da Liberazione del 7 Gennaio 2005


Femminismi e movimenti delle donne

di Paola Melchiori


Sarah Sze


Le mie considerazioni provengono dalla prospettiva di quel "femminismo multicentrico", che si è costruito e reso visibile negli anni ‘90 attorno alle Conferenze Onu sullo sviluppo umano. E' vero che verso di esso il femminismo italiano ha sempre mostrato un inquietante disinteresse, dovuto a una nostrana auto promozione ad avanguardia del pensiero umano, ad autoreferenzialità o forse a puro provincialismo. Sarebbe invece molto salutare, anche per il "nostro" femminismo, pensarsi al suo interno. Darebbe il senso della propria specificità, obbligherebbe a quella "traduzione" che fa ripensare a sé da altre prospettive.

E' proprio dall'interno di questo "movimento globale di donne" che oggi, consumata l'esperienza delle "politiche di genere", viene l'esigenza di un femminismo "simile a quello degli anni Settanta". Questo movimento, ben prima di Seattle, ha riunito insieme mondi diversissimi, dove il confine tra un movimento di donne "spontaneo" e un femminismo più esplicitamente dichiarato è difficile a tracciarsi. Le conferenze Onu hanno fornito risorse, definito assi tematici, isolato terreni di discussione. Le femministe americane della "prima autocoscienza" si sono trovate con le militanti dei movimenti di liberazione anticoloniale, le accademiche con le contadine, le femministe istituzionali con le attiviste.

Sono stati creati spazi per confrontarsi, discutere, confliggere, maturare analisi, prospettive, strategie, identificare comunanze e spazi/luoghi d'impossibili confronti. E' cresciuta una rete di amicizie, gruppi, iniziative, alla ricerca di differenze e punti comuni, su temi come il controllo dei corpi femminili, le politiche di sviluppo, i diritti umani, sempre in un difficile equilibrio tra necessità di autonomia e i necessari rapporti con poteri e istituzioni. Non sarà un caso che sempre più, oggi, anche da parte delle più giovani, si richiede la ripresa del termine "femminista" e la capacità di articolare la stessa radicalità teorica e le stesse invenzioni politiche degli anni settanta.

Questa radicalità è necessaria proprio oggi, poiché il "muoversi", questo sì, oramai inarrestabile, di quel secolare terreno che le donne rappresentano per gli uomini ha alzato il livello dello scontro, e in una congiuntura sfavorevole. Proprio nel momento in cui le donne hanno trovato un inizio di presenza autonoma, il ciclo economico degli aggiustamenti strutturali prima e i fondamentalismi religiosi poi, tentano di ricacciarle e riposizionarle nel ruolo di ammortizzatori, emotivi, economici e sociali, mentre l'aumento del livello della violenza privata in ogni angolo del mondo segnala l'insopportabilità maschile, a Nord e a Sud, verso ogni accenno di autonomia femminile.

Concluso il periodo che ha dato loro consistenza e visibilità, le componenti di questo movimento sanno di essere "abbandonate" alla propria autonomia, devono "fare da sé". Per volontà e per forza, poiché dopo la sorpresa della presenza femminile degli anni novanta, tutte le conferenze di revisione, in primis quelle legate alle questioni della salute riproduttiva e alla conferenza del Cairo, hanno visto l'invasione di "nuove Ong", create dal nulla, di donne fondamentaliste, cristiane e islamiche, mentre le commissioni create per l'implementazione dei piani di azione perdevano via via peso, e spesso per mano di una nuova burocrazia femminile.

Questo movimento, capace di conflitti feroci ma anche di fulminee alleanze, di pratiche di incontro trasversali ad inimicizie storiche ed etniche, è forse entrato in latenza, ma non è mai venuto meno. Continua una ricerca di spostamenti di paradigmi nelle visioni, è attivo nelle università e nella società civile, nelle politiche locali, e, certo, ha creduto di ritrovare un orizzonte più vasto nel nuovo movimento dei movimenti.

L'illusione è stata breve, poiché si è verificato qualcosa che noi italiane forse più di altre avevamo già vissuto agli inizi del femminismo, vale a dire la resistenza dei "compagni". Oggi tutte abbiamo, in vari luoghi del mondo, in comune un problema che è quello del rapporto con la sinistra, o quel che ne rimane, come l'avevamo noi negli anni '70, come l'avevano le donne dei movimenti di liberazione nel Sud. Esso si situa però a un livello diverso, più simile al "soffitto di vetro" che le donne dei paesi scandinavi incontrano proprio quando hanno raggiunto, sul piano dell'eguaglianza formale, livelli per noi impensabili. Il "soffitto" funziona per mano di uomini ma anche di altre donne, usate le une contro le altre. Funziona a tutti i livelli con quelle tecniche subdole e invisibili di esclusione, emarginazione, o leggera ridicolizzazione che sono state chiamate, in Norvegia, le "master suppression techniques".

Di fronte a questo, temo che "l'esserci in tante" non basti, che "agire in quanto donne" non basti, per essere riconosciute, ascoltate, per esistere e poter agire con diverse regole del gioco, secondo criteri, analisi o priorità autodefinite e con meccanismi di rappresentanza decenti. Ai Social forum ampio spazio è stato dato a donne singole ma non come portavoce di un movimento collettivo. Proprio quando alcune delle pratiche del femminismo venivano mutuate a piene mani, si è costrette a negoziare spazi, numeri di rappresentanze ridicoli, con un senso di vecchiaia delle "regole del gioco" di una tristezza infinita.

Non sarà un caso che si moltiplicano oggi, tra le donne, gli spazi di un nuovo separatismo, che si stiano organizzando, di nuovo, come negli anni Settanta, luoghi di autonomia, e dalle grandi istituzioni internazionali e dai movimenti. E' vero che i movimenti sono pieni di giovani donne. Saranno ricacciate, appena finita l'emergenza, negli spazi loro allocati, se non si consolida una prospettiva più complessa, capace di rendere visibili altri aspetti dei funzionamenti personali, sociali e politici, se non sono individuate le condizioni per la possibilità e il potere di portare avanti queste prospettive. Per questo, né le considerazioni di Letizia Paolozzi né quelle di Lidia Cirillo mi bastano per l'ottimismo.

Infinite sono le pratiche di resistenza delle donne, tra l'altro sempre esistite, come per tutti "i popoli oppressi". Esse possono prendere molte direzioni possibili, anche le peggiori. Il femminismo, i vari femminismi, però hanno dato loro un significato e una prospettiva. Hanno coscientemente riportato in scena ciò che, all'interno di ogni sapere o pratica politica è sistematicamente occultato.

E' questo lavoro, teorico e pratico, quello capace di creare visioni diverse, di spostare paradigmi, quello che obbliga a ripensare le regole del gioco, e, in politica, fa così paura che infiniti modi di neutralizzazione vengono ogni giorno inventati. Esso chiama in causa la necessità di autocoscienza da parte dei compagni e una chiarezza nostra, "aggiornata" con le giovani, di cosa sia in gioco nel patriarcato.