Il 9 luglio
i giornali informano che da una coppia di genitori bianchi, passata attraverso
l'inseminazione artificiale, sono nati due gemelli neri, segno
evidente dell'intrusione imprevista dei seme di un donatore estraneo.
Poco tempo dopo, in un trafiletto de La Repubblica (1 9 luglio
2002), si legge che una vedova londinese ha partorito in provetta, per
la seconda volta, un figlio, ricorrendo al seme congelato del marito
morto, senza l'autorizzazione scritta del medesimo. Nella pagina accanto,
con più rilievo, si viene a sapere che una équipe di scienziati
ha scoperto nello spermatozoo il gene responsabile dello sviluppo iniziale
dell'embrione, la proteina magica che sta a fondamento della creazione
della vita.
Il "lungo tramonto dei padre" in Occidente
non poteva avere una declinezione più esemplare: incertezza e invisibilità
dei contributo paterno nel processo generativa, riduzione estrema della
genitorialità dei maschi a ingrediente chimico: "sperm
factor". Da questo limite, mai toccato finora, anche il recente
dibattito sulla legge per la fecondazione assistita prende un rilievo
e significati che vanno si di là delle logiche politiche tradizionali,
illumina 'preistorie' sepolte dietro i paraventi della modernità,
costringe a nominare i protagonisti originari della storia così
come si impongono in ogni vicenda di nascita, naturale e tecnologica.
Sul divieto dell'inseminazione eterologa non possono non aver influito
paure remote riguardanti l'aspetto contingente, occasionale e sostituibile
dei padre contro la ferrea, evidente necessità della presenza materna.
Un' impalcatura millenaria che ha sorretto genealogie maschili convinte
di essere il fondamento primo, biologico e giuridico della filiazione,
nel momento in cui vacilla, fa riaffiorare i fantasmi ancora minacciosi
di un corpo onnipotente che genera da solo e che può dare allo
stesso modo la vita e la morte.
Nella goccia di sperma di un donatore esterno non sono solo la virilità.
la figura morale dei padre legittimo e l'integrità dei patrimonio
genetico familiare a essere messi in crisi, ma il maschio nella sua interezza
di individuo con un volto e una storia riconoscibili.
Ancora più evidente è l'ombra del pericolo primordiale
che si allunga dietro la richiesta di tutela dell'embrione.
La possibilità di separare fin dal concepimento il figlio dalla
madre, sia pure solo sul piano giuridica, permette di introdurre nell'inquietante
indistinzione originaria di due esseri in un unico organismo lo sguardo
vigilante di un terzo, quel "curator ventris" che, reale
o immaginario, ha assicurato da millenni al dominio maschile il possesso
e il controllo della fertilità femminile, riducendo la predominanza
materna
in fatto generativo a contenitore di un'altra vita.
Forte dei suo passato glorioso, la legge dei padri, insidiata oggi
da ogni parte, tenta goffamente di fare il verso alle parole dei suoi
autorevoli antecedenti classici: "Colei che viene detta madre"
scriveva Eschilo nelle Eumenidí, "non è la generatrice
del figlio, ma la nutrice dell'embrione appena seminato. il fecondatore
che genera, lei invece, salvo che un dio non lo impedisca, porta il seme
a salvezza, come ospitante nei confronti di un ospite". [L. Zoja.
Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri
2000).
Se la paternità è stata soprattutto "costruzione",
"progetto", "responsabilità", "umanizzazione"
intesa come ribaltamento della condizione originaria, corporea dei vivere,
il richiamo insistente alla "paternità biologica",
il "diritto ad avere un padre", suona indirettamente come una
sorta di nemesi o contrappasso.
La certezza con cui si può riconoscere oggi un padre dall'esame
dei suo corredo genetico, se per un verso sembra rendere giustizia dell'invisibilità
maschile nella procreazione, dall'altro sancisce
davvero il declina di un'autorità familiare sorta storicamente
per strappare gli umani al loro destino naturale.
Ma quello che si va perdendo nel privato, sostituito da un modello di
società che moltiplica i bisogni e i consumi, come una madre saziante
e divorante insieme, ritorna sotto altre vesti nel pubblico.
Sparisce il pater familias dietro le figure sbiadite di mariti 'laboriosi'
e assenti, ma fioriscono, sull'onda dei fervore religioso e dell'entusiasmo
popolare, padri spirituali e 'padri della patria', figure ibride,
commistione inquietante di sacro e profano,intimità e spettacolo,
idealità e interessi materiali, tenerezze materne e successi virili.
La "voglia di comunità", di legami di sangue e
certezze identitarie, porta alla memoria sinistramente i 'padri
terribili' di passate dittature, ma il pericolo di poteri
totalitari sembra assumere oggi forme inedite, svincolate dalle divisioni
tradizionali tra femminile e maschile, fede e politica, sogno e realtà.
Dall'intorno
di famiglie sempre più ridotte emergono piaghe e risorse umane
che la civiltà ha creduto di poter mettere al bando - l'amore,
la cura dei figli, la malattia, la vecchiaia, la morte - una parte enorme,
universale, di esperienza lasciata nell'ombra di sacrifici femminili,
e costretta a rifluire verso luoghi marginali di contenimento e protezione:
ospedali, carceri, chiese. Non c'è da meravigliarsi perciò
se l'antico patriarca dell'Occidente veste oggi i panni di un Pontefice
vecchio e malato, o se riesce a farsi adorare da milioni di fedeli
nella figura "burbera e dol- ce", mistica e mondana,
di un frate, padre Pio, che costruisce ospedali, 'case di sollievo
per la sofferenza', fidando nel potere dei miracolo. Una disperazione
e un'impotenza largamente diffuse e mai accolte nella cittadella ristretta
della cultura e della politica, si coalizzano a dispetto di ogni illuminata
"ragione" storica per chiedere risposte immediate e salvifiche,
e non importa molto se il successo delle preghiere viene chiesto al denaro,
alla forza di un leader politico o alle stimmate di un santo, dal momento
che tutte queste "doti" possono indifferentemente esaudire dei
desideri.
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