Essere padri e madri in Germania

di Liana Novelli


Appare sembra sempre più chiaro a tutti gli attori sociali e politici che operano in Germania che quanti bambini avere,  quando ed in quale situazione sociale, professionale ed economica della coppia ma in primis della donna è problema di massima valenza pubblica e politica; rappresenta anzi il principale nodo da risolvere, se si vuole che lo Stato funzioni anche in futuro.

Le statistiche dicono che a maggiore grado di istruzione e formazione delle donne corrisponde il minore grado di natalità; la natalità è calata in maniera significativa nell’ex DDR, dove prima dell’unificazione tedesca il numero di figli per donna era più alto che nel resto della Germania e dove l‘occupazione femminile era quasi totale. Ne discende che i fattori determinanti per la scelta in favore dei figli sono due: la possibilità di lavorare per la madre e la sicurezza di una qualificata assistenza per i bambini, che la DDR più o meno bene garantiva.

A queste conclusioni erano già arrivate anche le ministre della famiglia dei governi Kohl e Schröder, che avevano avanzato le loro proposte quindi nel senso di facilitare il lavoro delle donne e di aumentare l’offerta di assistenza ai bambini. Alcune delle proposte erano significativamente simili alle attuali, con la sola differenza che non avevano trovato alcun ascolto. L’attuale ministra von der Leyen ha più fortuna di coloro che l’hanno preceduta:  la cancelliera non  solo l’appoggia, ma, essendo stata lei stessa ministra della famiglia nel governo Kohl – era il suo primo incarico ministeriale – conosce bene lo stato dell’arte: in più, provenendo dalla DDR, sa quanto le donne dell’est siano state deluse nelle loro aspettative dopo l’unificazione.
Veniamo alle misure attuate dalla ministra von der Leyen:

La nuova legge tedesca sui congedi parentali in vigore dal 1.1.2007 prevede un compenso sostitutivo - pari al 67% del  mancato salario, con un massimo di € 1800 al mese ed un minimo di € 300 - per il genitore che accudisce il bambino a tempo pieno dodici mesi. Questo periodo può essere prolungato di due mesi se l'altro genitore chiede di usufruire dello stesso trattamento per accudire ulteriormente il bambino, altrimenti questa opportunità decade (un diverso trattamento è previsto per i genitori soli). Questo è il punto su cui focalizzare l'attenzione, perchè introduce l'alternanza nella cura, incoraggiando l'altro genitore a farne richiesta.

L’applicazione della norma ha ora  triplicato il numero dei padri che usufruiscono dei due mesi ulteriori,  dopo i dodici mesi in cui la madre lavoratrice è in congedo. Dunque avviare il cambiamento del costume, che attribuisce il lavoro di cura alla sola donna ( l'art.37 della nostra Costituzione parla della sua "essenziale funzione familiare"), si può fare o obbligando l'uomo a farsene carico anche lui o rendendo attraente il congedo paterno con una remunerazione sostitutiva del salario. La seconda strada scelta dal governo tedesco contribuisce a rendere anche gli uomini "a rischio di gravidanza" e quindi forse non sempre preferibili alle donne, come attualmente è sia nelle assunzioni che nelle possibilità di carriera. In questo senso la nuova legge, che è naturalmente un primo passo, è nella direzione giusta e ci piacerebbe che venisse introdotta anche in Italia. L'inchiesta Istat "Essere madri in Italia" del 2005 ci informa infatti che le donne italiane vorrebbero in media 2,2 figli, ma in realtà ne hanno 1,3 perchè prima di averli vorrebbero un lavoro decentemente pagato e relativamente sicuro.

Tornando alla Germania, nel clima creato dalla legge a favore della fruizione dei congedi da parte dei padri sono nate numerose iniziative: fra le tante sorte a livello regionale cito l’ “Aktionsforum Männer & Leben”, che ha tra i suoi aderenti rappresentanze di imprese, chiese, unioni di datori di lavoro e sindacati.

Questa organizzazione opera da cinque anni con il preciso fine che un sempre maggior numero di uomini – intesi in senso proprio - possano conciliare famiglia e professione, occupandosi fattivamente della famiglia e non delegandone alla moglie gestione e responsabilità. Nel dicembre 2008 si è svolto un convegno, durante il quale sono state illustrate diverse iniziative avviate in questo senso con il risultato che all’interno del Forum da cinque anni a questa parte il numero dei padri in congedo parentale pieno è decuplicato. È stato sottolineato come siano importanti le offerte di informazione da parte del forum, per esempio sulle possibilità di lavoro a tempo parziale. In questo campo per esempio la fondazione “Hertie” “Beruf und Familie”( Professione e famiglia) offre consulenze a circa 700 imprese/ditte.

In un’ottica più allargata, che non mira solo ad un aumento della natalità, ma ad un maggiore impegno civile dei cittadini riguardo al nodo “pubblico/privato”, mi sembra il caso di segnalare una recente iniziativa del ministero degli interni insieme al ministero per la famiglia, connubio unico nella storia della repubblica federale. Il 6 gennaio scorso sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung è stato pubblicato un lungo articolo a firma congiunta  del ministro degli interni Wolfgang Schäuble e della ministra della Famiglia Ursula von der Leyen.  I due ministri constatano che i grandi cambiamenti demografici hanno causato dei potenziali conflitti, che mettono in pericolo il senso di solidarietà e  sicurezza, su cui poggia la democrazia. Sono sempre più evidenti conflitti tra categorie, il cui equilibrio è stato sconvolto dalla rivoluzione demografica in atto. Tra anziani e giovani, tra lavoratori a tempo indeterminato e precari, tra coppie a doppio reddito senza figli e famiglie monoreddito, tra anziani e malati bisognosi di cure e genitori che lamentano la mancanza di strutture  assistenziali ed educative per i bambini, sembra si allarghi sempre più la forbice che li mette l’uno contro l’altro in gruppi portanti interessi contrapposti. Oggi la famiglia non è più portatrice di quel patrimonio di esperienze e saggezza acquisiti a cui usavano attingere i giovani, dato che le regole del mondo del lavoro e del vivere sociale sono così repentinamente cambiate. L’imperativo economico della flessibilità e della mobilità professionale contrastano con la possibilità di prevedere e programmare il proprio ciclo di vita  con  progetti di famiglia,  figli e stabilità nella propria vita sociale. Ne risulta un processo di disgregazione delle basi, su cui si fondava la società. D’altro canto la modernizzazione e l’individualizzazione potrebbero dare ai singoli un potere di autodecisionalità e progettualità fino ad oggi sconosciuto, aprendo la strada all’utilizzazione di nuove opportunità di crescita culturale e riconoscimento del merito. Il problema è che non tutti sono nella posizione di poter utilizzare queste opportunità. Molti si sentono anzi incapaci o non adeguati, trascurati o addirittura esclusi dalle possibilità di crescita, che si offrono ad altri. In questa situazione i due ministri si appellano all’impegno della società civile, chiaramente ed in parole povere del volontariato,che lo Stato non può creare per decreto , ma che può favorire e riconoscere con iniziative ad hoc. Essi dicono espressamente che lo Stato non può influire sulla decisione dei singoli, di dedicare tempo ed energia nel volontariato, né può servirsi del volontariato come alibi per sfuggire alle proprie responsabilità. Queste devono essere esercitate con leggi e regole opportune, mediante procedimenti trasparenti e con azioni dirette ad estendere la partecipazione al processo democratico. Ma lo Stato deve mettere a disposizione dei cittadini spazi in cui l’impegno sociale possa  crescere, esplicarsi  e venir riconosciuto. Si sottolineano iniziative sovvenzionate dalle istituzioni come case, in cui abitano diversi gruppi di età (“Mehrgenerationenhäuser”)come forma di famiglia allargata. Proprio nel riconoscimento dell’importanza della famiglia come base dell’educazione al vivere sociale sta il messaggio, che riconosce nuove forme di famiglia e aggregazione sociale, specialmente dove la famiglia naturale/biologica non è in grado di assolvere al suo compito educativo.(Qui giova ricordare che in Germania negli ultimi anni si sono verificati casi eclatanti di bambini morti letteralmente di fame,  per lo più figli di genitori tossicodipendenti. Dato che i nonni non subentrano automaticamente alla cura dei nipoti come avviene in Italia in caso sia necessario – anche perché generalmente abitano lontano dai figli- questi casi sono stati interpretati come un segnale dell’inadeguatezza del sistema famiglia e del suo controllo pubblico ).L’articolo dei due ministri si conclude con l’annuncio di una stretta collaborazione dei ministeri dell’Interno e della Famiglia, che si dovrebbe concretizzare sotto il titolo “Solidarietà sociale e prevenzione”in programmi di educazione della prima infanzia, di ricupero di soggetti incapaci di governare i conflitti senza ricorrere alla violenza, di accoglienza ed accompagnamento degli immigrati, in sostanza di una nuova forma di acculturazione,  generale anche nel senso di avere attenzione al genere. Anche con il sostegno del volontariato, questo programma non potrà fare a meno di consistenti fondi governativi, come i già stanziati tre miliardi annuali per gli asili nido. Ultimamente Ursula von der Leyen ha rafforzato le sue proposte di programmi a sostegno delle famiglie anche e soprattutto nell’attuale crisi economica e finanziaria,ricordando che la conciliazione lavoro/famiglia produrrebbe attraverso il lavoro dei genitori  effetti fiscali  per circa 70 miliardi. Inoltre le misure di sostegno alla famiglia creerebbero da 200.00o a 400.000 posti di lavoro.

Le “Lettere ai genitori”

Nel quadro della rete di iniziative di appoggio alla funzione educativa della famiglia il ministero ha recentemente incaricato l’Arbeitsktreis Neue Erziehung (ANE), che dal 1969 pubblica ormai diffusissime “lettere ai genitori”, di scriverne due dedicate allo sviluppo ed al sostegno linguistico nella prima infanzia. Queste lettere, la cui prima edizione in tedesco è prevista per aprile, verranno edite nelle nove lingue più parlate in Germania, con lo scopo di diffonderle il più possibile tra le comunità immigrate.

Che cosa sono le “lettere ai genitori”? Nacquero all’indomani della seconda guerra mondiale ad opera del gruppo di lavoro “nuova educazione” e con il fine di elaborare un progetto di educazione alla democrazia ed alla tolleranza, in contrapposizione al progetto autoritario del nazismo. Le lettere ai genitori,   formulate all’interno di questo progetto, furono e sono tuttora inviate dal Senato dell’educazione di Berlino ai neogenitori dopo la nascita del primo bambino,   all’inizio con intervalli di poche settimane , che poi via via si allungavano, fino all’ingresso  nella scuola elementare. Presentemente le lettere arrivano all’età dell’adolescenza e alcune di loro trattano temi specifici, come la violenza, la droga, l’uso dei media. Ogni lettera dà in quattro pagine consigli ed opzioni educative in modo semplice e comprensibile al pubblico medio, fornendo inoltre le informazioni su istituzioni ed associazioni, a cui rivolgersi per aiuto o sostegno. Sull’esempio dell’ANE sono nate altre iniziative simili, che si differenziano in parte per l’orientamento religioso, dato che molte vengono mandate dalle chiese del Land di provenienza, e si può dire che oggi ne vengono spedite alcuni milioni all’anno. Sul tema è disponibile una vasta  bibliografia  e recentemente il Land Nordrhein-Westfalen ha pubblicato una valutazione approfondita della diffusione e dell’impatto delle lettere ai genitori in Germania e in altri paesi europei ed extra europei (  questa iniziativa era nata negli Stati Uniti del New Deal).

Inutile dire che in Italia non esiste nulla di simile e la richiesta di informazioni in proposito inviata al Ministero della Famiglia nel 2006 non ha avuto risposta. Colpisce che in un paese in cui della famiglia si fa una bandiera, si pensa che il mestiere di genitore non abbia bisogno di essere imparato.
Faccio due osservazioni di ordine generale su quanto ho esposto: la prima è che in Germania si è ben compreso  che il nodo privato/pubblico deve essere affrontato venendo incontro alle esigenze delle donne, che del privato hanno il carico; e che non solo singoli compiti (le classiche “ciliegine della torta domestica” come giocare con i bambini, cucinare…) ma la gestione delle responsabilità domestiche vada  estesa in maniera sempre più condivisa agli uomini ed alla società nel suo complesso. La seconda è che ogni misura deve essere affrontata in maniera preventiva e non aspettando il sorgere dell’emergenza. Se si vogliono famiglie giovani, si deve facilitare la loro formazione evitando alle donne le penalizzazioni professionali, sociali e nella vita pubblica dovute alle loro scelte procreative. Inoltre le famiglie devono essere accompagnate e sostenute dalla società intera e dallo Stato, che si fonda su di esse e si avvale delle loro prestazioni.

2-07-2009


 

home