Le parole di Gramellini per me sono state come sale su una ferita. O,
meglio, mi ha di nuovo messa di fronte a un interrogativo che non smette
di martellarmi nella testa: come ci vengono restituite, oggi, la riflessione
e la critica femminista alla società degli anni '70 ?
Sono turbata da molto tempo da ciò che vedo in TV o sui giornali.
Siamo lontane anni luce da quando gruppi di donne a Torino, di notte,
attaccavano striscioni con la scritta "Questa pubblicità offende
le donne" su manifesti che dicevano qualcosa del tipo : Le moto e
le donne sono uguali
Il fatto è che, se chiudo gli occhi e mi rappresento virtualmente
le donne d'oggi, mi appare un universo così variegato e così
diverso da allora da farmi dubitare che si possa trovare un orizzonte
comune rispetto a cui tutte ci si possa riconoscere.
La maggior parte delle donne, nei paesi occidentali, sono ormai scolarizzate,
consapevoli dei loro diritti, delle loro capacità intellettuali,
combattive come gli uomini nel mondo del lavoro; le donne, poi, sono lucidamente
consce del potere del loro corpo e, allora, lo curono, lo esibiscono,
se lo giocano per eventualmente raggiungere il successo sul piano del
lavoro o sul piano personale. E' il mito del successo che le ha conquistate,
come garante di una felicità che le nostre madri e nonne non hanno
conosciuto. E mi vengono in mente le giornaliste, quelle famose, le inviate
di guerra o quelle che irridono alle afgane "minchione" che
si sono lasciate imporre il burqua; mi vengono in mente le donne soldato
o le donne della politica importanti, quali Condoleeza Rice, divenuta
responsabile della sicurezza nazionale della prima potenza mondiale: gli
USA.
Se giro, di contro, appena la testa ecco venirmi incontro il fiume di
donne emigranti.
Ci sono le tante prostitute che occupano gli angoli delle strade delle
nostre città, bionde brune ma soprattutto giovani. E se molte sono
lì perché violentate e sfruttate, molte scelgono di fare
quel mestiere, come ci dice Carla Corso, presidente della associazione
delle prostitute, che rivendica il diritto di vendere il proprio corpo,
ma in sicurezza. E, a casa dei clienti delle prostitute, ci sono le mogli
o compagne che forse sanno ma fingono di non sapere e tollerano.
Ci sono poi le donne emigranti che arrivano in Italia e hanno come obiettivo
di sposarsi un maschio italiano, disposte a offrirgli ciò che le
donne italiane emancipate gli negano: non sono tanto i piatti lavati o
il governo della casa ma quella soggezione psicologica, quel riconoscimento
acritico di superiorità che tanto riscalda il cuore degli uomini.
E li fa funzionare sessualmente. Già. E sembra, poi, che, loro,
le donne emigranti non abbiano problemi di fecondità, non devono
ricorrere alla fecondazione assistita! Fanno figli facilmente e ristabiliscono,
nel privato, quell'universo femminile che noi, le donne emancipate anche
se non femministe, abbiamo contribuito a smantellare.
Ci sono poi le donne emigranti che rivendicano il chador e tu le vedi
in piazza - accadde a Torino mesi fa - e ti chiedi se sei con o contro
di loro.
E lontano ci sono le altre, le donne nascoste dal burqua o quelle che
rischiano la lapidazione o le donne terroriste o
E poi ci siamo noi, le donne -femministe o ex femministe o che? - che
leggono e scrivono su Il paese delle donne e vanno alle manifestazioni
o agli incontri delle Case delle donne delle tante città italiane.
E ci occupiamo delle donne afgane oppure delle donne palestinesi oppure
delle donne dell'Ecuador o delle tibetane o
e tutto questo ci appaga
perché, in questi contesti, è facile individuare l'oppresso
e l'oppressore.
E noi, le femministe, siamo con loro, con gli oppressi. E fa bene al cuore
fare del bene, lo conosco anch'io quel sentimento, al rientro a casa dalle
mie lezioni d'italiano, gratuite, alle extracomunitarie. Il fatto è
che questo fare ci permette di rimuovere qualcosa che non sappiamo affrontare:
è la smagliatura dei rapporti tra noi donne dei paesi industrializzati
in cui ciascuna va alla ricerca di soluzioni individuali ai propri problemi,
o al raggiungimento dei propri desideri, dei propri obiettivi. Ognuna
per sé. E, intanto, qualcuno erode le conquiste degli anni '70
o azzerra di fatto un cammino, riproponendoci corpi consenzienti, indistinguibili
l'uno dall'altro, di cui l'occhio maschile valuta la consistenza dei glutei
o la generosità del seno; corpi indossanti, come vestito, quel
filo interdentale, di cui scrive Gramellini.
Se dicessi che tutti quei corpi, spogliati, esibiti volontariamente per
il piacere degli occhi maschili mi offendono e mi danneggiano, perché
tolgono credibilità alla mia esigenza che un uomo mi parli guardandomi
negli occhi, sarei tacciata d'essere una bacchettona o una vetero femminista
che odia gli uomini. Se dicessi che tutte quelle donne, arrivate, che
profumano e si vestono come suggerisce Cosmopolitan, sono donne dimezzate
sarai accusata di provare sentimenti d'invidia o peggio.
Così annaspo. Non posso vivere il mio essere donna e il mio essere
stata ed essere femminista in una logica di noi e loro: noi che abbiamo
capito tutto, noi avanguardie intellettuali che abbiamo aperto o che oggi
indichiamo un percorso - quale? - aspettandoci che un giorno loro ci seguano
e loro, le assimilate al mondo o ai desideri maschili. Non mi tranquillizza
ritrovare un'eco ai miei pensieri nelle parole del Il paese delle donne
o in un ambiente protetto: alla Casa delle donne della mia città.
Vorrei svegliarmi, un mattino, con un'idea che invogli tutte le donne
- noi e loro - a guardarsi l'un l'altra, a riinterrogarsi sui propri percorsi
e a progettare insieme un mondo che includa anche qualcosa che autenticamente
ci corrisponda.
Nel libro-diario Taci, anzi parla, Carla Lonzi l'11 settembre 1974 scriveva
"
io lavorerei molto serenamente in una aprtheid femminile -
il che non significa escludere i maschi ma che siano loro una buona volta
a presentarsi come postulanti di qualcosa che gli corrisponde e che magari
non esiste nella loro cultura..." Sono passati quasi trent'anni da
allora. Non mi risulta che alcun maschio abbia bussato come postulante
alla nostra porta ma abbiamo manager-donna, soldato-donne, politici-donne,
medici-donne
oltre alle solite mogli o tutte le altre donne che
rallegrano il cuore degli uomini. E quando scrivo manager-donna, soldato-donna
ecc. voglio sottolineare, usando il genere maschile degli appellativi,
l'adesione a modi e regole dettate dal mondo maschile.
Le tante parole che abbiamo scritto sul tema della sessualità non
hanno convinto l'uomo a fare a meno dei rapporti mercenari in cui si gioca
un piacere consumato da uno, non condiviso in una relazione. E rispetto
alla auspicata maternità responsabile, siamo spettatrici di eventi
che da una parte mostrano donne nevroticamente disponibili a qualsiasi
sperimentazione per avere un figlio e dall'altra una scienza che si prepara
a fare a meno di noi.
E' inevitabile il processo di assimilazione del debole da parte del più
forte? O, quanto tempo, ci vorrà prima che la società ci
veda protagoniste a tutto tondo? Ma, forse, quando ciò accadrà,
la nostra metamorfosi sarà completata e non ci saranno più
conflitti tra i due sessi.
Torino 6/02/2002
|