L'ospite
di Lea Melandri




Angelica Kauffman


L'immaginazione dei poeti e i progressi della tecnica conoscono talvolta vicinanze sorprendenti. Nelle Eumenidi, Eschilo scriveva: "Colei che viene detta madre non è la genitrice del figlio ma la nutrice dell'embrione appena seminato. E' il fecondatore che genera, lei invece porta il seme a salvezza, come ospitante nei confronti di un ospite". Non poteva immaginare che molti secoli dopo la semina sarebbe passata dai corpi di un uomo e di una donna alle pareti fredde e trasparenti di una provetta. A restare immutata, o a divenire addirittura più vera, è invece l'immagine del corpo femminile come urna, dimora di un ospite eccezionale. Con la fecondazione assistita, che sposta le fasi prime del concepimento fuori dall'utero, sparisce infatti anche l'ultimo velo di quell'imprendibile "vortice creativo" che l'uomo ha segretamente conteso alle madri.
La riduzione degli individui a materia organica, divenuta realtà con lo sviluppo delle biotecnologie, non è del tutto estranea neppure al linguaggio del desiderio e dell'amore. Quando si accinge a descrivere la sovrapponibilità solo in parte visionaria tra nascita e coito, Ferenczi è costretto a immaginare l'identificazione dell'Io con l'apparato genitale, del maschio col membro virile e della donna con l'ovulo. Visto come "reinfetazione", l'accoppiamento permetterebbe all'uomo-figlio di far ritorno alla prima dimora, e nel medesimo tempo di celebrare la "felice vittoria sul trauma della nascita".

Ma, affinché questo viaggio a ritroso non sia solo allucinatorio, è necessario che almeno la "secrezione genitale" possa trovare riparo "in un luogo sicuro e appropriato" all'interno del corpo femminile. La fecondazione in vitro non porta solo "fuori di metafora", ma, separandosi dalla sessualità, incrina l'equivalenza simbolica -pene/seme/bambino-, spinta primordiale del desiderio. Se saltano alcuni anelli immaginari, altri tuttavia si riattivano. Passando il potere generativo nelle mani della scienza, la paternità, vista tradizionalmente come "progetto", tramite indispensabile per uscire dalla fusione con la madre, finisce per essere non più che un ingrediente chimico. L'uomo è sempre il seminatore, ma non tocca più la terra dove il suo seme va a cadere, proprio mentre quel suo 'naturale' possesso diventa, in virtù dell'umano artificio, capace di generare nelle condizioni che l'uomo ha sempre temuto: un corpo che genera da sé, o in un rapporto tra simili, come nel caso delle single e delle coppie lesbiche. Contro l'onnipotente figura femminile che si delinea dietro il "diritto a procreare", la legge 147, da poco approvata al Senato, inalbera il "diritto a nascere" dell'embrione, riconosciuto persona giuridica. La possibilità di separare fin dal concepimento il figlio dalla madre, sia pure solo sotto il profilo della legge, introduce dentro l'inquietante indistinzione di due esseri in uno lo sguardo di un terzo, quel "curator ventris", con cui si inaugura in modo più visibile di quanto non sia stato finora il controllo della sfera pubblica sulla fertilità femminile.

 

(Carnet - aprile 2004)