Norvegia e Svezia non imitiamole, però…

di Paola Melchiori

 
Marianne von Werefkin

 

Per quanto i paesi scandinavi siano noti in tutto il mondo come i paesi dell'eguaglianza raggiunta, del "femminismo di stato" e delle quote, non li si vuole proporre come esempio da imitare. In una prospettiva comparativa, se consideriamo il patriarcato come la struttura portante della società, le differenze di esiti o di pratiche si illuminano una con l'altra, servono a identificare le zone più critiche della nostra discussione politica. In questa prospettiva, la specificità dei paesi nordici è interessante sotto una serie di punti di vista.

Innanzitutto, per un movimento come il nostro, che oggi si trova così "sguarnito" sul piano istituzionale (e per scelta), sono tanto interessanti, quanto poco note, le pratiche con cui sono state introdotte innovazioni come le quote, sia nella versione norvegese sia in quella svedese. Esse sono il risultato di una buona combinazione tra pratiche di movimento, concepite fuori delle istituzioni e un loro "buon" uso in ambito istituzionale.

Le femministe sono riuscite a usare azioni spregiudicate di pressione, peraltro considerate normali nei corridoi della politica maschile, che nessuno si aspettava da gruppi di donne, per aprire dei varchi considerati altrimenti impossibili. Poche donne, molto determinate, hanno identificato una vera e propria strategia che, nelle forme operative ha combinato esilaranti rovesciamenti di gesti maschili, a scopo di smascheramento, con un lavoro molto organizzato, spesso segreto, d'elaborazione autonoma e formazione nella padronanza dei meccanismi istituzionali.

Dentro questa strategia un elemento essenziale è stata la trasversalità, una ricerca lunga e laboriosa di quei pochi elementi comuni che è possibile individuare, al di là di ogni divisione, sulla base della condizione e degli interessi delle donne. Si è investito su questo, giocando la fedeltà al gruppo contro i richiami di partito. Il "femminismo di stato" è stato dunque reso possibile da creatività e capacità trasgressive combinate con sapiente e preparata presenza e conoscenza dei meccanismi istituzionali.

Un secondo elemento, che si è chiarito col tempo, è l'identificazione e l'evidenziazione degli ambiti dove, quote o non quote, il patriarcato non molla, neanche sul piano quantitativo. Uno di questi ambiti è quello delle decisioni nei luoghi del potere economico.

In Norvegia la garanzia delle quote nei consigli aziendali è così "impossibile" da attuare che è stata varata da poco una legge quasi coercitiva per obbligare i consigli aziendali a una maggiore rappresentanza femminile. Un altro di questi ambiti è quello della produzione e trasmissione di conoscenza. Lo Svenska Dagbladet, uno dei maggiori quotidiani svedesi, ha chiesto una legge per abolire le ricerche di genere nelle università poiché rappresenterebbero un "veleno sociale".

Dopo la grande apertura degli anni Settanta, le donne che hanno raggiunto posizioni accademiche faticano a produrre una scuola, a garantire una continuità. Sia in Svezia sia in Norvegia vengono ostacolate le loro studenti, le loro tesi, i loro dottorandi.

Un terzo elemento è la necessità di spostare l'attenzione sulle barriere qualitative, fatte di pregiudizi, di atteggiamenti che non si dicono e non si vedono. A che serve uno stato amico e un'offerta, per noi stratosferica, di servizi sociali, se la possibilità di lavorare per le donne si traduce comunque in un aumento dello stress, della pressione, delle difficoltà, in problemi di prestazione eccessivi? Vuol dire che qualcosa esce dallo schermo: cioè, come dicono le svedesi, "la contrattazione sul tavolo da cucina".

Serve dare un congedo familiare ai padri se poi li prendono solo nei periodi delle finali di calcio e se comunque la responsabilità degli "accudimenti" rimane, fisicamente e psichicamente, sulle spalle delle donne? E' inoltre su questo tavolo da cucina che si addensano le ombre di una violenza domestica tra le più alte d'Europa, tutta da interrogare.

Ecco allora perché la nascita e l'impostazione della Feminist Iniziative, in Svezia, dove in Parlamento siedono il 47% di donne, è interessante. E' la consumazione dei limiti dell'uguaglianza, l'indicazione della necessità di riprendere i legami tra personale e politico.

Gudrun Schyman, deputata che aveva portato il partito della Socialist Left svedese a triplicare gli iscritti nella precedente legislatura, decide, nel 2004, che dentro il partito non riesce a portare avanti gli interessi delle donne, a contrastare non ascolto, lentezza e meccanismi di soppressione. Esce dal partito e rimane parlamentare, decisa a porre femminismo e patriarcato esplicitamente e prioritariamente in cima all'agenda politica, come lente attraverso cui rileggere tutti i temi della politica, a partire dalla vita quotidiana delle donne. Se non si fa così, dice "le azioni possibili, le iniziative, si perdono", sono inghiottite in una "uguaglianza di pensiero" che omogeneizza, neutralizza, non riesce a tenere conto di quanto sta intorno e prima dei comportamenti sociali, degli apparati di riproduzione simbolica del potere e della subordinazione femminile.

La scelta della Feminist Iniziative non è di tipo rivendicativo, si propone di ripensare tutti i temi della politica a partire dal patriarcato e solo da lì produrre azioni e proposte diverse. Riprende, nell'organizzazione interna, le pratiche di democrazia degli anni Settanta, si costituisce in 30 gruppi di lavoro sui temi identificati e parla con tre portavoce. Gudrun riceve, il primo giorno, 1000 lettere di sostegno, e i poli elettorali le danno il 28%.

In un paese come la Svezia, dove quasi tutti i partiti si dichiarano femministi, si scatena il finimondo. Adesso state esagerando, si dice. Le femministe sono accusate di fomentare l'odio sociale, di favorire le destre, di ostacolare, con le quote, le politiche d'uguaglianza dei diritti. Tarija Rosenberg, accademica dell'Università di Stoccolma, è minacciata così pesantemente nei suoi legami familiari da essere costretta a dimettersi. «L'insopportabile - dice Schyman - è che le donne escano dallo stato di gruppo di minoranza con cui si può essere gentili se c'è un po' di denaro che avanza».

Le elezioni saranno il 15 settembre di quest'anno. E si vedrà cosa succederà. Quello che ci interessa qui è quanto ci dicono gli imprevisti. Nel super egualitario paradiso svedese nessuno si aspettava un tale livello di violenza pubblica. Le parlamentari norvegesi avevano però fatto un gran lavoro di smascheramento dei meccanismi di soppressione, che servono oggi, in Svezia, per preparare corsi di formazione alle giovani che entrano in politica. Lo scopo è di aiutarle a sostenere l'insieme degli attacchi personali, i ricatti sulla carriera, i meccanismi d'esclusione, la misoginia.

La scelta della Feminist Iniziative dunque, approdo finale di un femminismo dell'eguaglianza e del potere istituzionale, evidenzia la combinazione di potere pubblico e privato, simbolico e materiale, incarnato in tutte le istituzioni. «I temi che portiamo avanti - dicono le femministe svedesi - ancor più le soluzioni proposte, sono incollocabili nella logica in cui le istituzioni sono organizzate», minacciano troppo le posizioni di potere raggiunte dagli uomini. Disturbiamo le danze, il mondo ideale e il ruolo che ci è stato assegnato in esso. Circolano contro di noi un'impazienza e una rabbia che non possiamo sottovalutare.

In un paese meno ideale, la loro esperienza costituisce un utile avvertimento per le nostre priorità e per quanto ci aspetta.

 

questo articolo è apparso su Liberazione del 9 aprile  2006