Cara Stefania Noce

Emma Baeri


Catania, 13 febbraio, Stefania in manifestazione

Cara Stefania Noce,

affianco il tuo cognome al nome perché così sei andata in giro per il mondo nel breve tempo della tua vita, e per sottrarti all’anonimato delle mille Stefanie in giro.
Ci siamo certamente incontrate, conosciute, da qualche parte. Dove? Alla mia Lezione sulla violenza sessuale alla Facoltà di Scienze della Comunicazione nell’aprile 2010, se ben ricordo? Al Corso di formazione “Donne, politica e istituzioni” svoltosi per molti anni alla Facoltà di Scienze politiche? Al Seminario su “I femminismi” organizzato dal Circolo Rosa L. di Rifondazione Comunista?

Forse in tutti questi luoghi, se ieri notte, ultime ore del 2011, accolgo il suggerimento di Lea Melandri di cercare nel sito  “La 27esima ora” un suo articolo che ti riguarda, nel quale riproduce anche per intero il tuo ultimo scritto pubblicato su “La Bussola”, organo del Movimento studentesco catanese: “Ha ancora senso essere femministe?”.

Ti leggo e ti trovo, e mi trovo. Già, mi trovo, poiché tra le righe del tuo articolo appaiono parole e frasi testuali da me scritte e più volte pronunciate a Catania e altrove, parole ormai tue, per sempre. Il mio primo pensiero – del quale, lo confesso,  mi vergogno un po’ – è stato tradizionalmente “accademico”: come mai non cita la fonte? Ma subito, un sentimento misto di orgoglio e di onore mi prende, orgoglio per averti comunque raggiunta con le mie parole, onore per averle fatte tue e averle a tua volta divulgate, parole in giro, madri tutte noi che le abbiamo dette e scritte, madri coloro che le ripeteranno.

Ma sento anche disagio per una contraddizione che ancora non so sciogliere: mi sento responsabile di quelle parole mandate in giro per il mondo forse irresponsabilmente, per non averle accompagnate con un di più di cura, con altre parole e altri gesti; per non averti riconosciuta tra tante, tu, occhi brillanti e fossette sorridenti, tu intenta a prendere appunti, appassionata, febbrile, ansiosa e determinata – così ti immagino.

Sarebbe cambiato qualcosa? Non lo so, forse no, eppure su questo dubbio mi arrovello, oggi, primo giorno del 2012, e l’immagine del tuo sorriso ormai freddo mi sembra intollerabile.

So che le donne uccise dai loro compagni vivono esperienze femminili atrocemente uguali alla tua, e quasi sempre senza avere una coscienza femminista, ma anche questa evidenza non mi dà pace: non riesco a togliermi dalla testa le parole di cura che avrei potuto dirti, sento insieme la loro impotenza e  sento la tua voce - che non conosco – ripetere al tuo assassino quelle nostre sacrosante parole: ”Nessuna donna può essere  proprietà, oppure ostaggio, di un uomo, di uno Stato, né tanto meno di una religione”.

Sì, Stefania cara, ha ancora senso essere femministe, senza punto interrogativo, “noi, utopia delle donne di ieri, memoria delle donne di domani”. Grazie, e “bella ciao”, mia coraggiosa.

 

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