La voglia di libertà delle donne del Sud
di Antonella Palermo
 

In difesa della legge 194 e dell’autodeterminazione delle donne, in difesa dei Pacs e dell’amore libero, del diritto alla salute e della laicità dello Stato; contro ogni forma di schiavitù e precariato. Centonovantaquattroparoledilibertà sulle gambe di decine di migliaia di persone. Almeno ottantamila, secondo le organizzatrici.

C’erano tutte e tutti ieri pomeriggio a Napoli. Da piazza Plebiscito a piazza Matteotti sventolano le bandiere di Rifondazione Comunista, della Cgil, dei Verdi, della Rosa nel Pugno, delle donne Ds, delle mamme anti smog, Arci donna. Spiccano i colori dell’arcobaleno dell’Arcigay ed il rosso di tanti palloncini che si alzano liberi in cielo. Sfilano gli striscioni: “I consultori siamo noi”; “non in nostro nome, non nel nostro corpo”, “non voglio ritornare nel buio”.

Qualcuna ha appeso al collo un cartello con scritto “Maneggiare con cura”. C’è chi ha coniato un nuovo slogan: “Il nostro corpo a chi ci piace, non certo a Storace”. Il Sud precario - quella precarietà che avvolge tutti i settori della nostra vita - qui c’è tutto: il Sud del Belpaese, dove la voglia di una maternità deve fare i conti con i bisogni negati dalla precarietà, ma anche il Sud del mondo con le donne africane e latinoamericane che racconteranno dal palco, tra le lacrime delle presenti, la fuga obbligata dalle campagne, la fame, la miseria.

Il corteo si snoda lungo le strade di Napoli e sono proprio in tante e tanti, colorati ed allegri, saltellanti e urlanti. “Nonne e nipoti, madri e figlie”, c’è scritto su un cartellone. Ed è proprio così. Perché, rispetto a trent’anni fa, oggi ci sono anche tante facce nuove. Le nuove generazioni, ragazze e ragazzi che si ritrovano per la prima volta a scendere in piazza per difendere l’autodeterminazione della donna. Come Simona, 22 anni, che confessa: «Vorrei avere la forza delle compagne che hanno già combattuto prima di me. Spero con loro di riuscire a difendere i diritti che loro hanno conquistato».

Ne è passato di tempo da quei faticosi ed importanti anni ‘70, e si vede. Adriana, ginecologa, ci ride su: «Allora avevamo gli zoccoli, oggi le ragazze portano il pantalone a vita bassa; allora eravamo più arrabbiate, oggi c’è più allegria». C’è anche si rincontra dopo anni. Maria Emilia arriva da Cassino dove ha lasciato di corsa il suo lavoro. Ma sorride felice: ha appena rincontrato le compagne dell’Università, non si vedevano da quindici anni. «Abbiamo lavorato in quel periodo - ricorda - è emozionante ma anche un po’ deludente pensare che oggi siamo ancora qui a dover difendere quegli stessi diritti di allora». Vincenzina arriva da L’Aquila, il fisico asciutto, il look da ragazzina, con gonna a pieghe e calze bianche ed il volto ancora fresco ma pieno di storie da raccontare. Quasi lo nasconde sotto un enorme cappello nero. La metafora è fin troppo scontata: «Tremate… tremate… le streghe sono tornate. La 194 non va toccata, al massimo migliorata».

Oggi c’è anche un altro fatto nuovo e chi trent’anni fa c’era, lo nota immediatamente: in piazza ci sono anche tanti ragazzi e tanti uomini. «Allora eravamo tutte compagne», ricorda Carmela. Sono tutti diventati più sensibili? «La verità - dice la sua Roberto, dirigente di un’Asl campana - è che comprendiamo che in discussione c’è, in generale, il diritto alla salute. La 194, i consultori, fanno parte del diritto alla salute. Della donna, certo in prima persona, ma anche di tutti noi. E poi c’è il problema della laicità dello Stato, dobbiamo manifestare contro le continue ingerenze delle sfere ecclesiali».

La questione la giriamo poco dopo a don Vitaliano della Sala, che manifesta accanto a Francesco Caruso: «Ruini ha il diritto di dire ciò che pensa ma la Chiesa dovrebbe lasciare la possibilità a tutti i suoi credenti di dire quello che pensano. Sicuramente non serve né all’Italia né alla Chiesa stessa che i valori vengano imposti, invece che proposti». Poi aggiunge: «Speriamo che con il governo di centrosinistra queste persone che oggi manifestano non vengano deluse nelle loro aspettative». Ci sono anche gli uomini e le donne dell’Arcigay. «Abbiamo scelto di stare in questa piazza - dice Veniero - perché questa è la battaglia delle donne, del mondo omosessuale, dei Pacs, di tutte le battaglie di civiltà e siamo veramente soddisfatti di come sta andando».

Quando il corteo arriva a piazza Matteotti le 194paroledilibertà stanno nelle musiche dei Rua di Port’Alba, nella teatralità di un’attrice del calibro di Marina Gonfalone («Stiamo tornando indietro, non dobbiamo permetterlo, tra due mesi dobbiamo tornare qui per festeggiare la nostra vittoria», saluta i manifestanti), nelle testimonianze di giovani donne e di donne dallo sguardo stanco ma ancora fiero che raccontano la loro vita, i loro drammi, le loro vittorie.

E’ una grande festa. Il testimone arriva da Milano. Ma la fiaccola, questa di uomini e donne che lottano per le libertà e per i diritti, deve andare ancora avanti a lungo.

 

questo articolo è apparso su Liberazione del 12 febbraio 2006