Perché 50 e 50?
di Nicoletta Buonapace

 


Perché sia più efficace il nostro agire politico. Ma che tipo di pratica mettere in essere?
La “Politica”: fatta di istituzioni, strutture rigide che sembrano impedire un impegno di “cuore”, come diceva qualcuna.

Che cosa occorre allora per superare questa rigidità, portare in essa una modificazione in grado di integrare la passione? Credo sia un forte senso di appartenenza a un pensiero, una comunità ideale, a muovere la passione, l’impegno concreto, l’investimento di tempo ed energia che un progetto politico richiede.
E’ importante, mi sembra, riconoscerlo, perché è alla base della partecipazione politica, e mi sembra che si abbia quando si sente che è in gioco la nostra vita e non vogliamo siano altri a decidere che cosa sia meglio o più giusto per noi.

Ma a quali forme dell’appartenenza posso affidarmi?
Perché la domanda successiva è: cosa succede quando si va in un consiglio comunale, dentro un’istituzione? Come posso non essere “inglobata” da un sistema che riproduce continuamente i suoi meccanismi di esclusione delle donne dalla vita pubblica e di tutti/e coloro che non si adeguano alla “norma”, scardinando schemi secolari?

E’ solo un problema di forme giuridiche, di leggi, di diritti, che dovrebbero ridisegnare la percezione della società e dare vita a nuove forme di consapevolezza (ad es. la modificazione costituzionale del principio della strutturazione sociale della famiglia basata su una sessualità finalizzata alla riproduzione) o c’è qualcosa di più?
E’ vero che bisogna preparare il terreno, per far crescere la società, la coscienza civile, o è necessario invece avere il coraggio di forzare una situazione che è specchio di una coscienza arretrata?

Perché 50 e 50?

Può darsi sia una forzatura, ma  una forzatura necessaria, come da molti/e, nel senso comune, è percepita forzatura la legge che riguarda le unioni civili, asserendo naturalmente che sì, il diritto dev’essere preservato, bisogna essere democratici, ma quello di tipo individuale, non si può riconoscere legittimità e riconoscimento sociale, simbolico, a relazioni diverse da quelle eterosessuali.
E’ ancora il senso comune a dire, soprattutto per quanto riguarda i figli/e e l’educazione, che “la società non è pronta per questo”.
Dunque, occorre coraggio. Coraggio anche per trovarsi di fronte a donne con cui si potrebbe confliggere, certo.
Ci sono esempi di donne, là dove appunto si decide, che ci sembrano del tutto omologate alle logiche maschili. Questo riguarda il rapporto con la politica istituzionale che  di fatto è una gestione della “cosa pubblica”, attraverso pratiche a cui si conferisce autorità.

Dobbiamo allora essere consapevoli riguardo alla gestione del potere, ripensarlo, non basta chiamarlo “autorevolezza” perché le cose cambino davvero.
Ecco allora, il 50 e 50 sarebbe forse una buona cosa per contrastare questa omologazione; una donna non si sentirebbe forse isolata, estranea, separata o “superiore” al proprio genere.
Né costretta a dover “dimostrare” di essere all’altezza.
Dentro un luogo con una dirigenza al 50 e 50 avremmo una possibilità di libertà in più, quella di scegliere di poter agire e sperimentare pratiche politiche diverse.

L’idea di trasversalità, di creazione e messa in atto di alleanze anche imprevedibili, in realtà, è la sola che può dare una svolta alla politica. Per quanto quest’idea comporti forse dei rischi sarebbero però di natura diversa da quelli conosciuti fino ad oggi.
Dei rischi salutari sicuramente per i partiti, normalmente dominati da logiche per le quali sentiamo estraneità.

Il conflitto di genere è ancora pesantemente presente, con uno svantaggio evidente per il genere femminile, ma ancora poco “visto” nei luoghi istituzionali.
Gli uomini, nella stragrande maggioranza, non si rendono conto delle loro responsabilità “culturali” nei confronti delle donne, quando si parla di violenza, sessualità, cura.

Il “senso comune” è di fatto prodotto dalla cultura eteropatriarcale, permea i comportamenti sociali che si reputano “normali” e  rende difficile la vita a chi lo mette in discussione. Solo una forte presenza femminile, visibile, protratta nel tempo, può far divenire “senso comune” la condivisione delle responsabilità per quanto riguarda la cura, la sessualità, il significato dei ruoli, il rispetto delle diversità, la diffusione insomma di una cultura non violenta.

L’appartenenza ideale sarebbe dunque al nostro genere, a un movimento in grado di ripensare le strutture profonde della società. Sarebbe interessante che nel nostro formarci alla politica, fossimo in grado di svelare, come alcune parlamentari del Nord Europa hanno fatto, attraverso quali meccanismi, messaggi e pratiche, anche non verbali, gli uomini svalorizzano la parola e il pensiero delle donne proprio nei luoghi del potere e delle scelte.

Il 50 e 50 darebbe di certo una forza contrattuale in grado di ottenere risorse per la formazione e la promozione di azioni in grado di far circolare il pensiero e le pratiche politiche, i saperi delle donne, quello che a me sembra il “cuore” del nostro impegno.
Credo che il “senso comune” lo si modifichi solo attraverso una specie di “bombardamento”, purtroppo, di tipo anche elementare; la pubblicità, la cinematografia, l’arte, la scuola e quant’altro contribuisce a creare un diverso immaginario rispetto al rapporto tra i sessi e a quello con le diversità.

Nell’ambiente in cui lavoro ho sperimentato, se pure in termini molto limitati, la differenza che c’è quando le donne, numericamente, sono in numero paritario, o poco meno che paritario, rispetto alla presenza maschile.
Se anche non c’è una coscienza femminista specifica, il fatto di essere in tante pone comunque dei limiti al maschilismo che impera là dove gli uomini sono in maggioranza schiacciante.
Diventano possibili un dialogo e un’alleanza in grado di contrastare certi atteggiamenti che gli uomini sottovalutano ritenendoli “normali” e che invece offendono la dignità delle donne.

E non c’è niente da fare, per quanto nel Parlamento ci possano essere uomini avveduti e più consapevoli rispetto ad altri, la maggioranza adotta atteggiamenti neppure troppo nascostamente maschilisti, rimane in silenzio riguardo alle grandi questioni sulla sessualità, la ripartizione dei ruoli e dei tempi nella cura, l’educazione civica, continuando a trasmettere valori oppressivi dell’individualità, un’offesa spesso inconsapevole nei confronti delle donne, che sono attaccate, più facilmente dei loro colleghi maschi, sul piano “personale”, legato alla rappresentazione tradizionale di una certa femminilità.

E qui si vede quanto è importante la decostruzione dei generi, quanto ciò che sembra sia più lontano dalla politica, la condizioni pesantemente.

Il 50 e 50, dal punto di vista simbolico, potrebbe spingere le donne e gli uomini a una riflessione su che cosa significa maschile/femminile, famiglia, potere, su quanto certe rappresentazioni tradizionali abbiano necessità della complicità e del contributo delle donne per perpetuarsi; avremmo la possibilità, come ho sentito dire in sede di discussione ad alcune, di confliggere o trovare invece delle linee comuni sulla base delle quali creare alleanze per delle azioni in grado di influire concretamente sulla vita pubblica.

Alla fine, si tratta della possibilità di ripensare la qualità delle nostre relazioni e delle istituzioni strappandole alle logiche familistiche dell’inclusione/esclusione, della tutela e del controllo, di chiedersi cosa voglia dire essere libere, vivere in comune, che cosa fa tessuto sociale, la qualità insomma del nostro stare nel mondo.


23 aprile 2007