Claudia Alemani, M.Cristina Fedrigotti, Donne e nonne. I volti di un ruolo sociale
Barbara Mapelli


 

Il testo - esito di una ricerca e di colloqui con alcune donne (nonne) che  erano giovani all’epoca del femminismo anni Settanta e nel movimento si riconoscono, direttamente o indirettamente - pone molti quesiti, aree di riflessione proprie della contemporaneità, degli anni in cui viviamo, noi di quella generazione che ora viviamo questa esperienza e impariamo, o cerchiamo di farlo, a intrecciare di nuovo i nostri tempi, i giorni e le nostre esistenze con le vite di figli e figlie, con queste nuove vite, apparse nel mondo, i nipoti e le nipoti. E cerchiamo di trovare non solo spazi per questi fili che si annodano di nuovo e in modo differente, ma di ‘inventarli’, con generosità, io credo, profondità, desiderio di una continua crescita di consapevolezza, pur – e questo ‘pur’ non è avversativo ma pone un’esigenza di chiarezza e  limiti –  difendendo i nostri tempi, le costruzioni di un diverso essere soggetti e donne nel mondo, che ci sono costate fatica, conflitti, rimorsi – soprattutto verso quei figli e figlie che ora ci rendono nonne – ma che non intediamo rinnegare. E quando lo facciamo, ci sforziamo di tenere ben presenti i riferimenti per tornare a quelle nostre impegnative composizioni di identità che ci sono costate sì, ma sono per ciascuna, seppure in diverso modo, un terreno non tanto di conquiste avvenute quanto un percorso che in parte abbiamo disegnato e desideriamo continuare a seguire, ricomponendo in esso i cambiamenti, anche quelli più importanti, vitali.
Diventare nonne appunto.

Una nuova generazione di nonne che, come sottolinea Gabriella Mariotti nell’Introduzione al volume, si trova a vivere all’interno di una forbice ideale, che si fa però vissuto ed esperienza nelle narrazioni delle diverse donne intervistate. Le due punte della forbice rappresentano due stereotipi, o forse più. Lo stereotipo della nonna tradizionale, fuori dal tempo, fuori dal lavoro, fuori da tutto se non nell’immagine immobilizzata di un repertorio affettivo denso di lusinghe e buoni sentimenti. Uno stereotipo cui si somma quello della vecchiaia, una stagione ferma, senza progresso, che non conosce più il cambiamento, né saprebbe praticarlo, una ‘vita nell’angolo’, irrigidita nel suo ruolo, soprattutto di passività.
Sull’altra punta della forbice uno stereotipo opposto che vincola e stringe in immagini, anch’esse irrigidite, le donne ora nonne. Le femministe, le combattenti e guerriere della libertà, dei diritti, secondo un immaginario costruito per creare un controtipo, possibilmente poco appetibile, alle tradizionali virtù femminili.

Non è senz’altro giusto immaginare che queste donne  vivano dibattendosi tra  opposte rigidità, lo sforzo è piuttosto quello di cercare di muoversi creativamente, tra spinte e desideri diversi, senza mai abbandonarsi alle lusinghe, alle tentazioni degli stereotipi. Anzi contraponendovi il proprio vivere, cercare, la propria unicità e originalità, che pur si rende vitale all’interno di grandi correnti collettive e che dovrebbe smascherare o almeno apprendere a riconoscere questi stereotipi. E uno stereotipo, se svelato, si avvia sempre alla sua destrutturazione.

Vivere all’interno di queste spinte opposte, senza soggiacere alle norme di genere e generazione, significa esercitare, imparare a farlo, la virtù dell’ambivalenza, come si osserva nelle conclusioni delle due autrici. Mantenere una tensione e una capacità di invenzione non tanto del proprio ruolo quanto del proprio esserci in una nuova prova, che propone alla composizione di vite già complesse un ulteriore ambito dell’esistere. Qualcosa che si desidera vivere appieno, ma che non deve ingoiare e negare ciò che si desidera fare per sé e in altre relazioni.

Già appare complesso avere a che fare con le ‘nuove ‘ madri, sia che siano figlie o nuore. Donne che sono sottoposte alla violenta proposizione di una nuova retorica sulla maternità, che ancora una volta propone l’inganno che elide la donna a favore della madre e pretende ‘madri perfette’, ‘amori assoluti’, senza possibilità di sbaglio, senza nessuna relativizzazione, negando il chiaroscuro che connota ogni esperienza, anche e soprattutto le più importanti. E’ un rapporto difficile, per le nonne, questo con le giovani madri, un intreccio di sentimenti tra invidia, perché sembra di aver vissuto meno intensamente la propria di maternità, di ammirazione per le capacità di dedizione, per le compteenze, anche tecniche, di queste ‘mamme sempre in rete’, tra loro, sui siti che ammaestrano su tutto, pannolini, pappe, svezzamento e allattamento, negozi, acquisti, lettini e seggiolini, partner, come istruirli, come porli al servizio del nato o della nata, perché eseguano senza prendere troppe iniziative. Ma anche sguardi critici: di tutta questa inseguita perfezione si valutano le fatiche e i pericoli, ma non se ne parla con loro, o molto poco. La consegna è il silenzio per non mettere in discussione equilibri faticosamente conquistati o per non essere nuovamente accusate di essere state madri poco attente, un po’ assenti e presenti, prevalentemente e soprattutto, a se stesse. Gabriella Mariotti conclude le sue riflessioni  con un richiamo ottimistico: in questa ricerca delle ‘nuove’ nonne si ripropone la vitalità e la forza del femminismo,  che ha insegnato la capacità di assumere le contraddizioni e farle porprie in un percorso che non cessa di essere innovativo e creativo. Una strada che non viene abbandonata davanti alla  nuova prova.

Aiuta in questo itinerario denso di ostacoli, come scrivono le autrici, la non rinuncia a fare pensiero sulle nuove relazioni che si creano, non solo coi/colle nipoti, ma anche coi figli e le figlie. La capacità appresa dell’autoriflessività, che ha accompagnato e accompagna le nostre vite, le raddoppia e le rende più consapevoli – la vita che si pensa vivendola, vivencia in spagnolo – per cui l’essere nonne ora non è solo una nuova condizione, ma un pensiero nuovo su cui esercitare un’eterna, la nostra, giovinezza. Questa sì mi pare una vera eredità che possiamo pensare di lasciare.
Alcune, molte delle donne intervistate rivendicano la propria diversità dalla figura tradizionale della nonna, una nonna inattesa, una nonna….be’ sicuramente strana, strana, non tradizionale, creativa per forza, visto che bisogna uscirne, molto creativa.

E, osservano le autrici, l’energia per vivere questa nuova condizione vengono proprio dai/dalle nipoti, che offrono amore, sorrisi, giochi da condividere, il sentimento e la consapevolezza, la scoperta, come dice una delle intervistate, di essere amata. Di provare emozioni e sensazioni di un amore condiviso, che non conosce o riconosce rughe, corpi non più freschi, una nuova immagine di sé o che forse, piuttosto, conferma la nostra immagine interiore di noi stesse, ancora e sempre ‘ragazze’.

La competenza all’autoriflessività viene ripresa da Claudia e Cristina nelle conclusioni e si riconosce nella disponibilità delle intervistate a ripercorrere la loro esperienza, i dilemmi, gli interrogativi, le ambiguità che propone, oltre alle grandi gioie. La disponibilità e l’abitudine a vagliare significati e valenze del proprio agire.

Ancora una volta, si osserva nelle ultime righe, queste donne sembra che continuamente si educhino a fare quel passo indietro che fa crescere l’altro e gli permette autonomia. E’ molto importante questa osservazione – e parlo soprattutto in prima persona, come peraltro ho fatto finora – poiché uno dei riferimenti più precisi, più netti che abbiamo dato ai nostri vissuti di maternità  è stato il tentativo di costruire l’autonomia dei nostri figli e figlie, correndo il rischio – e le accuse a questo proposito ci ono piovute addosso, generose – di essere considerate poco accudenti, poco presenti. Ma il rifiuto dei modelli tradizionali, anche di famiglia, che è stata la trama di costruzione di nuove affettività e relazioni, è qualcosa che non può più essere rinnegato, e quel passo indietro, alcuni silenzi e sguardi che cercano di non giudicare o di farlo il meno possibile, sono il frutto, anche in questi nuovi momenti di esistenza, di quel rifiuto e una dichiarazione di diversità netta, anche se non rigida e capace di adattarsi a nuove domande, a nuove prove.
Siamo la ‘generazione della prima volta’ e sulle nostre vite abbiamo sperimentato, talvolta felicemente talvolta dolorosamente, tante prime volte. Ancora  ci viene proposta, o noi stesse ci proponiamo, una prima volta. Ci spetta e credo, senza inseguire le lusinghe di un forzato happy end, che siamo disponibili a sperimentarci di nuovo. O almeno lo sono le intervistate di questo libro.

 

Claudia Alemani, M.Cristina Fedrigotti,
Donne e nonne. I volti di un ruolo sociale
Stripes edizioni, 2012
Pagine 124, € 13,00

24-05-2012

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