E' proprio dall'interno di questo "movimento globale di donne" che oggi, consumata l'esperienza delle "politiche di genere", viene l'esigenza di un femminismo "simile a quello degli anni Settanta". Questo movimento, ben prima di Seattle, ha riunito insieme mondi diversissimi, dove il confine tra un movimento di donne "spontaneo" e un femminismo più esplicitamente dichiarato è difficile a tracciarsi. Le conferenze Onu hanno fornito risorse, definito assi tematici, isolato terreni di discussione. Le femministe americane della "prima autocoscienza" si sono trovate con le militanti dei movimenti di liberazione anticoloniale, le accademiche con le contadine, le femministe istituzionali con le attiviste. Sono stati creati spazi per confrontarsi, discutere, confliggere, maturare analisi, prospettive, strategie, identificare comunanze e spazi/luoghi d'impossibili confronti. E' cresciuta una rete di amicizie, gruppi, iniziative, alla ricerca di differenze e punti comuni, su temi come il controllo dei corpi femminili, le politiche di sviluppo, i diritti umani, sempre in un difficile equilibrio tra necessità di autonomia e i necessari rapporti con poteri e istituzioni. Non sarà un caso che sempre più, oggi, anche da parte delle più giovani, si richiede la ripresa del termine "femminista" e la capacità di articolare la stessa radicalità teorica e le stesse invenzioni politiche degli anni settanta. Questa radicalità è
necessaria proprio oggi, poiché il "muoversi", questo sì, oramai
inarrestabile, di quel secolare terreno che le donne rappresentano per gli
uomini ha alzato il livello dello scontro, e in una congiuntura
sfavorevole. Proprio nel momento in cui le donne hanno trovato un inizio
di presenza autonoma, il ciclo economico degli aggiustamenti strutturali
prima e i fondamentalismi religiosi poi, tentano di ricacciarle e
riposizionarle nel ruolo di ammortizzatori, emotivi, economici e sociali,
mentre l'aumento del livello della violenza privata in ogni angolo del
mondo segnala l'insopportabilità maschile, a Nord e a Sud, verso ogni
accenno di autonomia femminile. Non sarà un caso che si moltiplicano oggi, tra le donne, gli spazi di un nuovo separatismo, che si stiano organizzando, di nuovo, come negli anni Settanta, luoghi di autonomia, e dalle grandi istituzioni internazionali e dai movimenti. E' vero che i movimenti sono pieni di giovani donne. Saranno ricacciate, appena finita l'emergenza, negli spazi loro allocati, se non si consolida una prospettiva più complessa, capace di rendere visibili altri aspetti dei funzionamenti personali, sociali e politici, se non sono individuate le condizioni per la possibilità e il potere di portare avanti queste prospettive. Per questo, né le considerazioni di Letizia Paolozzi né quelle di Lidia Cirillo mi bastano per l'ottimismo. Infinite sono le pratiche di resistenza delle donne, tra l'altro sempre esistite, come per tutti "i popoli oppressi". Esse possono prendere molte direzioni possibili, anche le peggiori. Il femminismo, i vari femminismi, però hanno dato loro un significato e una prospettiva. Hanno coscientemente riportato in scena ciò che, all'interno di ogni sapere o pratica politica è sistematicamente occultato. E' questo lavoro, teorico e
pratico, quello capace di creare visioni diverse, di spostare paradigmi,
quello che obbliga a ripensare le regole del gioco, e, in politica, fa
così paura che infiniti modi di neutralizzazione vengono ogni giorno
inventati. Esso chiama in causa la necessità di autocoscienza da parte dei
compagni e una chiarezza nostra, "aggiornata" con le giovani, di cosa sia
in gioco nel patriarcato. |