Un mito di fondazione

di Donatella Bassanesi


Carpaccio

Le origini della città qui si allacciano a un probabile rapimento di vergini avvenuto alla fondazione della città romana di Colonia, ma si tratta più generalmente delle città d'Europa. Si evidenziano donne. In particolare Orsola, santa inventata, figura ritrovata.
Nel ciclo della leggenda Carpaccio collega Orsola alla nutrice. Ne fa un albero della vita, e un aquilone alzato e sbattuto dal vento.


Orsola
Con Orsola, Carpaccio ci rende una imago: perché pittura, ri-presentazione, destinata a corrompersi: corruptio dicitur etiam imago completa vel pictura (I.Torriano), e perché vive nei racconti, nelle fantasie che continuamente ri-generano la leggenda.
Allude alla presenza, è perciò dotata di forza magica, cattura, porta al presente, è porta del presente, è rap-presentazione e ri-presentazione in concreta presenza, di una reminiscenza, di un ritrovamento, di un'impronta, si riferisce alla genesi, è farsi origine, nel presente (nel dis-correre del tempo, che intreccia memorie e immaginato futuro). È assenza, che attira ed è attirata da un desiderio che comprende possibilità e impossibilità, limitato e illimitato, visibile e invisibile. È lotta tra assenza e presenza, perciò è articolazione (articulus è parte) che attraversa spazio e tempo, in essa c'è la differenza che contiene il non-presente, il non-conscio, la fenditura-traccia che scende profondamente ed è rottura nella successione. Imago dunque elaborata al di là del conscio, e insieme dalla volontà di dare ordine, un'interpretazione, una figura. Imago prodotta dalla capacità di ascolto (ob-udienza, obbedienza). Ascolto al quale non si può semplicemente sottostare: in una relazione tra l'alto e il basso, che contiene dunque come sua parte necessaria la tras-gressione (da grado, camminare), l'andare attraversando, muovendosi tra sinistra e destra: perciò invenzione, ritrovamento nel profondo e insieme ricostruzione-ricreazione della memoria che interpreta ciò che l'oblio ha custodito - oblio-custode che nascondendo rende il presente, oblio-angelo, angelo (en-genos) nascosto nella terra (en-ge), dove sono le generazioni e la possibilità di generare della terra-custode di una promessa, la terra-promessa.

Orsola messa in questione dalla morte, incombente eppure indeterminata, è nella condizione, e perciò nel timore e nell'emozione di poter divenire (un segno nel quale coincide il finire e l'iniziare, specularità di nascita e morte: del de-cidersi che è nascere, del de-cedere che è morire): divenire che è il tempo, cioè differenza dallo stesso, è l'altro nello stesso, che è finito-infinito, lo spezzarsi del finito che contiene innumerevoli possibilità e il vuoto (il niente) che le accompagna le fa av-venire.
Tesa, in cima alla scala dai cinque gradini che porta alla sua camera (scala che sta tra terra e cielo, e scala che è l'insieme di cinque membra di cui il nous è il capo), dipana gli argomenti: e-ducata ad essere prudente principessa, pone le condizioni perché il suo popolo sia salvo: si accorderà con gli ambasciatori, libererà dalla minaccia di sterminio, e si allenerà (mettendo insieme una "militia" che si muoverà "modus belli": per mare, dove "modo currunt", "modo discurrunt", e dove "bella plerunque fuga simulant").
Ma è anche sul punto di essere risucchiata da un movimento a spirale verso l'alto che il mantello forma col baldacchino rosso del letto. Trattenuta sulla terra dalla nutrice e dalla sua forza concentrata. Trattenuta dalla scala su cui è salita: un filo che unisce le due donne nel movimento di allontanamento e di ritorno, filo di Arianna (guida che conduce nei labirinti della notte e della creazione, che schiarisce l'aria: ari-dela, e Aridela è il nome più antico di Arianna, filo della luna, filo di luce che segna il viaggio ed è barca nel viaggio della conoscenza): un movimento non a senso unico, per il quale tra separazione e congiunzione si raccoglie il molteplice nel quale c'è bene e male, raccolto che è frutto della conoscenza di bene e di male ed è frutto di dis-ob-udienza: andare, spezzare il cerchio dell'ouroboros e entrare nel tempo (tempo lacerato e tempo lacerazione, vuoto che è lacerazione, silenzio).
È dalla nutrice che Orsola impara la necessità di entrare nella vita tagliando nella propria carne, strapparsi dal circolo dell'ouroboros che è il corpo accogliente della madre, la necessità di rinunciare al suo nutrimento per farsi nutrimento, di cogliere il frutto proibito dell'albero che sta al centro del giardino e dà la conoscenza del bene del male (è il pharmakon del serpente, la medicina-veleno), che è infinita molteplicità della vita (che è tempo e movimento-anima) e il suo co-ordinarsi.
Orsola desidera percorrere il deserto. Tende l'orecchio al messaggio di passione dell'angelo nunzio, che annunzia il principio, il principe, l'iniziare che è latenza dell'anima, latenza dell'opera, vuoto che si apre al divenire, al deserto abitato dagli spiriti che sono i signori del deserto, all'amore che si svuota di sé nel ritrovarsi. A questa passione si inginocchia come per una investitura, anche quando la conduce a morte, morte per tutto il corso del racconto rimandata ma non sfuggita: martirio, rito sacrificale, desiderio di trapasso, di superamento verso un altrove. Nell'intensità (infinità e molteplicità) della vita che transita dall'uno all'altro, in quel movimento (che è momento e vento) Orsola si avvia a scomparire, e la vediamo infine stesa sopra un catafalco (che è come un letto dalla coperta rossa), mossa dal corteo che l'accompagna.


un particolare di Orsola


La nutrice

La nutrice assiste al colloquio di Orsola con il padre."Non è soltanto la serva di casa in un qualsiasi interno" (V.Moschini), posta al di qua della balaustra che limita il palco, tra il palcoscenico e gli spettatori, sta nella posizione del testimone antico, seduta in basso sui gradini della scala di accesso al palco (che è anche scala che conduce alla camera di Orsola), attende i tempi - i fini, che sono "non solamente difficili ma impossibili da prevedere" (Philone).
La scala è oscurata dall'ombra della porta che si allunga sul bianco dei gradini che sono luce-oscurità, giorno-notte, natura dei contrari che comportano il divenire - per quell'ombra, che è ritorno a sé, al sensibile, al formarsi delle cose, l'anima (che soffre l'indeterminatezza, non sopporta di trovarsi a lungo nel non essere) torna sempre, sorpresa, confusa, sconcertata, allevia-alleva il peso del res-pondere, il peso della cosa, del dato: è il cammino notturno del Sole, che conduce, che mostra il suo mistero profondo, simbolo di morte e di esistenza silenziosa delle anime.
La scala lega la nutrice seduta in basso (la terra) a Orsola e al re che stanno in alto (sovranità del potere e, anche, spirito ardente che aspira a sciogliersi dal corpo). È una scala, i cui gradini sembrano produrre un movimento zigzagante di luci-ombre che salgono e scendono, rimbalzano sul corpo della nutrice-pietra e ombra-luce, e si direbbero un lampo, il processo che separa la luce del freddo, pesante, notturno impero di Saturno dalla calda luce del Sole (Paracelso). Visione dell'entrata nel tempo di un avvenimento metafisico, a cui corrisponde lo svuotarsi della materia: il triangolo bianco formato dalla testa e dalla mantellina della nutrice, puntato verso l'alto, oltre la scala anch'essa un triangolo (segmentato da luci e da ombre) è diventato un vuoto bianco, lo sfondo tra le figure, ed è pura geometria, spaziatura, è figura-non-figura, è punta di una freccia che indica e separa padre, figlia, nutrice: su questo sfondo bianco Orsola dipana i suoi argomenti.

La nutrice attende. Avvolta su di sé in un coincidere del più interno e del più esterno, domande che condividano con lei la responsabilità del ri-cordare, del ritornare al cuore, e dell'inoltrarsi nelle misteriose terre dell'oblio (che è eterno come eterno è l'istante in cui la memoria si stacca dall'oblio - oblio: in(te)rruzione e dis-continuità del tempo, contra-dizione: illuminante, produce energia). Attira (trattiene) l'attenzione (la tensione verso la domanda, l'attesa) che è presentimento di un riflesso che ritorna. Nutre il segreto che passa lungo la linea dell'interrogazione, della domanda che non si rassegna al non detto, accogliente apre l'intimità e la possibilità di essere altro, è l'altro che domanda. Come testimone, è libera dai fatti, non entra in scena, spazia il tempo, rende all'istante l'infinità del tempo, è assente (perché solo il racconto è reale e sono i personaggi ad essere incaricati di narrare).
Più grande di ogni altro personaggio, autrice del racconto, è rilevante, la sua autorità misteriosa deriva dalla sua forza creatrice, e in lei si trova un'aura di antiveggenza (L.Zorzi). Perché narratrice è discesa in fondo alla scala (dove cadono le creature, ciò che creandosi si fonde, af-fondando fonda): ascolta, raccoglie, attinge al profondo oblio e all'illimitato inventare, perpetua la leggenda (come una madre che si rivolge al figlio che desidera ascoltare parole di verità), cura il formarsi di immagini che sono pre-avvenute, si cura di fantasmi, spostata all'esterno segna la distanza in-de-finita del racconto, esce dall'ombra e illumina l'evento, indica la prossimità tra il creare e l'informe nulla, la dissoluzione, il tempo vuoto dell'errare, è anima (un vento) del racconto e muove il paesaggio, veglia e la sua luce brilla in permanenza segnando un passo passaggio-non-passaggio, il tra-passo, passo al di là della vita: essenza della morte, trasgressione e linea di confine che determina ogni ritorno: forma attiva della materia che sempre si muta, contiene i germi di vita perpetua e infinita.
Narratrice visionaria della leggenda di Orsola e insieme della visione di lei, svolge e riavvolge il filo in una colloquiale familiarità: passato e futuro intrecciati nello stesso filo che è il presente. Lei lascia andare il fluire del racconto (e della vita), mescolanza di etereo-visionario e corporeo, e rende la rappresentazione d'amore, sacra e profana. Così montano le parole, salgono nel cielo attraverso l'aria che si stende in tutte le direzioni dall'estremo della Terra fino alla sfera della Luna, spingono l'anima verso l'alto (dove soggiornano anime senza corpi, demoni, angeli), e scendono come fossero portate da un fiume che "può irrigare la terra o introdurre confusione e disordine con l'inondazione" (Philone).

La nutrice è vestita di nero, il colore della materia inanimata, ombra, luce affondata nell'oscurità (nero non-colore che ha in sé il bianco), prossimità delle forze oscure della natura - "la profondità di ciascun corpo è la materia: per questa ragione tutta la materia è scura" e "di ogni colore invisibile" (Plotino).
Ha una cuffia bianca che le chiude il volto teso e affaticato, in cui traspaiono le ossa ma che è attraversato da una energia intensa (che è elettra: luce, venire alla luce dall'oscurità). Porta sulle spalle una mantellina anch'essa bianca (il nero è diventato luminoso, l'informe ha preso forma, la radice è diventata fiore bianco, la mandragora di Apuleio, da cui emana il profumo che guarisce, che nelle notti di primavera diventa luminosa per le lucciole che si posano: "nocte tamquam lucerna sic lucet caput eius").
La mantellina è aperta davanti in due semicerchi, le due parti della Luna.
Sfera della Luna e rotazione inarrestabile della Luna, rappresentazione della totalità, movimenti dell'anima che ininterrottamente mescolano spirito e corpo, non ne vogliono la separazione, perché l'anima dimora nel fuoco del cuore ed è "composta di sé, e d'altro, d'invisibile e di visibile", "si muove di sé in sé", di moto "circulare e continuo", da "sua natura intellettuale, in sua natura corporea, tornando di poi in quella sempre circularmente" (Leone ebreo).
Della Luna, errans, incerta, fugax, senescens, gubernatrix tenebrarum, dividua, sapientissima fanciulla (pansophos koure degli orfici), fons matris, venter et uterus naturae (Dorneus), la nutrice non ha l'aspetto di gelida caccciatrice che strazia i corpi con i suoi cani, il ghigno cinico che è il cane (kynis) che si morde la coda e che rovescia il processo alchemico (l'oro è merda, le perle sono per i porci). Proprio perché nutrice, rappresenta la Luna che accoglie le anime dei trapassati, genera l'argento, è planta, dalla sua sfera proviene il crescere: physikon (Macrobio), rimette insieme i pezzi del drago smembrato e lo fa tornare a vivere (Alberto Magno), è signora di ogni nascita, intermediaria tra la luce del Sole e l'oscurità della terra, trasferisce nella terra la luce del Sole, armonizza mescolando il fuoco del Sole all'acqua (che è della sua natura ed è principio generatore di vita), rende l'anima ai corpi (l'anima vivifica i corpi ed è a sua volta vivificata dallo spirito), conosce il filtro di amore il ligamentum, è il divenire cosciente che raccoglie bene e male: perché le sorgenti sono limpide e torbide insieme.

Anima a cui si appartiene e che tuttavia non avvolge, ac-compagna, (si) trans-forma, è il gesto (ha un'eco, ritorna), ricerca la verità: un vuoto che dis-corre (veritas è quasi divinus discursus, I.Torriano), trascina con sé, uni-fica il dif-ferente, trattiene il molteplice (il bene e il male) - perché la verità, essendo contrapposta a illusione è il presente (esistente) contrapposto al passato-futuro (alle immagini e all'immaginazione), ma l'esistente si trans-forma per il concorso delle immagini e dell'immaginario (cioè delle illusioni) che permettono tra-passo: così la verità comprende l'illusione e l'illusione comprende la verità, come il presente (l'esistente) comprende il passato-futuro e il passato-futuro comprende il presente: contrappasso che mai trova quiete, partecipa del movimento che anima (è anima) delle creature, ed è ricerca della verità (ricerca della verità che è la verità).
Anima che si fa, si produce venendo alla luce (nascita, il manifestarsi della luce nelle tenebre). Arte prima cioè opus termine primo e ultimo (inizio e fine, insieme, muovono la realtà, permettono di vedere in trasparenza, rispecchiano le condizioni dell'anima e sono cura dell'anima). Archetipo della vita, in rapporto con l'incoscio e personificazione dell'inconscio, mai semplicemente sviluppo di una soggettività individuale, è movimento: in lei tutto si muove e muta perché è motore primo ed è opera del fare anima procedendo, crea ricettacoli in ogni luogo in qualunque luogo, per il fatto stesso di entrarvi, è ricerca del nutrimento e farsi nutrimento (del corpo con lo spirito e dello spirito col corpo). È quel quid che inconsapevolmente siamo, l'ombra e la sua funzione compensatrice nei riguardi della coscienza, che riposa nella possibilità che si estragga l'incorporeo dal corporeo e il corporeo dall'incorporeo.
Anima raccolta in se stessa, collegata all'aspetto notturno, occulto e angoscioso, alla base della coscienza, sacerdotessa oracolare, affronta dentro di sé gli enigmi della vita, penetra i segreti della parte tenebrosa, il caos, l'inquieto, sente (i sensi guardiani dell'anima - l'anima è impressionata dalle tracce del corpo): le forze distruttrici si convertono in forze risanatrici, in medicina, in una luce, un segnale, una scintilla, una potente esplosione, per la quale la materia prende nuova forma: così per naturam appaiono le cose nascoste e diventano vera, verissima visione (M.Sendivogius). Non è corporale (ma corpus è quasi ligamen anime, I Torriano) e non è spirituale, è "legatrice della parte superiore con l'inferiore" (la parte inferiore il ventre, la superiore la testa), si muove da una nell'altra continuamente (Leone ebreo), è "soggetta al divenire e alla corruzione", si dissolve come i cadaveri nella terra: così "rimane solo la sostanza dell'anima che in qualche misura conserva in sé vestigia e sogni di vita" (Plutarco), posta tra essere e non-essere sta tra vita e morte e perciò raccoglie l'una e l'altra, pone l'una nell'altra, e occupa una posizione mediana tra bene e male (Dorneus).
Anima che è molte cose, anzi tutte, le superiori e le inferiori, comprende tutta la vita, e il suo moto invisibile non ha luogo nel tempo genera il tempo (Plotino). È il luogo della nascita di Dio (Dio che nasce ripetutamente e ripetutamente svanisce), vi giace nascosto il tesoro del Regno di Dio (Eckhart). È sempre anima mundi (Paracelso).

La nutrice, che si è ritirata "in mezzo alla testa, ove è la cogitatione", concentrazione, girare e rigirare dei pensieri che accompagnano la stringente solitudine, limite estremo della mente che conserva gli opposti ma non più in attesa di giudizio, illuminazione dell'intelligenza rivolta all'interno e "al centro del cuore dove è il desiderio: lasciando gli occhi senza vita, le orecchie senz'udito"; "quando la mente si raccoglie dentro, et a se madesima, per contemplare con somma efficacia, et unione, una cosa amata, fugge dalle parti esteriori, e abbandonando i sensi e i movimenti si ritira", allora l'anima entra in "amorosa meditazione che è più di mezza morte", ed è "cuore di nostro cuore, et anima de nostra anima" (Leone ebreo), appartiene alla spirale (il cui centro si sposta continuamente, impercettibilmente), e alla circolarità (circumdo è sub cingo, c'è l'idea di qualcosa che sta sotto, e circumdente è resonante, I.Torriano): sono i corpi (i quattro elementi) che non sopportano la stabilità, si mutano l'uno nell'altro, trasmettono in circolo la generazione.

Le mani chiuse una nell'altra sono una coppa, la tazza del vasaio; stanno nel grembo, conservano, raccolgono, entrano nella parte d'ombra, sono quelle di un demone. Sono posate nell'oscurità aggirante dell'ouroboros (il serpente che si morde la coda, simbolo ctonio dell'anima che viene dalla terra e ritorna alla terra, simbolo dell'opera di trasformazione, rappresenta l'Agathodémon, un'interminabile volgersi circolare in mezzo a visioni, voci). Accarezzano la materia. Compiono un lavoro: trattengono, tratteggiano un disegno, che la destra con l'indice lievemente alzato è sul punto di tracciare portando in avanti il bastone che la sinistra trattiene: bastone del pellegrino, del mendicante, sostegno per camminare, asse di equilibrio della sinistra e della destra che presuppone il passo che sta per compiersi: il passo di Orsola verso il pellegrinaggio, e il passo della città salvata che rinasce.
L'arco delle braccia si chiude con le mani appoggiate alle ginocchia: è un gesto rotondo e rassicurante - i due semicerchi spezzati dal nero del vestito sotto la mantellina bianca indicano la circulatio: ascensus e discensus della ruota prediletta dagli alchimisti che disegna la circonferenza (rota è revolutio, I. Torriano), natura che abbraccia se stessa, infonde vita agli elementi, è il circolo magico che trattiene in sé i paradossi che si trasformano in illuminazione, è la circolarità del movimento degli astri "che è il movimento più strettamente affine all'intelletto" (Philone), ed è il mondo-giardino (eletto a simbolo dai Compagni della Calza della Confraternita della Scuola di S.Orsola).


Orsola e la nutrice
Guardiana della porta, la nutrice non chiude l'accesso (al palco del teatro sul quale c'e la camera di Orsola) ma neppure invita a entrarvi, custodisce il confine che separa: in questa separazione c'è il confine tra flusso della vita e spazio della rappresentazione, e confine tra spazio teatrale mosso da attori e puro spazio.
Sopra, in cima alla scala, Orsola è a colloquio col padre: "un 'a parte', dislocato in un suo autonomo spazio-tempo, diverso da quello dell'episodio principale" che è la cerimonia diplomatica (L.Zorzi). Orsola, entrata nella narrazione di lato, staccata perciò, ma anche da subito partecipe-artefice della sua vicenda, attenta "alle necessità e a' tempi con ragione e prudenza" (Alberti), è in un meditato colloquio con il destino (che è fatum: mors decens, I.Torriano).
Ha un mantello rosso (spirito ardente), ed è vestita di azzurro - intervallo azzurro, dal nero della melanconia al bianco, come la tristezza che dalla disperazione passa all'andare e venire della riflessione in un ritirarsi verticale che assomiglia a uno svuotamento, a un ascolto in profondità, al soppesare, considerare, meditare; colore dell'immaginazione, e dell'immaginare in modo nuovo il pensiero stesso, del vedere in trasparenza; paragonato al suono di uno strumento musicale è quello del flauto (via via che scurisce diventa violoncello, contrabbasso, infine organo).
I venti e le luci, tensioni nello spazio, spalancano. C'è vento di mare che muove uno stendardo e la bandiera di una nave in fondo. Ma le notizie sospinte a terra sembrano sospese nell'aria e arrivano blandamente. Poi i passi dell'ambasciatore e del suo seguito si fanno ritmo serrato verso il re e la sua corte che sta 'con le spalle al muro' e disegna ombre impietrite dall'enormità della richiesta - un re barbaro chiede per il figlio in sposa la cristianissima Orsola?
Allora il vento, nel rivolgersi verso Orsola (separata, nella sua stanza) si fa turbine, incombe dalla grata in alto, è un'ombra scura, mentre la luce, cambiata, viene dall'alto. Il sole dipinto nel soffitto della sala del trono, non luce ma immagine dipinta, adesso brilla intenso da questa parte, batte sulla scala, illumina l'abito azzurro di Orsola, risale nel vortice del mantello rosso e verso la punta del baldacchino del letto. Ciò che era fermo si è animato da un movimento di ombre e di luci, il reale assume l'aspetto di traccia di cose entrate nell'invisibile. Orsola, investita in pieno, avvolta e trascinata in alto, attratta verso l'alto nel triangolo del baldacchino è sul punto di volare, ed è avvolta dal mantello come da una bandiera che la ricopre, scoprendo, contemporaneamente nella parete in fondo un'icona, una Madonna greca: è come se l'anima si fosse afferrata troppo affettuosamente col desiderato e contemplato oggetto: essa "potria prestamente lasciare il corpo esaminato del tutto" e "la mente volaria" (Leone ebreo).

È la nutrice (che è terra, dove si forma la quintessenza, il mistero della vita che tiene uniti anima e corpo) a condurre Orsola verso i sensi clarificati a comprendere la singolare dinamica corpo-anima che compone il molteplice. In lei si forma, e da lei si alza, il corpo teso di Orsola.
Così l'anima, che afferrata e inghiottita dall'impeto di un violentissimo vortice era risalita, per desiderio di migrare come gli uccelli, ora può ridiscendere nel corpo come in un fiume, il desiderio liquefatto diventato calamita (Philone).
La nutrice, della planta (della luna) radix ipsius, 'fissa' la testa di Orsola, che altrimenti volerebbe trascinata dal rosso del baldacchino, al quadro scuro che sta nella stanza e che perfettamente la inquadra rendendola centro (luogo della trasformazione) - quaternarietà, spazio quadrato, la quarta persona che è grembo materno, oscuro e temuto e perciò ambivalente, e che può trascinare tutto con sé, è figura geometrica connessa all'aequilibrium dei latini; incrocio dei venti e dei punti cardinali e perciò unità, figura mundi immagine dei quattro orizzonti (spazio proprio dei giardini di amore), essenza estratta dal mondo fisico (e dunque rappresenta l' anima mundi), ed è rappresentazione del Sè.
La nutrice conosce la frase medèn àgan, ne quid nimis, nulla di troppo, conduce nutrendo l'albero-Orsola (sotteso è l'artista-nutrice che nutre l'albero-opera di un materiale nel quale è custodito un mondo creativo, visionario e trasformatore).

Una e altra, una è altra. Formano una verticale:vette-abissi, ancestrale, il salire e lo scendere lungo la scala, le infinite metamorfosi che sono il tempo.
Insieme rappresentano la pianta che muore e rinasce, che esiste da prima e esisterà dopo. E, anche, la torre scossa dal lampo: le dita di Orsola come schegge e faville e segno di una ferita che ha separato, l'uguale reso differente (dalla ferita che libera la coscienza, la rende consapevole), che ha collegato lingue oscure, silenzi.
Una sopra l'altra non si guardano ma sono ri-presentazione una dell'altra, della relazione-distanza con l'altra - una cerca l'altra e tuttavia una si separa dall'altra per diventare altra, perché la vita sia infinitamente in-quieta, ris-vegliata da ciò che è altro (altro, possibilità per eccellenza, che mette in questione l'uno, rende l'uno al tempo, al differire, rende ar-rende l'uno all'altro), svuotata a ragione dell'altra, in una metamorfosi che è il segno della creatura, del creare.
Seguono e sono linea di separazione tra l'una e l'altra, ognuna porta in sé la ferita che conduce fino all'oblio, abissale, indefinibile, inconcepibile, che purifica. Separate nel riflesso (nell'eco, di corpi ognuno dei quali è accompagnato da un vuoto) hanno aperto un vuoto come misura (del comprendere e nel quale si è comprese), e come percorso (quantità eguale e ineguale dell' allontanamento che è mancanza, e del ritorno che è differenza e diventare differente). Nell'aprirsi hanno com-preso il legame (la re-ligio) che sta nella parola altra, che non rientra in un unico ordine, e hanno conosciute le infinite variazioni della materia, la sua potenza che origina ogni forza.
Una testimone dell'altra e delle possibilità dell'altra, cercano la misura della distanza. Vogliono essere due come principio di molteplicità, spostamento verso il divenire coscienti, l'immagine fantastica di una meta e di una totalità che non si raggiunge ma si manifesta in ciascun evento. Una distante dall'altra, si distanziano da sé, visione di sé differente (è Maria Prophetissa a fondare, attraverso la sua teoria dei numeri, tra di loro interagenti e tutti derivati dall'uno, come gli elementi siano la dimostrazione delle infinite possibili separazioni della materia, perché lo spirito è nella materia).


Una danza
Orsola e la nutrice rappresentano, com-portano la figura ancestrale di Demetra-Persephone.
Demetra, che regna sulla terra, è la madre che separa da sé il nascente, e, anche, nella morte, "separa l'anima dal corpo rapidamente, con violenza" (Plutarco). È madre e deriva dalla madre: Demetra appartiene a un coro, la danza condotta dal filo di Arianna.
Prossima a Demetra c'è Persephone che separa "l'intelletto dall'anima dolcemente e in un arco lungo di tempo" (Plutarco), e regna nelle profondità della terra. Si riferisce all'oblio e alle sue virtù conservatrici da cui si formano le memorie.
Demetra e Persephone, madre e figlia, separate, eppure "esse si cercano e nell'ombra spesso si abbracciano" (Plutarco), una l'ombra dell'altra si com-prendono.
Nel mito Demetra, la madre, non vuole che la figlia Persephone si allontani, è offesa dal rapimento della figlia da parte del dio della morte, e perciò condanna la terra all'inverno, che è morte per la terra, si condanna perciò, perchè è essa stessa terra, a morte. Così Persephone entra in Ades (Ades, che è a-ides luogo occulto e senza luce ed è a-idea senza forma, è il molteplice multiforme, proteico, instancabile mondo di Dioniso, Ades e Dioniso che sono in Eraclito la stessa divinità: la congiunzione vita-morte equivale all'identità profonda). Si allontana dalla madre e tuttavia entra profondamente nella terra che le è madre, dove c'è morte e le sorgenti della vita: terra nutrice-matrice, simbolo di ciò che è prima che il mondo sia, grande dea mediterranea che è demone dai molti nomi, collegata all'aspetto notturno occulto angoscioso, caverna e cavità segreta, custodisce nel suo grembo). Diventa regina (un evento congiunto di nozze e morte, ricchezza della terra e che proviene dalla terra). Appartiene al non-essere. E perché risorgente, appartiene al divenire. Risale, perché Demetra nella sua ira ha reso sterile la terra e di ciò sono turbati gli dei dell'Olimpo, che hanno bisogno dei viventi e di Demetra che dà la vita.

Così Persephone che esce dall'oscurità e torna, periodicamente, sopra la terra, nel suo movimento di andata-ritorno attira la madre (da cui deriva) in una danza che è inscritta nella frase demetra persephone, de-meter-peri-syn-phone (attraversando la madre, colei che deriva dalla madre circonda col suono) - dea-meter (dea madre), de-meter (va verso la madre e deriva dalla madre), dia-meter (attraversa e percorre il diametro), peri-meter (circonda e percorre il perimetro), syn-meter (simmetricamente), syn-phone (sinfonicamente). De-meter-per-syn-phone è una frase che ha internamente una frase più ampia e più complessa. Che ha internamente anche un motivo musicale che si forma con l'equivalenza: de-meter-peri-syn-phone = do-re-mi-fa-sol, che diventa: do-re (thea-meter) - do-re (de-meter) - do-re (dia-meter) - mi-re (peri-meter) - fa-re (syn-meter) - fa-sol (syn-phone).
Persephone, scendendo e risalendo, separandosi e ricongiungendosi alla madre, compie un movimento circolare, del circondare, eccentrico e concentrico, è peri-sephone, gira intorno alla terra-madre seguendo una spirale, la danza a spirale, (o a doppia spirale: che disegna tra le due spirali una porta dietro cui è la Signora del labirinto). A ragione della danza dis-danza, Demetra e Persephone si com-prendono -sono l'una e l'altra.

Danza circolare, del circondare che appartiene a un sistema stellare, ed è anche mescolare, plasmare, si riferisce al grembo che conserva la vita, nel quale morte risorge a vita (utero della madre è kolie-meterion, cimiterium), dalla cui porta bisogna uscire e rientrare per nascere e per morire (morte come compimento della creazione e della creatura, morte in cui è racchiusa la vita, presente in ogni svolta, passaggio, cambiamento), è l'estrarsi della vita dalla terra, ed è il lavoro incessante della natura che si produce dalla terra, è l'intrecciarsi di passato e futuro che rende possibile il presente, restituisce il passato e il futuro al presente, restituisce il passato e il futuro al tempo, il non-tempo al tempo. Rende la finitezza-infinitezza del tempo, che è limite ed è possibilità (il divenire altro come possibilità per eccellenza) infinita (senza fine e senza un fine), non contraddizione né superamento, di finito-infinito, gioco dei movimenti e dei pensieri.
Danza-labirinto (che rappresenta l'incontro e il derivare di vita da morte, che suscita il gioco dei movimenti e dei pensieri), figura primordiale e archetipo, trascrizione del rapimento, è atto simbolico fondativo della città nuova, è rappresentazione dell'edificio mitologico, della città che nasce dopo che si è scampati alla morte (alla emigrazione, alla guerra), è palazzo delle viscere (fondamenta che penetra nella terra, sorregge la costruzione), è mundus, ed è specchio attraverso il quale si vede in trasparenza, attraverso il quale il Sole penetra nella valle, dove si trova nascosta, in profondità, la via dell'anima.