta costantemente di irrompere per inghiottire gli uomini, gli eroi e gli stessi dei. Scrive ancora Esiodo nella Teogonia:

“al di là di tutte le cose sono le fonti e i termini della Terra oscura e del Tartaro nebuloso e del mare infinito e del cielo stellato; fonti e termini terribili, tenebrosi, che gli Dei odiano: cioè il grande Abisso; né tutte quante le cose arriverebbero mai a toccare il fondo nel giro di tutto un periodo astronomico, se mai al principio fossero venute dentro le sue porte; ma di qua e di là le porterebbero tempeste tremende contro tempeste; prodigio, questo, spaventoso anche per gli Dei immortali; ma le terribili dimore della Notte tenebrosa stanno coperte di nubi profonde”[xiv].

 

5. La nemesi degli Inferi

 

Nel mondo classico e mediterraneo, slavo, celtico, germanico, così come persiano e indiano e in altri luoghi e tempi degli estremi oriente e occidente, la Madre e i suoi simboli restano tuttavia parzialmente incarnati nelle Divinità femminili, benché collocati sullo sfondo dell’impalcatura del sacro e distribuiti e geometrizzati secondo un ordine regolato dalle nuove strutture psico-intellettuali analitiche. Molte icone divine femminili nella loro ormai esclusiva associazione con la Luna e la Terra come paredre del Sole vengono tripartite e le loro funzioni suddivise in celesti, telluriche e infere, con una serie di associazioni che spesso archetipizzano anche le diverse fasi di maturità sessuale della donna: Vergine, Madre e Vegliarda. In Grecia la triplice Luna: Selene nei cieli, Diana sulla terra, Hecate negli inferi, ove si riflettono anche le diverse fasi lunari. Tra i celti la triplice Morrigane, Signora delle rune e delle stragi, nelle forme di Macha, Badb e Nemain. E tra gli stessi romani le tre Matrone, presenti in centinaia di sculture come protettrici della fecondità umana e della fertilità della terra.

Le Signore celesti divengono così il supporto di potere e continuità dei loro consorti o amanti divini, mentre le dee telluriche, associate alla vita della natura, sono delimitate a funzioni rigenerative e di fecondità.

Portali e vortici di contatto intermittente con l’universo pre-dualistico, pre-solare magico e sciamanico della Madre primordiale restano soltanto le dee-demonie del “livello inferiore”, le regine notturne degli Inferi, come Hecate, la scandinava Hel, la babilonese Ereshkigal. E l’ossessione dei profeti biblici: Lilith, la “prima moglie” di Adamo, che rifiutando i suoi amplessi prevaricatori preferì fuggire dall’Eden patriarcale e rifugiarsi nel deserto, per copulare beatamente con il matristico demone Samael, uno dei tanti antenati del Diavolo.

 6. Le Madri dell’Abisso

 

Negli Inferi del nuovo ordine sacrale vivono infine le più dirette ipostasi della Madre arcaica, le misteriose Signore del Fato, del sangue e del sesso. Non dee, non demonie, sempre tripartite e ossessionanti nel loro assoluto, primordiale potere di Tessitrici del destino umano e divino. Una triplice eco della Madre-Mostro refrattaria a ogni controllo patriarcale.

Molti i loro nomi, molteplici le mitologie, culture e religioni in cui appaiono. Sempre in numero di tre, o moltiplicate a partire da questo numero, governano il Fato, la giustizia, la vendetta, la memoria, il dolore e il piacere, l’intero sfondo oscuro e inquietante del mondo dei padri. Sono le Norne germaniche, le Dakini tibetane, le Rozanice slave, le Laimae baltiche. E nel ricchissimo universo mitico classico le Moire, le Parche filatrici del destino, le Erinni dai capelli di serpente che tutelano il diritto materno del sangue, le Arpie signore della morte, e ancora le Gorgoni e le Graie, ma anche le Grazie, signore dell’erotismo più antiche di Afrodite. Tante forme per la triade fatidica delle Tre Madri, che nell’universo patriarcale detengono le chiavi della saggezza e del potere ouroborico.

Quelle Madri che Faust dovrà incontrare per conoscere i Misteri di Elena, l’Eterno Femminino. Quelle fatidiche ombre che nel 1845, in preda al potere dell’oppio, il poeta romantico inglese Thomas de Quincey vide e descrisse nel suo celebre Suspiria de profundis come “Nostre Signore del Dolore”: Mater Lachrymarum / Mater Suspiriorum / Mater Tenebrarum[xv]. Nostre Signore del Dolore. Forse dolore e nemesi di una Saggezza perduta.

 

 

 

Parte Seconda

 1. La guerra contro il Dragone

 

Nella sua Storia delle origini della coscienza, pubblicata a Zurigo nel 1949, lo psicologo e mitologo tedesco Erich Neumann, amico e discepolo di C.G. Jung, sostiene che

“la coscienza riesce ad affrancarsi dall’inconscio solo dopo che è riuscita a vincere il drago dei genitori primordiali, cioè innanzitutto la Grande Madre. Per questo essa deve accentuare la sua capacità di dire di no, di distinguere, di separare e di escludere, in contrapposizione alla tendenza dell’inconscio a dire di sì, a tutto unire, abbracciare e fondere. Ora si capisce anche meglio perché una tendenza compaia sotto il simbolo del maschile e l’altra sotto quella del femminile”[xvi].

L’approccio antropologico, meta-psicologico e magico-esoterico che caratterizza questa nostra analisi dei Misteri dell’Ombra non può prescindere da alcune considerazioni sul duplice aspetto — disgregante da un lato, ma anche costruttivo dall’altro — del mito solare androcratico e della sua affermazione sulle precedenti formule matristiche, dal punto di vista sia dell’evoluzione psichica che della morfologia della storia. La dialettica antropologica tra “matriarcato” e “patriarcato”, che dalla seconda metà del secolo scorso divide fin troppo nettamente differenti correnti di pensiero e di interpretazione della storia, della religione e perfino della politica, rischia di trasformarsi in uno sterile esercizio intellettuale se non viene inserita in una visione ciclica e olistica del cosmo, della psiche e dei loro possibili rapporti, conflitti, armonie.

La condensazione della coscienza collettiva umana dal Grande Cerchio, o Spirale Ouroborica, verso il Punto o Seme o Germe fecondante, con il conseguente ergersi fallico degli Eroi divini e luminosi contro le Madri tenebrose e sensuali, ha avuto sicuramente le connotazioni di una catastrofe psichica e di un’involuzione storica. Fu l’allontanamento dalle fonti primarie della vita e l’enfasi tragica sul terrore della morte. Fu la contaminazione dell’innocenza divina e demoniaca e il brusco destarsi dall’estasi del sogno veggente.

E fu l’emergere della percezione analitica dall’onnicomprensività dell’inconscio, con la conseguente, graduale perdita di unità tra le diverse componenti della coscienza e dell’istinto. Lo scontro dialettico tra carne, emozione, pensiero e saggezza. La metamorfosi del senso magico del mondo nella frammentazione particellare dei suoi elementi, non più allacciati nel coito dell’unione ma divisi nell’attrito della contrapposizione. Ascesi e sensualità, dolore e piacere, guerra e pace, legge e trasgressione, ordine e caos, amore e morte. La genesi dell’etica come progetto e del “male” come ossessione.

Eppure nella sfaccettata economia dialettica della storia, seguendo una ritmicità di cicli e pulsazioni espansive e contrattive che appartengono pur sempre al meccanismo ouroborico, questa catena di eventi ha avuto una sua connotazione di grandezza: l’empito eroico e geniale dell’ego individuale, che nel riorganizzare il mondo e nel tentativo di assumere il controllo sulle proprie componenti separate prende coscienza di se stesso come ente attivo, costruttivo, irripetibile, divino, separato dalla Madre Ouroborica e a Lei contrapposto. Il tempo ciclico resta il motivo conduttore degli eventi, ma il suo sviluppo si articola in una lotta inesausta, perenne, inesorabile tra i Signori della Luce e l’ormai insidiosa Draco delle Tenebre, che nell’immaginario mitico patriarcale tenderà ad assumere i caratteri maschili del Nero Figlio-Sposo primigenio della Dea.

 

Ra e Osiride nella Valle del Nilo lottano contro il Serpe Cosmico Apophis e contro Seth, l’oscuro dio predinastico primogenito di Nuit, la Signora notturna delle Stelle. Bel-Marduk a Babilonia squarta la Madre Draco Tiamat, il persiano Ohrmazd uccide il mostro primevo Arzur, creando poi uomini e donne dal suo corpo, mentre l’eroe germano-scandinavo Siegfried (o Sigurdh) diviene invulnerabile dopo aver ucciso il Gigante-Drago Fafnir ed essersi immerso nel suo sangue. E ancora nel mito ugaritico e cananeo precedente all’invasione ebraica il grande Baal, Principe della Luce, combatte ciclicamente contro Yam (il mare immenso) e Mot (la morte) e sconfigge Lotan, il serpe dalle 7 teste alleato di Yam — tutte forme e ipostasi delle oscure acque della Draco. Una catena universalmente diffusa di violente metamorfosi che archetipizzano la perdita di contatto con le fonti siderali della vita fisica e spirituale, ma testimoniano anche il destarsi dell’entità individuale rispetto a un mondo da ricomprendere e ricostruire.

Scindendo e uccidendo la Madre Draco il Figlio-Sposo ouroborico scinde però anche la propria duplice natura, lucente e tenebrosa. Sarà il suo aspetto luminoso, il Figlio, a destarsi nel nuovo universo patriarcale. E dietro di lui, confuso e occultato nel corpo smembrato della Notte, resterà il suo Gemello Oscuro, lo Sposo della Draco, l’Ombra primogenita tipificata tra gli altri nel mito egizio di Seth, fratello e nemico di Osiride. L’Eroe luminoso sarà inseguito e perseguitato per sempre dall’Ombra gemella come dal suo peggior nemico, ma in quella stessa Ombra si cela il reale secreto delle sue origini.

Con l’attenuarsi e infine lo smarrirsi della comunione panica, fisica e psichica con l’Ombra, con il Grande Serpe Cosmico e con i suoi ritmi, l’Anthropos si è ritrovato esterno a se stesso, costretto a codificare l’universo formato con il corpo della Madre, a capirlo, a sottometterlo al suo pensiero e al suo genio, a circoscriverlo con la sua filosofia, a raccontarlo con la sua memoria e a creare nuovi segni di scrittura per farlo. Un’evidente dimostrazione di questo processo è rilevabile nel passaggio dalle scritture mnemotecniche, sintetiche, pittografiche e geroglifiche, connesse al paesaggio pre-concettuale matristico, a quelle fonetiche, culminato con i primi alfabeti consonantici, elaborati nell’area semitica proprio nel fatidico II millennio a.C.,[xvii] già indicato come tempo di definizione dell’avvento solare e di deflessione astronomico-psichica della Stella Draconiana.

Il rapporto dialettico con la natura inaugurato dal patriarcato genera una materializzazione strumentale degli archetipi sacrali originari, scissi, depotenziati ma comunque presenti, che divengono l’ossatura e lo sfondo metapsicologico su cui sono costruite nuove civiltà e culture.

Il Centro Radiante maschile emerso dal Cuore dell’Uovo frantumato della Grande Madre ricrea una sua circonferenza e sotto l’impulso del sigillo solare che ne deriva nascono le città, gli imperi, le tipologie del diritto, le matematiche e le geometrie del tempo e dello spazio razionali, le molteplici sfumature formali dell’arte, le scienze del controllo sulla natura e sulla sua conoscenza: tutte forme di esplorazione dei diversi colori della Luce proiettati sulle tenebre dell’inconscio primordiale, il cui potere fatidico e pericoloso continua tuttavia a determinarne albe e tramonti ciclici.

In questo senso il patriarcato pagano[xviii] nelle sue varie forme storiche, culturali e religiose fu a suo modo una forma bilanciata di espressione ouroborica. Sacerdoti e guerrieri, saggi e filosofi eredi di Baal, Marduk, Osiride, Odino, Apollo, ma anche di Seth, Shiva, Loki e Dioniso, conservarono e tramandarono in formule e modi diversi il germe lucente, catartico, polimorfo della virilità spirituale. E pur nell’evincersi dal cosmico, lancinante abbraccio della Madre primeva seppero conservarne i riflessi nelle molteplici icone sacrali delle dee, madri, amanti e guerriere, delle ninfe, delle sirene, delle fate. E sempre mantennero la percezione ineluttabile della divina trama del Fato intessuta dalla Triplice Filatrice.

Ogni dio maschio che vince la Draco-Madre per forgiare il proprio universo si unirà poi con la prima tra le dee sorelle, che ne diverrà sposa e paredra, alleata nella saggezza, nel potere e nel piacere, anche se sottomessa alla sua legge. Le grandi saghe mediorientali di Anat sorella-sposa di Baal, Asherat figlia e paredra del cananeo EL, Inanna di Sumer e Ishtar di Babilonia, che i semiti conosceranno come la grande Astarte, nonché dell’Atargatis dei siriani sono emblematiche. I loro culti orgiastici, basati sull’esaltazione della carne e del sangue, ma anche della fertilità, dei ritmi stagionali e della giustizia, ci presentano un Kosmos sicuramente già patriarcale ma bilanciato, in cui la funzione dell’archetipo femminile conserva molte delle sue caratteristiche primordiali, benché asservite al trionfo solare maschile. Un trionfo che resta comunque perennemente insidiato dal permanere di quelle misteriose dee infernali cui abbiamo accennato e che rappresentano lo sfondo e la l’onnipresente minaccia della Draco, mai del tutto sconfitta.

Ancora più evidente appare il bilanciamento nel fiorire dei Misteri di Demetra e Persefone a Eleusi, di quelli samotracensi dei Cabiri, e poi di Cibele, di Dioniso, di Orfeo e nel rinnovarsi fecondo dei Misteri di Iside. Tutti culti iniziatici che caratterizzarono l’ultimo grande empito pagano e in cui è possibile intravedere persistenze feconde dell’universo spirituale e perfino magico-operativo delle Madri.

Negli stessi Misteri di Mithra emersi dal rigido patriarcato persiano di Zarathustra, e fondati sull’eterno conflitto Luce/Tenebre e sulla fiamma virile e guerriera, pur nella totale esclusione della Dea si celebrò all’ombra delle sue grotte, si sacrificarono i suoi tori e mai si entrò in conflitto con i culti femminili.

 

2. La scissione della Donna

 

Nella sua monumentale opera Il tramonto dell’Occidente, pubblicata nel 1918, lo storico e matematico tedesco Oswald Spengler (1880-1936) tentò con grande genialità ed erudizione di tracciare una morfologia sistematica delle diverse epoche spirituali, artistiche, culturali e politiche della storia e delle loro “sincronicità”[xix]. Spengler suddivise le varie sovrapposizioni e successioni tipologiche raggruppandole in tre tipi fondamentali di “anima” delle civiltà: Apollinea, Faustiana e Magica, quella stessa Anima Magica che Nietzsche aveva definito “dionisiaca” ponendola alla radice di tutta l’arte occidentale[xx]. Le analisi di Spengler risultano illuminanti e tutt’oggi le sue ricerche e intuizioni, pur incomplete e discutibili oltre che datate, rappresentano forse l’unico tentativo della cultura occidentale di elaborare una visione realmente sincronica degli aspetti etici, estetici, scientifici, filosofici e politici della storia.

Non esistendo però altra storia scritta se non quella patriarcale il rivoluzionario e originale pensatore si ritrovò, forse inconsapevolmente, a descrivere l’anatomia strutturale del patriarcato come fenomeno globale. Peraltro né lo Spengler né Nietzsche, che lo aveva largamente ispirato, seppero valutare gli sfondi muti, gli angoli segreti e tenebrosi, le ombre prospettiche profilate oltre i margini apollinei, faustiani e perfino dionisiaci degli ultimi quattro millenni di vita dell’umanità. è esplorando queste ombre che ancora una volta potremo individuare l’atto archetipico che, in una forma o nell’altra, ha visto nascere e ha nutrito le “anime della storia” individuate da Spengler: la scissione lacerante della Donna.

In varie formule mitiche del patriarcato pagano il tema del Dio paterno che sventra il mostro cosmogonico della Notte e si unisce poi alla Dea-sorella-sposa si ripropone, su un’ottava inferiore, nella figura dell’Eroe maschio che sconfigge la Draco e le Potenze degli Inferi, conquista la propria paredra — spesso una principessa vergine e prigioniera — e la fa sua tramite la ierogamia[xxi]. Nella Donna-Vergine divisa o liberata dalla Donna-Draco ritroviamo così la formula della scissione. Dopo avere scisso la Draco il patriarcato scinde la Donna che della Draco sempre era stata sacerdotessa e rappresentante nei precedenti cicli di tempo. L’Eroe si impadronisce degli aspetti femminili compatibili con la propria stessa scissione.

Diviso inesorabilmente dalla sua Ombra Radicale originaria, rimasta nel ventre della Grande Madre, il Signore Lucente non può che comprendere e prendere la Donna come oggetto passivo e innocente, come figlia incontaminata da lui stesso prodotta o come vergine (celeste o terrestre) per mutarla in amante o/e madre sottomessa della propria progenie e continuità. L’aspetto radicale, oscuro, temuto e maledetto dell’archetipo femminile, la Strega-Draco che solo l’Ombra perduta dell’Eroe-Dio potrebbe possedere (o da cui potrebbe essere posseduto), viene invece relegata negli Inferi, sovrapposta alle Dee infernali e destinata a presiedere unicamente i Misteri della Morte[xxii].

In questo motivo mitico si evidenzia la dimensione tragica del patriarcato pagano, perché qui vive il secreto del suo bilanciamento con l’archetipo femminile reso possibile da quella scissione controllata della Donna. Ma qui vive anche la maledizione della sua graduale sclerosi, della sua crisi e della sua metamorfosi, tanto inevitabile quanto perniciosa, verso il monoteismo. Pur nel loro variare e degradarsi tutte la grandi tradizioni sapienziali d’occidente e d’oriente che attraverso i millenni dell’egemonia solare prima, monoteista poi, sono giunte fino a noi contengono patrimoni inestimabili di esplorazione della coscienza, dell’universo e della conoscenza di molte sue leggi secrete, ma risentono anche profondamente di questa drammatica separazione che ne limita il portato e spesso ne riduce l’efficacia.

Ciononostante restano un lampeggiante arabesco tracciato sull’oscura ardesia della Notte, un torrente che scorrendo sul margine frastagliato dell’Abisso ha potuto nutrire, alimentare e rigenerare, pur entro limiti spirituali definiti, la saggezza e il genio di tutte le epoche.

Parallelamente la tripartizione dell’icona divina femminile in celeste # tellurica # infera e il suo asservimento funzionale alla nutrizione e alla conservazione dell’idealità patriarcale ne consentirono anche la sopravvivenza. Come già abbiamo osservato, all’interno di molteplici culture pagane e fino all’avvento devastante dei monoteismi poté avvenire la prosecuzione misterica di trasmissioni iniziatiche femminili accanto a quelle maschili, da queste però dipendenti e storicamente marginali. E dietro le quinte o negli interstizi di questo grande psicodramma lo sfondo tenebroso della Notte e la gola dentata dell’Abisso hanno sempre conservato le loro abitatrici e abitatori.

In una dimensione atemporale e astorica di assoluta marginalità metafisica la Tenebra Scintillante della Draco Stellare e del suo Figlio-Sposo cornuto dal Doppio-Volto hanno mantenuto la magica positura dell’Agguato, irrompendo ciclicamente quanto ambiguamente entro i perimetri del tempo, per poi ritrarsi oltre i piloni del Vuoto dopo aver lasciato tracce enigmatiche e sconcertanti. Le quali furono spesso raccolte e tramandate dall’occasionale persistenza di culti matristici, sciamanici e stregonici, soprattutto artici, protoamericani e africani, o da certe forme estreme di dionisismo occidentale e di tantrismo indo-tibetano o cino-taoista, occultate o sfuggite al ferreo controllo patriarcale delle rispettive ortodossie. Sono tracce parziali, elusive, sfuggenti, in parte virtuali, ma forse proprio nel tempo in cui oggi viviamo, foriero di immense trasmutazioni e ricorsi ciclici, questa Tradizione senza nome, questa Luce Nera sta finalmente prendendo corpo nella storia. Un tema controverso, bello e pericoloso di cui tratteremo in una futura sessione di questa nostra analisi.

Sul piano rigorosamente storico-antropologico resta il fatto incontrovertibile che la scomposizione della Donna nei suoi diversi aspetti e la tabuizzazione delle sue dimensioni radicali e notturne a opera della spiritualità patriarcale in tutte le culture organizzate del mondo ebbe gradualmente l’effetto di defraudare con violenza la sua sacralità oggettiva, di confinare la sua vitalità psichica e quindi di emarginare la sua rilevanza sociale, fino alla completa esclusione dal protagonismo della storia. Le rare eccezioni registrabili costituiscono una conferma della tendenza generale. La demonizzazione del mestruo, la scomparsa del diritto materno e la strumentalità socio-culturale a cui le donne come collettività antropologica sono state sottoposte a fasi alterne, in tutti i contesti storici e sociali conosciuti, non sono che effetti secondari di questo radicale processo archetipico.

Ma, come si accennava, questo fu anche il tallone d’Achille della patriarcalità solarita pagana. La debolezza inerente ai culti femminili e la loro scarsissima rilevanza sociale furono infatti tra le principali cause dell’irrigidirsi malsano della struttura psichica maschile, sempre più angosciata dinanzi agli spettri delle Tenebre e quindi sempre più vulnerabile e ansiosa di trovare sicurezza all’ombra di Archetipi monolitici, fiammeggianti e privi di sfumature matristiche.

 

3. L’infezione del monoteismo

 

L’avvento deflagrante del monoteismo semita, la sua affermazione nel giudaismo, la sua reincarnazione nel Cristianesimo e la sua metamorfosi nell’Islam rappresentano il culmine drammatico della sclerosi patriarcale e della sua crisi. Attraverso l’imporsi delle formule monoteiste l’esorcismo della Madre e della Notte diviene totale, il dualismo metafisico insanabile, la scissione della Donna e di ciò che la Donna rappresenta una piaga purulenta, il cui fetore sarà destinato a intossicare larga parte del mondo.

 

Nella mitologia ebraica, che solo in parte emerge dai testi canonici dell’Antico Testamento, Yahweh-Elohim imita Baal sconfiggendo il Leviathan a 7 teste (derivato dal Lotan cananeo) e fendendo Yam, il grande mare[xxiii], come ricorda il testo del salmo 74:

“tu sei Elohim, mio re dai tempi antichi,

che ha agito per salvarci in mezzo alla terra.

Tu fendesti Yam (il Mare) con la tua potenza.

Tu spezzasti le teste dei Tannin (mostri) delle acque.

Tu sfracellasti le teste di Leviathan

per darle in pasto al popolo del deserto”

 

E in una versione della Genesi, che i compilatori ebrei ripresero in gran parte, ma alquanto maldestramente, da fonti mitologiche babilonesi, Yahweh divide la Luce dalle Tenebre e separa le Acque Superiori da quelle Inferiori prima ancora di creare il Sole e gli Oceani. Ma dopo essersi imposto, secondo il consueto tema patriarcale, sulle Potenze primordiali dell’Abisso il Dio della Genesi non assume a sé una compagna.

Egli odia ogni dea ancora più di quanto detesti i suoi concorrenti egiziani, ugaritici e babilonesi, come attestato in Deuteronomio 7, 1-6, dove ordina la distruzione del culto di Asherat e dei suoi cippi sacri. E nell’antica lingua ebraica neppure esisteva un vocabolo appropriato per definire il concetto di Dea.

Yahweh non vuole paredre, resterà celibe per sempre, imponendo la sua spietata dittatura sul popolo “eletto”, succube e recalcitrante. La sua filosofia è semplice e brutale: ogni altro dio dev’essere annientato, ogni dea cancellata dai cieli e dalla terra, ogni popolo diverso da quello che lui ha scelto come schiavo (quasi come sostitutivo della paredra) dev’essere sottomesso o sterminato.

“Ora vedete che io, io sono Lui e non vi sono dei accanto a me. Io metto a morte e faccio vivere, ferisco e risano, e non vi è nessuno che possa liberare dalla mia mano. Si, io alzo la mia mano al cielo e dico: io vivo per sempre. Se davvero affilo la mia spada folgorante e la mia mano afferra il giudizio farò vendetta dei miei nemici e ripagherò quelli che mi odiano. Inebrierò di sangue le mie frecce e la mia spada divorerà la carne e il sangue dei cadaveri e dei prigionieri e le teste chiomate dei condottieri del nemico” (Deuteronomio 32, 41-42)

 

Nei testi redatti o riscritti dal sacerdote Ezra durante e dopo l’esilio in Babilonia (598-537 a.C.), dai quali fu derivato il canone biblico attraverso un sincretismo in cui si raccolgono sia influenze babilonesi dovute alla lunga permanenza in Mesopotamia che zoroastriane, assorbite successivamente dai liberatori Persiani[xxiv], si definisce l’angelogia di questo culto e soprattutto la sua demonologia. Tiamat, la Madre-Draco di Babilonia, diviene il Tehom, l’Abisso; e Bel Marduk, Signore della Luce del popolo nemico, diventa Belial, il Signore dei “torrenti maligni”, l’Avversario, Ha Satan, il Satana, grottesca figura sincretica in cui si fondono i caratteri lascivi, bestiali e terrifici di Tiamat e quelli fallici del suo divino Figlio matricida. Per Yahweh neppure l’Avversario poteva essere una dea!

Con il Cristianesimo il processo di involuzione archetipica sarà ancora più radicale. La Madre Abisso Tehom diverrà l’Inferno e lo Sposo-Figlio, il cornuto Protopater di tutte le ipostasi maschili, il Sole Nero che le più antiche dinastie egizie avevano celebrato come Seth, gli Italici come Saturno, i greci come Ouranos e poi Kronos e i dravidici pre-ariani dell’India come Shiva, diverrà fatalmente l’Abitatore di quell’Inferno. La genesi del Diavolo sarà così definitivamente circoscritta.

Nella religione cristiana, che troverà il suo prolungamento nell’Islam, sia la Madre che il Padre ouroborici vengono esorcizzati nella comune maledizione del Serpente. Yahweh, che probabilmente all’origine non era che un demone secondario sinaitico delle tempeste fuso successivamente con la divinità totemica tribale di alcuni nomadi semiti, diviene il Dio Unico, il Creatore dell’Universo.

Suo figlio, partorito da una vergine che rimane magicamente tale prima, durante e dopo il parto, muore e risorge come tutti i giovani dei della vegetazione, per rispondere alle aspettative messianiche di alcune frange rivoluzionarie di un popolo occupato dalle armate di Roma. Un mito artificioso e improbabile che si è sovrapposto vampiricamente alla vita spirituale, emotiva e politica di tutto l’occidente e di gran parte dell’oriente, inaugurando un inedito monopolio che dura ormai da due millenni. E che del patriarcato pagano ha letteralmente dissolto ogni possibile valenza creativa e sapienziale, tutto inondando nella melassa del fideismo ottuso e della furia iconoclasta. Diversamente Giudaismo e Islam hanno saputo articolare al loro interno, attraverso i secoli, fecondi assorbimenti delle gnosi pagane, sviluppando correnti iniziatiche di grande respiro come la Kabbala e il Sufismo, che — pur sostanzialmente patriarcali — hanno saputo connettersi al filone sapienziale delle tradizioni pre-monoteiste. Il Cristianesimo ha invece rappresentato l’ossessione patologica dei tempi di crisi e di massima sclerosi del patriarcato. Ogni grande realizzazione spirituale, filosofica, artistica e politica degli ultimi venti secoli, specie in Occidente, ha dovuto farsi faticosamente strada tra le sanguinarie persecuzioni dei suoi sicari e tra le caligini dei suoi tabù, delle sue tortuose teologie e del suo insanabile odio per ogni libertà dello spirito, del pensiero e della carne.

Non vanno naturalmente dimenticati i grandi tentativi di rettificazione del Cristianesimo in senso iniziatico, come la Gnosi, l’Ermetismo, il Templarismo misterico o la ierosofia cavalleresca, attraverso i quali numerosi codici dell’antico sapere pagano e perfino matristico poterono essere in qualche modo tramandati. Ma il cosiddetto “esoterismo cristiano” fu ben lontano dal rappresentare, come alcuni vorrebbero, l’anima segreta della Cristianità. In realtà le correnti operative e di pensiero misteriosofiche esistettero solo in veste ereticale nel segreto e nella clandestinità, tra persecuzioni e stermini, costantemente minacciate dall’onnivoro incubo della croce.

Eppure il Cristianesimo, uno dei cui primi simboli fu il Pesce, ha forse rappresentato la nemesi della Madre, il corto circuito delle Tenebre con la Luce, la tomba-pesce in cui la coscienza del patriarcato è stata rinchiusa per iniziare, attraverso un lungo processo di putrefazione, il proprio cammino di ritorno verso l’origine ouroborica.

 

4. La bestemmia morente

 

L’avvento dell’era cristiana si definì fin dai suoi albori come una contrapposizione al tempo ciclico. La sua inerente natura messianica, ereditata dal Giudaismo oltre che in parte dal Mazdeismo, portò a compimento l’inedita concezione di un tempo lineare quale “progetto” del Dio semita nella storia, con una sua genesi, una caduta, una redenzione e una parusia apocalittica:

La frattura del tempo ciclico indica che il fenomeno cristiano non fu una naturale espressione di ritmicità ouroborica come lo era stato il patriarcato pagano, ma costituì una sincope, un momento di arresto e di transizione. Statuendosi nel tempo lineare l’esperienza cristiana ha implicitamente stabilito l’ineluttabilità di una propria finale estinzione e tutte le fenomenologie morfiche e metamorfiche del nostro tempo stanno a indicare che questa estinzione è prossima e forse coincidente con il tramonto di tutte le formule patriarcali ormai morenti. E anche con l’albeggiare di un nuovo ciclo, sulla cui imminenza molte tradizioni misteriche concordano, segnato dalla riemersione acquatica o “acquariana” della Bestia-Draco dalle 7 teste, tanto temuta dai profeti cristiani.

Le Madri del Fato continuano a tessere nell’ombra beata dei loro Secreti la trama degli eventi e delle parole silenziose. Per coloro che sanno intravedere i lampeggiamenti della Tenebra può essere giunto il tempo di spezzare i sigilli e di riconsultare le sacre pagine dell’Ombra, in cui sono tracciati i percorsi di quella Trama. Impariamo di nuovo a fissare la nudità stellare dell’Abisso e ci accorgeremo di non aver perduto l’eredità bifronte e cornuta del Sole. Se la cultura in cui siamo nati ha relegato gli Archetipi Radicali negli Inferi, e i loro stolidi fantocci in Cielo, apprestiamoci a ripulire i reami notturni dalle croste lebbrose del diabolismo e della diabolizzazione prodotte dall’incubo monoteista. Riscopriamo tra le nubi sulfuree e alchemiche degli Inferni la grandezza della Madre esiliata, i suoi simboli, i suoi valori, le sue magie, i suoi figli e figlie angelici e demoniaci.

Illuminiamo l’Inferno per oscurare finalmente il Cielo, tiranneggiato per troppo tempo da un unico sole senescente. E torniamo a scorgere l’infinito numero di Soli che punteggiano il Corpo della Dea. L’Oceano tumultuoso e lancinante delle Stelle che vive fuori e dentro di noi, oltre i confini di ogni Cielo e di ogni Inferno. 

 


Bibliografia a La Luce Nera di Roberto Negrini

(in ordine d’autore)

Franz Baumer. La Grande Madre, ECIG 1993

Paul du Breuil. Zarathustra e la trasfigurazione del mondo, ECIG 1985

Jacques Bril. Lilith o l’aspetto inquietante del femminile, ECIG 1990

Joseph Campbell. Mitologia primitiva, Mondadori 1990

Jean Paul Clébert. Animali fantastici, Armenia 1990

Giuseppe Faggin (a cura di). Inni orfici, Asram Vidya 1986

Giovanni Feo. Dei della terra, ECIG 1991

James G. Février. Storia della scrittura, ECIG 1984

James George Frazer. Il ramo d’oro, Newton Compton 1992

Fulcanelli. Il mistero delle cattedrali, Mediterranee 1988

Marija Gimbutas. Il linguaggio della Dea, Longanesi 1990

Johann Wolfgang Goethe. Faust, Sansoni, 1973

Robert Graves. La Dea bianca, Adelphi 1992

Robert Graves, Raphael Patai. I miti ebraici, Longanesi 1980

Massimo Izzi. Il dizionario illustrato dei mostri, Gremese 1989

Kàroly Kerényi. Gli dei e gli eroi della Grecia, Garzanti, 1989, 2 vol.

Patricia Monaghan. Le donne nei miti e nelle leggende, Red 1987

Rodolfo Mondolfo. Il pensiero antico, La Nuova Italia 1970

Erich Neumann. La Grande Madre (1981) e Storia delle origini della coscienza (1978), ambedue Astrolabio

Friedrich Nietzche. La nascita della tragedia, Longanesi 1976

Thomas De Quincey. Confessioni di un oppiomane, Garzanti 1987

Anne Kent Rush. Della luna, Ottaviano 1980

Oswald Spengler. Il tramonto dell’Occidente, Longanesi 1981

Bernard Teyssèdre. Nascita del Diavolo, ECIG 1985


Note

[i]È dal nome di quest’antichissima dea tellurica, che i latini chiamavano Mephitis e i greci Mephys, che sarebbe derivato Mephystofeles. Cfr. Alfonso M. di Nola. “La nascita di Mefistofele”, Abstracta, n. 36 (aprile 1989), p. 81.
[ii]Johann Wolfgang Goethe. Faust, Sansoni,1973, p. 278.
[iii]Il mitologo K.Kerényj, che collaborò a lungo con C.G. Jung a una ricerca sulle fonti metapsicologiche del mito, ricorda che “i fondamenti primordiali dell’animo umano sono pure un tempo primordiale, quella profonda sorgente dei tempi in cui il mito ha il suo vero ambiente e su cui esso fonda le norme e le forme elementari della vita. Poiché il mito è fondazione di vita, è lo schema atemporale, la pia formula a cui la vita si adegua, riproducendo i suoi lineamenti dall’inconscio” (Kàroly Kerényi. Gli dei e gli eroi della Grecia, Garzanti 1989, vol 1, p. 8).
[iv]Rodolfo Mondolfo. Il pensiero antico, La Nuova Italia 1970, p. 11.
[v]Giuseppe Faggin (a cura di). Inni orfici. Asram Vidya 1986, p. 29.
[vi]Per un’estensiva analisi dei reperti matristici e del loro simbolismo cfr. Marija Gimbutas. Il linguaggio della dea, Longanesi 1990.
[vii]Cfr. Franz Baumer. La Grande Madre, ECIG 1993, p. 47.
[viii]Cfr. Platone. I dialoghi, Rizzoli 1964, vol. III, p. 43 (Timeo) e 165 (Crizia).
[ix]Inserire rif. alla seconda parte
[x]Per una breve sintesi del testo babilonese dell’Enuma Elish su Tiamat e sulla sua sconfitta cfr. Paul Carus. Storia del diavolo e dell’idea del male, ECIG 1989, p. 41.
[xi]Cfr. Fulcanelli. Il mistero delle cattedrali, Mediterranee 1988, p. 52 ; Giovanni Feo. Dei della terra, ECIG 1991, p. 108.
[xii] Patricia Monaghan. Le donne nei miti e nelle leggende, Red 1987, p. 53-54.
[xiii]Johann Jakob Bachofen. Storia del matriarcato, Melita 1990, p. 67.
[xiv]Mondolfo. Il pensiero ... cit., p. 12.
[xv]Thomas De Quincey. Confessioni di un oppiomane, Garzanti 1987, p.139-144.
[xvi]Erich Neumann. Storia delle origini della coscienza, Astrolabio 1978, p. 279.
[xvii]Cfr. James G. Février. Storia della scrittura, ECIG 1984.
[xviii]Definiamo con il termine “patriarcato pagano” qualsiasi forma culturale e religiosa precedente all’avvento del monoteismo, sia in occidente che in oriente.
[xix]Cfr. Oswald Spengler. Il tramonto dell’Occidente, Longanesi 1981.
[xx]Cfr. Friedrich Nietzche. La nascita della tragedia, Longanesi 1976.
[xxi]Neumann. Storia delle origini ... cit., p. 127-129.
[xxii]Cfr. Jacques Bril. Lilith o l’aspetto inquietante del femminile, ECIG 1990.
[xxiii]Cfr. Bernard Teyssèdre. Nascita del Diavolo, ECIG 1985 ; Robert Graves, Raphael Patai. I miti ebraici, Longanesi 1980.
[xxiv]Cfr. Paul du Breuil. Zarathustra e la trasfigurazione del mondo, ECIG 1985.