La radicalità che viene dalle donne
Da Paestum la sfida femminista nel cuore della politica
Giordana Masotto

Vale la pena tenere d’occhio l’incontro nazionale in programma a Paestum (5/6/7 ottobre) per almeno due ordini di motivi.
A Paestum, in tre giorni di discussioni e vita in comune, può prendere corpo un’affermazione impegnativa contenuta nella lettera invito: «le istanze radicali del femminismo sono vive e vegete».
Quella radicalità - ed è il secondo motivo - non riguarda solo “la condizione delle donne”, problemi di genere o di categoria, ma interroga la politica tutta. Ha qualcosa da dire a chiunque, donna o uomo, voglia restituire al pensiero e all’agire politico un orientamento sensato.

Radicalità del femminismo: oggi ce n’è bisogno come l’aria per vivere. Perché, come diceva una quarantenne, nata nei fatidici Settanta, il nodo cruciale rimane «quanto si è libere di essere quello che si è, o di diventarlo. Essere libere per le donne, ma anche per gli uomini, implica una buona dose di spregiudicatezza».
Prendiamo il lavoro ad esempio: vorticosamente cambiato per tutti, è più povero (ci vogliono due stipendi), molto più incerto, più invadente nella vita di ognuna/o, più ricattato, stretto nella morsa di una crisi di cui non è responsabile ma di cui è chiamato a pagare il prezzo. Per le donne in particolare è slittato dal regno del desiderio e della libertà a quello della necessità anche da un altro punto di vista. Il lavoro infatti, in un immaginario diffuso e dominante, è il valore ultimo da inseguire a tutti i costi e a qualsiasi condizione. Un lavoro/progetto personale con aspettative altissime, ma che si scontra con frustrazione, miseria e vicoli ciechi.
E allora? Qual è lo spazio di libertà in questo affastellarsi di lavori che saturano tutto il tempo e prosciugano il desiderio? Come trovare il proprio bandolo dentro un individualismo competitivo che è consumo di sé, e come trasformarlo in progetto di sé? Quali sono oggi i conflitti necessari per riprendersi le proprie vite? Domande radicali cui né la conciliazione né la valorizzazione delle inesauribili competenze femminili sanno dare risposte adeguate. Domande buone anche per gli uomini.

Anche nel rapporto donne e potere incominciano a emergere interrogativi che non trovano risposte adeguate nella rappresentanza dei numeri e nelle competenze.
Antje Schrupp (in Via Dogana dicembre 2011; www.antjeschrupp.de) guardando alle molte donne che in Germania negli ultimi dieci anni hanno occupato posizioni influenti in partiti e istituzioni, come ministeri, tribunali, università, chiese, si chiede: «Che esperienza hanno le donne nel loro tentativo di vivere e ancorare la loro politica nei luoghi di potere? Quali sono i conflitti che emergono quando, per esempio, ignorano le regole tradizionali del gioco di potere, perché vogliono fare un’altra politica e non sono interessate al potere in quanto tale? Che esperienze hanno acquisito? Oltre quali limiti si sono spinte?» Se non vogliamo abbandonarle al giudizio di ambiti a forte impronta maschile, se non vogliamo che quella rimanga l’unica misura pubblica e personale del successo o del fallimento, dobbiamo trovare un’altra misura, continua la femminista tedesca.
Trovare un’altra misura di giudizio. Altrimenti il risultato è di nuovo la cancellazione delle donne, la non rilevanza del loro esserci come soggetti che svelano la natura dei luoghi che abitano. È quello che contiamo di fare a Paestum: entrare nel merito delle esperienze e dei risultati con finezza e profondità, imparando insieme a guardare e vedere, offrire e chiedere un confronto libero a gruppi, associazioni, anche istituzionali, e singole donne.

Il femminismo, mettendo in moto pratiche di libertà femminile, ha generato un pensiero che attraversa molti campi: il lavoro e l’economia, la scuola e l’università, la politica, il governo delle città, la violenza degli uomini sulle donne, il corpo e la sessualità.
Ma soprattutto ha generato pensiero politico perché ha generato soggettività là dove c’era cancellazione.
Proprio l’ancoramento all’esperienza, il dare parola ai soggetti, è un processo irreversibile con cui oggi devono misurarsi le politiche in coma se vogliono rianimarsi.
Questo è il secondo motivo di interesse per l’incontro di Paestum.
Non si può infatti ripensare l’economia e la democrazia rappresentativa in crisi senza fare i conti con le soggettività. E oggi non si può parlare di soggettività se non si creano spazi in cui i soggetti si autorizzino a prendere la parola, per capire chi sono, per costruire insieme ad altri una immagine di sé che li faccia emergere dal brusio a senso unico. Dal rumore che fa schermo alla violenza delle cose che accadono. Per riuscire ad essere spregiudicati, come diceva la donna che citavo all’inizio, cioè ad essere liberi dalla gabbia del discorso comune.
Per questo possiamo dire che il sapere espresso dalle donne - nella politica, nell’economia, nel lavoro - è pensiero politico buono per uomini e donne.

Su Paestum:
paestum2012.wordpress.com;

Paestum 2012 5,6,7 ottobre
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Lettera d'invito

Intervista a Lea Melandri di Pia Brancadori

video dell'intervista

 

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