Le ostetriche di Oio camminano sui confini
Ovvio, Oio è una regione di confine. Segna la frontiera tra Guinea Bissau e Senegal. La frontiera che separa i paesi diventa una linea che divide il luogo delle ambulanze, delle elettricità distribuita, delle cure quasi garantite ( anche se pagando) dal luogo del buio, delle strade disastrate, dell’assenza di mezzi di trasporto per i malati, dalle cure non garantite ( anche se pagando) Percorrono confini e valicano frontiere nello spazio e nel tempo, levatrici di bambini e educatrici di madri, riparatrici di lacerazioni e tessitrici alla ricerca di consensi, abitano tempi incerti e luoghi precari, stanzette del parto bisognose di strumenti, di guanti sterili, di spazio per muoversi e di luci per vedere il bimbo che nasce. Interrogano i confini del tempo: Marta attribuisce un’età alla partoriente: “quanti figli, quanti parti?” I parti sono quelli che hanno lasciato una traccia nella memoria, quelli che sono stati contati e ricordati. tanti parti diventano tanti anni di età probabili. Anni probabili che sul libro dei dati diventeranno fissi, l’età che formerà i dati delle statistiche. I confini del tempo incrociano i territori delle religioni, e sono molte e diverse quelle che si professano nella regione: cattolica e protestante, musulmana e animista, in modo diverso ciascuna stabilisce norme, precetti, consuetudini. Ma sembra che sia soprattutto l’ autorità delle donne anziane della famiglia a decidere il parto casalingo. Conoscono la paura, che obbliga le gravide ad accettare tabu alimentari all’origine della malnutrizione, e concausa dell’ipertensione fino all’eclampsia. Ne conoscono la sottomissione ad un rigido precetto del digiuno del Ramadan, che le indebolisce mentre lavorano nel mato a raccogliere legna, cercare acqua e raccattare animali sparsi. Camminano sui confini della salute e dell’educazione, incontrando comportamenti diversi e norme differenti, avviando conversazioni, spiegando e provando a convincere a fidarsi maggiormente del centro di salute che delle anziane potenti a casa .Consigliano e infine prescrivono altre norme., di cui si fanno interpreti. Urtano il confine con il muro più alto che dice che “ una donna africana è schiava di suo marito, lei non decide, non sceglie, non ha denaro” Perchè l’assistenza costa, per quanto poco, costa denaro in moneta. Mentre le ostetriche non vengono pagate dallo Stato da mesi e mesi. Senza salario e dovendo comprare cibo alla propria famiglia, come sottrarsi ad inventare qualche vie diretta e certo non così aderente ai confini della legalità amministrativa? Qualche surcharge sul pagamento delle consulte forse? solo un’irruzione da poco. E se c’è un confine che separa e/o unisce la riproduzione dalla sessualità, questo è poco detto, poco nominato il piacere dell’eros. Attraversano i confini al di fuori delle loro stanzette soffocanti, partecipano alle campagne di vaccinazione, girano per quanto possibile senza mezzi di trasporto nelle tabancas – nei villaggi- a parlare, convincere, “sensibilizzare”. Prima di tutto a venire a partorire nei Centri. I centri mancano di quasi tutto il necessario, e lo sanno bene, quando attraversano l’oscurità di un parto notturno, complicato, con una “torcia in bocca per vedere come nasce il bambino, cosa fanno le mie mani, quanto sangue si diffonde” Lo sanno e Matilde, giovane, bella e diplomata da studi superiori oltrepassa i confini della pazienza “ sono stanca, stanca di stare a sentire solo promesse, sempre promesse e di non avere niente di ciò che è necessario per lavorare bene”
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