Oltre lo specchio


di Daniela Pastor

 
il cielo stellato di Torino

 

Quando ero bambina e non riuscivo ad addormentarmi perché avevo paura del buio, la mamma si sedeva sul mio letto e mi invitava ad andare oltre lo specchio. Un’anta dell’armadio era rivestita di una specchiera  e con la fantasia la superavamo, ci facevamo largo fra i vestiti finché la parete si apriva  ed entravamo in un mondo di luce, di verde, di folletti e principi gentili, parlavamo con gli alberi e gli animali, volavamo; e ogni volta aggiungevamo qualche particolare, una stella…
La mamma mi narrava fiabe e romanzi, ma non mi parlò mai di  Alice nel Paese della meraviglie; quando lo scoprii da sola e cominciai a leggerlo mi sentivo a disagio,  non mi piacque, e ancora oggi condivido il giudizio di chi considera la continuazione, Attraverso lo specchio, un racconto horror. – Secondo me  -commentava la mamma- Lewis Carroll non è mai stato oltre lo specchio,  oppure non ha fatto un bel viaggio.
Ma mi rassicurava dicendo che sarei sempre riuscita a riconoscere le compagne di viaggio (dava per scontato fossero donne) , chi cioè fosse andato come noi oltre allo specchio; ci saremmo riconosciute  dallo sguardo  da un gesto, da una frase…Quando Agnese venne proprio qui, all’Università delle donne per presentare il suo ultimo libro, Clarissa, nel giugno 2006, capii subito che era una di noi.: me lo rivelarono gli occhi così vivaci, così giovani, pieni di curiosità e di  stupore, così birichini, mi viene solo da usare questo termine che si associava un tempo ai bambini e che ora non sento e non leggo quasi più:  quello stesso sguardo rimasto vivo e luminoso  nonostante la malattia, che si posò su di me come una tacita intesa quando ci salutammo, al circolo dei lettori a Torino, per la presentazione di Smarrirsi in pensieri lunari ed é l’ultimo ricordo che ho di lei.
E’ uno sguardo di chi è abituato ad andare oltre…oltre le apparenze, le convenzioni, mi verrebbe da dire, con Montale, oltre le coincidenze e gli inganni di chi crede che la realtà sia quella che si vede..
E’ lo sguardo della scienziata, mi dirà chi l’ha più conosciuta  sotto questo aspetto,  di quelle vere, che mantengono la meraviglia dei bambini, insieme alla voglia di indagine  e l’umiltà della studiosa.

Ma per me, che l’ho conosciuta solo per la sua opera letteraria, è uno sguardo che sa trascendere, e che si muove molto bene fra fantascienza e autocoscienza.: sa immaginare visioni e mondi futuri e calarsi negli abissi del sé. Non è certo la prima scienziata a scrivere di fantascienza, ma è personalissima la definizione che ne dà  su Lapis nel giugno 94: Fantascienza come futuro potenziale, come realtà metafisica, già presente nei sogni umani. E se di essa si vuol parlare come luogo di scrittura, potremmo dire che lì vi si trovano come diritto di cittadinanza ogni fantasia, ogni capovolgimento dimensionale, ogni distorsione e assunzione di nuovi confini fisici e psichici, ogni visionarietà …Ossia, nel gioco di una scrittura improbabile si rarefa, si dissolve ogni inibizione  al disvelamento di strati profondissimi dell’essere umano. Agnese crea immagini potenti; penso  agli abiti senza più corpi del primi capitoli di Clarissa,  il cielo bianchissimo con striature rosso, arancio,  sempre più intense, e i bambini blu. Visioni inquietanti, queste, da ultimi giorni del mondo, ma   ci scuotono dentro anche quelle nel suo primo romanzo in cui  si addentra nell’indicibile, per esempio quando parla della maternità e si sente quasi invasa da un alieno, da un altro essere,che senza pietà mi avrebbe svuotata, mi avrebbe succhiata tutta per poter vivere. (p.60) Sembra una scena de l’Invasione degli ultracorpi, il celebre film di Don Siegel.
Eppure penso che l’eroina di Lewis Carroll abbia mosso qualcosa anche in Agnese, non è un caso che il  nome che la protagonista del suo primo romanzo scelga per sé è  Alice e l’Alice del suo ultimo libro lascia quel nome nel corso del romanzo per assumere invece quello di Clarissa.
Ma le due donne di questi romanzi in realtà per me sono l’Anti-Alice di Carroll: pensiamo alla legge che domina  in Attraverso lo specchio. Ricordate? Il fante di picche disse ad Alice: - Il re rosso sta sognando. E lo sai tu che cosa sta sognando?- Certo che no- rispose la bambina- nessuno lo può sapere.- Sta sognando di te. E lo sai tu dove sarai quando il re rosso si sveglierà?—Immagino qui, dove mi trovo adesso- -No, tu non ci sarai, perché tu esisti solo finché il re rosso ti sogna-

E l’Alice di Agnese si ribella proprio a questo vivere nel sogno dell’uomo e nei ruoli che le impone la società dell’uomo: non è una bambina che si aggira fra apparenti meraviglie che si rivelano poi labirinti o incubi, ma è una giovane donna consapevole di dover mettere tutto in discussione, a cominciare dal proprio nome: perché loro- gli uomini inparticolare- ti insegnano i nomi di tutte le cose, …tutte le parole che ti servono per quella vita che vogliono loro; i nomi non sono solo dei segni ma hanno un potere che ti possono mettere in gabbia.(p.30)
E non è neppure un Alice attratta dallo specchio o che voglia attraversarlo, anzi non vi si riconosce Perchè la faccia dello specchio dev’essere quella vera? (p.21),,, Sono solo una che ha la faccia dentro che deve venire fuori-Accidenti, quando mi guardo allo specchio ogni tanto mi dimentico che sto guardando fuori e allora mi arrabbio e guardo dietro di me per vedere se c’è qualcuno e credo che qualcuno voglia farmi degli scherzi.
Io invece sono convinta che Agnese oltre lo specchio, ma non quello di Carroll, ci sia stata; le compagne di viaggio, come vi dicevo, si riconoscono, perché se il percorso è individuale, ci sono tratti comuni, e credo che da quel mondo abbia portato qui il nucleo poetico dei suoi libri: il profondo legame con la Natura, che è come se le donne lo avvertissero in tutta la loro vita, mentre gli uomini lo confinano troppo spesso al tempo perduto dell’infanzia: penso al garzoncello scherzoso di Leopardi, al fanciullino di Pascoli, al rimpianto di Montale per quel gioco di bambino, mai dimenticato, quel diventare un albero rugoso, una pietra levigata di mare, fondersi nei colori dei tramonti; oppure  i poeti pensano sia la favola bella che ieri ti illuse e che oggi mi illude, o Ermione.
Per Agnese questo sentire la natura si fa tutt’uno con la vita intellettuale,sessuale, con la maternità. le dà forza, lucidità, gioia: i suoi sono pensieri lunari, ne Il filo del discorso, (secondo romanzo) propone  un'esistenza immersa in un universo di cui ci si ferma ad ascoltare il respiro;  al compagno dice io sono  il mare  e tu i pesci, io il cielo e le nubi, il cosmo che pulsa e tu un’onda elettromagnetica che lo attraversa,… e ci fa vivere la sua estasi che non ha nientedi mistico, ma qualcosa dell’entusiasmo della scoperta scientifica e della  sensibilità del poeta, quando scrive dentro di me ogni cosa si spezzò e  cominciò a girare e io mi dissi sono una galassia a spirale con infiniti soli, stelle e pianeti…e non esistono solo questo tipo di galassie, ma anche quelle globulari …e che il cielo è proprio come un prato di fiori e lì  i fiori sono le stelle i pianeti e le galassie.(p.31),
Ma è questo nucleo concettuale che permette anche al lettore di non perdersi in quella vertigine di fantascienza e autocoscienza, e attraverso quest’ottica anche quelle immagini o riflessioni più terribili sono inquadrate in un’altra dimensione: il mare rosso arancione, il cielo in cui non scende mai la notte segnano il punto di non ritorno ma preannunciano forse un futuro migliore, perché la terra vuole vivere, i figli vogliono vivere, e quindi la maternità che aveva provocato suggestioni inquietanti diventa poi occasione di riscoperta delle proprie radici, di cambiamento, coraggio di  lasciarsi  alle spalle una scienza che ha portato solo alla distruzione, uomini che vivono di rimpianti e di ripartire cambiando anche il proprio nome, dimenticare Alice per diventare Clarissa, che si affida ai bambini che ha generato, e non importa se siano blu, del colore scomparso dal cielo..
Se in lei c’è la speranza di una Natura che sopravviva alla catastrofe dell’uomo, c’è però anche il sentimento della propria fine, con  un ultimo desiderio- Oh dei, fatemi morire in una notte stellata, che ancora una volta io veda gli spazi…-

Anche mia madre ripeteva spesso che le sarebbe piaciuto morire in una notte di stelle, e se c’è Qualcuno oltre lo specchio, è stata accontentata quando se ne andò in una chiara notte di maggio. Dopo che Lea mi telefonò per informarmi della scomparsa di Agnese, dopo il dolore, è sorta in me una domanda che mi sono tenuta dentro fino ad oggi, in cui posso esprimerla perché ci sono persone che fisicamente erano vicine a lei: …ma quella notte, l’ultima notte di Agnese, su Torino, c’erano le stelle?

 

12- novembre- 2008