Olympe de Gouges prende la parola

di Isabella Mattazzi



Olympe de Gouges
autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina 1791


«Non devo nulla al sapere degli uomini. Io sono la mia opera». Con queste parole, scarne come solo sanno essere le parole delle profezie, Olympe de Gouges, la patriota, la «cittadina democratica» firma in piena Rivoluzione francese il destino della sua vita.
Con queste stesse parole, appena qualche anno prima, la Marchesa di Merteuil, meraviglioso esempio letterario di indipendenza femminile, nelle Relazioni pericolose di Choderlos de Laclos aveva gettato il proprio guanto di sfida al mondo degli uomini.
Nata a Montauban, nel 1748, figlia illegittima di un aristocratico e di una modesta commerciante, Olympe de Gouges assomiglia in tutto e per tutto a un personaggio romanzesco.

Sposata a un uomo che non ama, rimasta vedova a sedici anni con un figlio, è la rappresentazione vivente di quella mescolanza di fascino e intraprendenza – declinazione al femminile di un individualismo borghese che proprio nel Settecento sta gettando le proprie fondamenta identitarie – di cui è piena la letteratura dell’epoca. Giovane, bellissima, nel 1770 parte per Parigi, sceglie di non risposarsi più, ha diversi amanti e decide autonomamente le sorti della propria vita.

Olympe de Gouges però non è Madame de Merteuil. Così come non è Moll Flanders, Roxana o la Marianne di Marivaux. La sua identità non è il risultato del progetto a tavolino di un autore onnisciente, ma è la costruzione faticosa di un’autonomia di parola sottratta palmo a palmo a un mondo, come quello della Francia di fine secolo, governato secondo le regole di un pensiero ancora tutto al maschile.

La sua è una libertà reale, non certo di carta, pagata a un prezzo altissimo. Autrice di tre romanzi, di una cinquantina di opere teatrali, ma soprattutto giornalista, scrittrice instancabile di lettere, pamphlet, appelli che stampa a sue spese e attacca sui muri della capitale,
Olympe de Gouges è infatti, in primo luogo, una donna. Una donna per la natura stessa della sua scrittura, di una scrittura in cui spazio privato e dimensione pubblica, sentimento e sfera sociale costituiscono un unico terreno.

Una donna, per la qualità particolarissima del suo pensiero politico. Sua è la «Dichiarazione dei diritti della Donna e della Cittadina» (1791) che insieme all’articolo di Condorcet «Sull’ammissione delle donne al diritto di cittadinanza» è uno degli esempi più alti di rivendicazione identitaria femminile. Sue sono anche le proposte di una sorta di Welfare settecentesco, con la creazione di ateliers nazionali per i disoccupati, di una struttura articolata di protezione ospedaliera materna e infantile, di un sistema giudiziario che garantisca un sussidio alle vedove e il riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio. Nel giro di una manciata di anni, tra il 1788 e il 1793, Olympe de Gouges prende parola su tutti i temi più importanti del pensiero sociale del tempo, dall’abolizione della pena di morte, all’eliminazione della schiavitù nelle colonie.

La sua voce lucidissima fa da contrappunto, giorno per giorno, all’arco discendente della freccia rivoluzionaria, ribattendo con coraggio alle scelte contraddittorie dell’Assemblea costituente, condannandone gli abusi, denunciando la trasformazione di quegli slanci progettuali che avevano animato gli entusiasmi dell’89 in una violenza estremista senza eguali.

Inevitabile lo scontro con Robespierre, servo sanguinario della Necessità popolare. Inevitabile anche la sua condanna a morte nel 1793, ghigliottinata perché troppo coerente per le logiche giacobine (contraria all’esecuzione di Luigi XVI, favorevole a una scelta referendaria tra repubblica,monarchia e governo federativo perché da sempre convinta del valore democratico della libertà di opinione).

Uccisa, quindi, perché ancora più rivoluzionaria della rivoluzione stessa. Eliminata perché perfettamente in grado, malgrado la «debolezza» del suo sesso, di dare al timbro della propria voce e alla struttura del proprio pensiero la dignità e la forza di «soggetto politico».


Scritti da: Olympe de Gouges “La musa barbara. Scritti politici (1788-1793)”
A cura di Franca Zanelli Quarantini
Medusa Edizioni, gennaio 2009, Pagine 144

 

Risposta al cittadino Robespierre
di Olympe de Gouges

Robespierre, come sei stato edificante!
Ci fai sapere che hai rinunciato al diritto di una giusta vendetta nei confronti dei tuoi accusatori. E altro non chiedi che torni la pace, che gli odi particolari siano dimenticati, che la libertà sia mantenuta. Che fulminea metamorfosi!
Tu, disinteressato; tu, filosofo; tu, amico dei tuoi concittadini, della pace, dell’ordine?
Potrei citare una certa massima, che dice che se un malvagio fa il bene, sta in realtà preparando nuovi grandi mali. Si fa fatica a sopportare la tua improvvisa conversione, il ritornello della tua ambizione sta preparandoci un lugubre concerto.
Se sbaglio, scusami;ma vedi, se io ho il fanatismo dell’amor di patria, tu hai quello di un’ambizione tutta particolare. Puoi aver servito la Rivoluzione, lo ammetto;ma i tuoi eccessi hanno cancellato nei cuori di tutti la riconoscenza...
Consideriamo ora la tua giustificazione.
Ti sei presentato alla tribuna per lavarti dalle molte denunce laboriosamente costruite contro di te. Certo, è bello essere calunniato quando si possono sbaragliare i nemici! Ma come sei lontano, tu, da quel trionfo dell’innocenza che non lascia dubbi sull’accusato!
Ti compiango, Robespierre, e ti aborro. Guarda che differenza tra le nostre due anime! La mia è veramente repubblicana, la tua non lo è mai stata.
Se ho dato l’impressione di votare per la monarchia, è perché avevo la ferma convinzione che quella forma di governo fosse la più adatta allo spirito francese. Potresti tu negare che i miei princìpi siano per questo meno puri? E se, come Mirabeau, ho cercato di conservare la monarchia costituzionale, l’ho fatto per il bene di tutti noi, mentre tu dici di aver cercato di distruggerla solo per amore di te stesso! Calati nel labirinto della tua coscienza, e smentiscimi se osi.
Tu imputi a Louvet il fatto di averti accusato, di avere influenzato i Giacobini, il Consiglio generale della Comune, le Assemblee primarie, l’Assemblea elettorale.
Io invece accuso te, e insieme a me ti accusa tanta gente! [...]
Dimmi, Robespierre: perché alla Convenzione temevi tanto i letterati? Perché ti hanno visto tuonare contro i filosofi, restauratori dei governi e veri sostegni del mondo, cui dobbiamo la distruzione dei tiranni?
Volevi forse istruire i cittadini mediante una Convenzione ignorante, per trasformarla in un’assemblea di bifolchi? O non cercavi piuttosto di dominare su tutti?
Rispondimi, ti scongiuro. Benché i tuoi discorsi siano pieni di sofismi, non si può negare che tu possieda un’invidiabile conoscenza delle rivoluzioni, della vita e dei costumi dei grandi conquistatori; ma, di grazia, non paragonarti mai ai saggi di qualunque paese.
Sai che distanza c’è tra te e Catone?
Quella che sta tra Marat e Mirabeau, tra il moscerino e l’aquila! Tu non sei che la caricatura di un grand’uomo.
[...]Coraggio, Maximilien, tenta la fortuna fino all’ultimo, rovescia sul nascere il governo che ha riunito i costituzionali e i repubblicani.
Ma la santa filosofia ostacolerà i tuoi successi; e malgrado il tuo trionfo del momento e il disordine di questa anarchia, tu non governerai mai sugli uomini illuminati.
Per questo hai puntato gli occhi sul triunvirato. Non hai denaro, dici? Ma hai degli amici che ti hanno già fatto lauti anticipi e che te ne farebbero ancora per dividere con te le massime cariche! Li conosciamo, hanno un sangue colpevole e proscritto.
E quel miserabile Marat, che è appena uscito trionfante dalla sua caverna, coperto dell’ignominia generale e che di nuovo, nei suoi scritti pestilenziali, agita il brando delle furie. Quel miserabile Marat, ripeto, che è il vero pulcinella di questo progetto insensato. Tutti gli tirano le pietre, tutti voi lo rinnegate. Quel moderno Nostradamus si vedrà costretto a marcire nel suo antro sottoterra.
O Maximilien, Maximilien! Proclami la pace a tutti i venti e intanto dichiari guerra al genere umano. (...)

Novembre 1792

Annuncio a chi mi calunnia
di Olympe de Gouges

In fatto di politica, ho soltanto delle nozioni elementari; ma mi sembra che in questo frangente non serva citare Montesquieu o Jean-Jacques Rousseau, né creare nuove leggi: bisogna invece consolidarle, bandire gli abusi e saldare il debito nazionale.
Questa è la materia da trattare, a mio avviso: su questo la Nazione deve prendersi il tempo per deliberare.
Quale cattivo genio vi si oppone? Quale serpente velenoso morde i cuori?
Quale leone ruggente infiamma le menti? Quale demone furioso sta provocando questo fermento generale?
Non c’è più riposo né speranza: prepariamoci a massacrarci l’un l’altro.
Se la mia fievole voce potesse risuonare fino ai piedi del trono, se gli Stati Generali la udissero senza recriminare sul mio sesso, questa mia voce offrirebbe un mezzo semplice e salutare, un mezzo che avevo già proposto a parecchi deputati: cioè quello di sospendere le loro funzioni per un mese o poco più. La tregua darebbe agli animi esaltati il tempo di ritrovare la calma, di far nascere nuove riflessioni in provincia, e di attribuire ai deputati nuovi poteri, più saggi e funzionali.
Se invece gli Stati Generali si sciogliessero, state certi che in un istante l’allarme si diffonderebbe nel regno: tutto sarebbe perduto, e al secolo dell’egoismo seguirebbe il secolo della barbarie.
Non riesco a crederci: la prosperità dei francesi è nelle mani degli Stati Generali, e quelli, se tra breve non si verificherà un ritorno di patriottismo, armeranno con i pugnali le mani dei francesi!
Posate invece gli occhi su questo popolo infelice; tenete conto della costernazione del monarca e dell’avvilimento generale; tremate al pensiero dei mali innumerevoli che quei dissensi possono produrre. I miserabili allo stremo, uniti agli sbandati, attaccheranno alla cieca i tre ordini in tutta la Francia; e in quella spaventosa carneficina, la nazione rimpiangerà – troppo tardi! – di non aver riunito tutti gli interessi per il bene pubblico.
Niente è più facile quanto esaltare gli animi,ma una volta che il fermento è al massimo, è quasi impossibile fermarne gli effetti.
[...] A mio avviso, queste sono delle verità che i saggi approverebbero, e che gli scriteriati non mancheranno di travisare a modo loro. Non mi fermerò a quei vani clamori, ma avendo spinto le mie istanze troppo in alto, devo ora mostrarmi in piena luce. Occorre che mi giustifichi: mi ci costringono, mi ci obbligano.
Chiamo perciò l’intero popolo a testimone. L’opinione pubblica talvolta è frivola, di solito è giusta. È lei che mi incoraggia, il suo suffragio vincerà la calunnia. Degli sconsiderati, per contrastare il pubblico consenso ottenuto dai miei scritti patriottici, spargono ovunque la voce che io abbia avuto degli amanti. Non c’è che dire, una notizia originale; anzi, una notizia decisiva. Dovrò perciò ripetere una volta di più che, rimasta vedova a sedici anni, ho dovuto badare a me stessa e sono stata più esposta di altre?
Dopo tanti ostacoli, mi si è offerta un’onorevole carriera in cui mi sono tuffata con coraggio; ho camminato a lungo sulle spine e adesso, proprio quando potevo cogliere qualche rosa dalle mie modeste produzioni, dei burloni – diciamo meglio –, dei ridicoli individui insistono col dire che io, essendo ancora giovane, farei meglio a occuparmi dei miei vezzi pensando a piacere agli uomini e rinunciando per sempre alla scrittura.
I più balordi assicurano persino che le mie opere non mi appartengono, e che io con stupido orgoglio mi ammanto di piume di struzzo. Dicono che nei miei scritti c’è troppa energia, troppe competenze giuridiche perché siano davvero opera di una donna.
Patetici, ridicoli calunniatori, qualcuno in passato vi avrà pure insegnato a leggere! Da questo vantaggio quale profitto traete, quali conoscenze ricavate, se non sapete neppure riconoscere in ogni riga dei miei scritti il marchio dell’ignoranza? Dell’ignoranza, proprio così, che non è incompatibile con un genio naturale. Infatti, senza un po’ di genio, cosa può mai produrre l’istruzione?
Nient’altro che degli insopportabili sciocchi, dei pappagalli di corte che sparlano e giudicano senza sapere né approfondire.
Con il mio solo genio, ho potuto fare grandi scoperte e proporre buoni provvedimenti: che si possono anche camuffare come opera altrui, ma che, mi auguro, poi verranno seguiti.
Devo difendermi da un’ingiusta calunnia; ma quale uomo onesto oggi ne è esente? Chi non è stato attaccato in questo secolo? Chi non è diffamato di questi tempi?
Torniamo allora ai pericoli in cui vedo la mia patria; niente può fermarmi,mi sono dichiarata in suo favore e lamia scelta è incrollabile.
O francesi!O mia Nazione! Dovrò davvero rimpiangere di essere nata tra voi? No, un simile sentimento non può penetrarmi l’anima. Voglio convincervi e disarmare i miei nemici. E se non sarò io a godere di più fausti giorni, forse in futuro nella mia patria si citerà qualche passo delle mie povere produzioni; e si dirà: cosa avrebbe mai fatto, se fosse stata istruita?
Chi potrà restare indifferente, sapendo che sono stata la prima a occuparmi della sorte deplorevole dei Neri?[...]

Maggio 1789

 

da il Manifesto del 25 gennaio 2009

 

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